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L'urlo di Ginsberg: cinema e poesia

Il passaggio dalla carta al cinema dell'opera di Ginsberg.
di Pino Farinotti

Un unicum sacrale
James Franco (James Edward Franco) (46 anni) 19 aprile 1978, Palo Alto (California - USA) - Ariete. Interpreta Allen Ginsberg nel film di Rob Epstein, Jeffrey Friedman Urlo.

lunedì 11 ottobre 2010 - Focus

Un unicum sacrale
Il padre di Allen Ginsberg era poeta e insegnante, la madre era un'ebrea russa, comunista militante, ospite permanente di ospedali psichiatrici, lobotomizzata, morta suicida. Allen si scoprì omosessuale. Tutte premesse per un destino che non poteva che essere il suo, diventare un poeta che attaccava e ribaltava, stravolgeva regole e codici. Scioccava. E poi quegli amici, poeti e scrittori, come Kerouac e Burroughs. E Ferlinghetti il suo editore. E poi i viaggi, la droga.
Nel 1955, alla Six Gallery di San Francisco Ginsberg recita per la prima volta i versi del suo "Howl". Così comincia Urlo, il film di Epstein e Friedman.

Spietato
Ginsberg era spietato col suo Paese, santificava (letterale, in un suo canto) i diseredati, i drogati, gli emarginati, i diversi, con arroganza e violenza.
Il suo è un urlo autentico di rabbia, un'esplosione che arriva dal cuore ma soprattutto da sotto il cuore, che non fa prigionieri, senza filtri, senza mediazioni, senza traduzioni. "Io sono questo, se mi vuoi capire mi capisci". Ma non tutto è comprensibile. E quando la popolarità del poeta fu tale da diventare pericolosa (parlo di certa America benpensante eccetera) il Sistema drizzò le orecchie e apprestò una difesa, un attacco, un processo. Il processo è un altro segmento del film, davvero virtuoso. Accusa e difesa si scontrano sui versi, sul linguaggio, sulla filosofia, sulla morale e sulla censura. Prevale la tesi che il linguaggio di Ginsberg non poteva che essere quello. "Egli non parla" dice il difensore "ai clienti del Waldorf Astoria o del Four Season, ma agli sconfitti, agli arrabbiati, ai diversi nei loro ambienti". La sentenza che proclama il giudice è un appello alla libertà di pensiero, di linguaggio e di espressione. "L'America è un paese liberale, un riferimento del mondo, aperto a tutte le intelligenze. Non ci devono essere limiti, non ci deve essere censura. Il poeta si è valso del proprio linguaggio, che è pertinente ai contenuti che ha voluto esprimere".

Reale
Gli autori del film, Epstein e Friedman, documentaristi, gente abituata al reale e alla verità, a loro volta non fanno prigionieri. Mai il cinema ha lavorato a incastro con la poesia come nel loro Urlo. Poesia pura. Allen recita i suoi versi in pubblico. Poi i versi, gli stessi, vengono riproposti dalla voice over, poi (ri)recitati durante il processo. Mettersi al fianco, o tallonare, o rappresentare quei deliri incontenibili era un compito impossibile, le immagini non sono adeguate, non ce la fanno. E allora gli autori ricorrono a un'animazione che accompagna i versi cercando di omologare il dolore, lo spavento, il mistero, tutte le tragedie e l'estetica naturalmente. L'alter ego di Ginsberg è un modello lungo e "osseo", stilizzato, ansioso, senza speranza e veloce, spesso a ridosso di un precipizio dove la luna non riesce a creare un'ombra neppure pallida. Sembra la memoria del canto notturno di un pastore errante dell'Asia. Leopardiana. Arte figurativa, stra-espressionista, un altro elemento accorpato alla chimica generale. Tutto a sostegno di Sua Maestà la Poesia.
Una poesia detta e lavorata, tagliata e ricomposta, analizzata come un tumore o un miracolo. Poesia&cinema, alla pari, con le specifiche regole tutte rispettate: magnifico. La fusione di tutte le chimiche porta a un unicum sacrale.

