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ONDA&FUORIONDA

Immortale Jerry.
di Pino Farinotti

In foto Jerry Lewis.
Jerry Lewis (Joseph Jerome Levitch) 16 marzo 1926, Newark (New Jersey - USA) - 20 Agosto 2017, Las Vegas (Nevada - USA).

domenica 26 maggio 2013 - Focus

Jerry Lewis ha dominato Cannes. Puoi presentare tutti i film, puoi arroventare il red carpet con tutti i personaggi, ma uno come lui non c'è. Non può esserci. Era come se la conferenza stampa fosse tenuta da un'altezza reale. Lewis ha 87 anni. A quell'età è difficile, quasi impossibile essere attore protagonista, al massimo puoi fare il nonno, il presidente o il papa. È nato nel 1926, intorno a quella data, anno più anno meno, sono nati Clift, Brando, Newman, Steiger, Lemmon, Curtis, Heston, Hudson, Matthau. Gente che ribaltato il cinema. Di loro non c'è più nessuno, alcuni non ci sono da molto tempo. Jerry c'è ancora e fa i film. È come se la commissione del cinema che lassù regola le vite e le morti e le arti avesse emanato una dispensa "lasciamolo lì, che serve ancora".

Lewis fa spettacolo dal 1940 e film dal 1950, da La mia amica Irma, con Dean Martin. Sessantatre anni dopo fa ancora un film, mi sembra davvero che la dispensa mistica ci sia, e forte. Se scorri alcuni testi non recenti leggi che si tratta del più grande comico del dopoguerra. Adesso quella guerra è lontana, il "dopo" è molto lungo, ma credo che la definizione resista. Lewis, parlando del film di cui è protagonista, Max Rose, ha detto: "È una storia di anziani, oggi vengono messi da parte dalla società ed è un terribile errore. Meritano il nostro omaggio perché quello che siamo lo dobbiamo a loro". Vale naturalmente il concetto generale, che applicato all'attore diventa un assoluto: l'"anziano" ha inventato una comicità imprescindibile, si affianca a Laurel e Hardy, e ai Marx. Lo stesso magnifico Allen è un ottimizzatore più che un inventore, del resto lo ammette senza alcun imbarazzo "senza Groucho non ci sarebbe Woody". E forse non ci sarebbero stati neppure Brooks e Wilder, tutta gente del filone ebraico, come Lewis del resto, che comunque ha creato di suo, sempre attento a quella radice comica a sua volta imprescindibile.

Discendenti
I discendenti di Lewis ci sono ancora, alcuni li vediamo nei nostri programmi televisivi, ma trattasi di figli degeneri: sketch fulminanti e volgari che strappano risatine a costo zero. E non si può non citare, fra i molti, Jim Carrey accreditato come erede ufficiale, anche se... non è Jerry. Quando Lewis cominciò il cinema americano traboccava di coppie. Laurel&Hardy erano in declino, Gianni e Pinotto occupavano il loro spazio con toni ultrapopolari, da avanspettacolo, Crosby-Hope resistevano ancora, la loro complementarietà funzionava: il cantante elegante e saggio, e il battutista rompiscatole e dissacrante. Lewis e Martin partirono da quel codice accreditato, ma poi Jerry, il vero cervello, rimise tutto in gioco, reinventò. La coppia era, appunto, complementare, Dean era pieno di charme, il leader sicuro con la voce più bella del mondo, Jerry era timido e succube con un complesso di inferiorità grottesco ma funzionale. E fu da questo "complesso" che l'attore si scatenò, esasperando gesti e toni fino a toccare una satira che sembrava leggera e bassamente ridicola, ma che era invece intelligente e profonda. Il sodalizio con Martin durò dieci anni e sedici film. Seguì una separazione naturale e fisiologica che fu comunque un punto di ripartenza per entrambi. Soprattutto per Lewis che libero dai cliché rivelò un talento completo. Nel Cenerentolo, di cui firma la regia, riusciva a trasformarsi, diventava persino bellissimo, ballava e si muoveva con una classe (quasi) alla Astaire.

Vincente
È sempre stato un vincente, per anni, con o senza Martin, è stato nella top ten degli incassi e quando è arrivato il momento del salto di qualità, ancora una volta è stato più che all'altezza. "Salto" significa regia d'autore, e Jerry acquisì quel titolo quando la Paramount gli affidò una regia a basso, anzi bassissimo budget, Il ragazzo tuttofare. Il film è un collettore di invenzioni di situazioni e di linguaggio. Ancora una volta Lewis dominava il mestiere. Come quando decise di cantare e di entrare nelle classifiche e ci riuscì con almeno due titoli: "Rock-A-Bye Your Baby" e "With a Dixie Melody".
Una ventina di anni fa venne in Italia, al teatro Nuovo, era accompagnato dalla sua orchestra personale, si esibì in canzoni di Gershwin e Porter. Poi fece alcune delle sue gag, non servivano parole, e se parlava in inglese, lo capivi anche senza conoscere l'inglese. Venne ospitato anche in Rai, gli fece gli onori di casa Oreste Lionello, che con stile, si genuflesse davanti al maestro. Il conduttore presentò Lionello come colui che dava la voce a Woody Allen, Lewis rispose "Lo so, e so che il mio amico Woody dà la voce a Oreste in America".

Tutto questo in sette decenni. Jerry, l'immortale.

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