Amici
Ginsberg, coi suoi amici, Ferlinghetti, Kerouac, Corso e altri, quella che venne detta la beat generation (anche se Allen allontana quella definizione), non è un poeta perfetto, non è un legislatore come Neruda o Eliot. È un imperfetto felice di esserlo. Qualche suo verso, espulso da deliri troppo personali, non è comprensibile, lo è solo per Ginsberg. Nel film il poeta, intervistato dice: "Se sei fra gente e dici che sei omosessuale si apre una breccia e allora tutto si scioglie, ogni argomento è affrontato". In automatico ecco l'insinuazione che se non sei omosessuale è comunque una limitazione al sentire e al capire fino in fondo. Ma molti etero capivano e sentivano tutto e non erano d'accordo. Ecco una ragione: diamo molto credito ma non tutto il credito ad Allen. Perfetti o imperfetti che fossero costoro, certo quel gruppo era la forca caudina più abrasiva e seduttiva. Passarci sotto ti faceva soffrire, ma ti eccitava. Erano quei magnifici anni cinquanta, il decennio di punta del secolo. Dopo la guerra tutte le pagine di tutti i Paesi dovevano girare. Chi studiava, chi cresceva, chi viveva, chi sentiva, chi apprendeva e chi insegnava, non poteva non toccare Ginsberg e gli altri. Hanno certo avuto parte nell'educazione sentimentale e culturale del momento, momento lungo, con gli altri movimenti riconosciuti: l'America delle due coste, gli arrabbiati dell'Actor's e gli arrabbiati inglesi amici di Osborne, Ewtucenko e i compagni dissidenti, Bergman dei posti e dei sigilli, Fellini delle strade e delle notti. E altri. E Naturalmente quell'Holden Colfield di un Salinger che era arrivato prima di tutti. Anche l'Urlo di Ginsberg arriva prima, va rilevato: prima di Berkeley, della Sorbona, della Statale e di Woodstock.

Pensiero
Secondo una corrente accreditata di pensiero, ed è il pensiero di grandi specialisti, la poesia sarebbe la forma più alta dell'intelligenza creativa. Il poeta deve trovare ciò che cerca in una metafora, in un tempo veloce e in uno spazio corto e in una sintesi fulminante. Deve rinchiudere il mondo in un niente. Il romanziere (che certo è a sua volta intelligente) ha più tempo e più spazio, e un compito più facile. Il saggista ha il privilegio dell'analisi dilatata quanto ritiene necessario. Parlo di roba alta, molto alta naturalmente.
Ginsberg dice: "Scrivi un verso che nessuno capisce, al momento almeno. Ma può essere che quell'unico verso sia capito fra cento anni. E allora significa che il poeta è arrivato cento anni prima. Spero di averlo scritto quel verso."

"Urlo"
Ho visto le migliori menti della mia generazione
distrutte dalla pazzia, affamate, nude isteriche
trascinarsi per strade di negri all'alba in cerca di droga rabbiosa
hipster dal capo d'angelo ardenti per l'antico contatto celeste
con la dinamo stellata nel macchinario della notte,
che in miseria e stracci e occhi infossati stavano su partiti a fumare nel buio soprannaturale di soffitte a acqua
fredda fluttuando nelle cime delle città, contemplando jazz
che mostravano il cervello al Cielo sotto la Elevated
e vedevano angeli Maomettani illuminati barcollanti su tetti di casermette
che si accucciavano in mutande in stanze non sbarbate bruciando denaro nella spazzatura
e ascoltando il Terrore attraverso il muro.
Ho visto le migliori menti della mia generazione che mangiavano fuoco in hotel ridipinti
o bevevano trementina in Paradise Alley, morte, o si purgatoriavano il torace
notte dopo notte con sogni, con droghe, con incubi a occhi aperti, alcol e cazzo e balle-sballi senza fine,
che vagavan su e giù a mezzanotte per depositi ferroviari chiedendosi dove andare, e andavano, senza lasciare cuori spezzati.
Ho visto le migliori menti della mia generazione
che trombavano in limousine col cinese di Oklahoma su impulso invernale mezzonotturno illampionata pioggia di provincia,
che ciondolavano affamate e sole per Houston cercando jazz o sesso o zuppa,
e seguivan quel brillante spagnolo per coversar d'America e d'Eternità, tempo sprecato, e poi via per nave in Africa.

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