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Qualcuno mi spieghi

"...volevo presentare Germano a Marilyn...". Di Billy Wilder.
di Di Billy Wilder


lunedì 26 marzo 2012 - Focus

Ho sempre seguito il cinema italiano, e l'ho anche amato, molto. Alludo al cinema del mio amico Federico, a quello di Luchino e di Vittorio. E di qualcun altro. Federico, quando l'argomento è "cinema italiano" diventa muto, e diventa triste, triste come si può essere da queste parti, naturalmente. Così non insisto a chiedergli spiegazioni. Se valgono le mie idee, dico che i film italiani di questa epoca mi fanno porre delle domande. Anche su me stesso. Rilevo che l'eroe, il grande modello di questo momento italiano è Elio Germano. Condivido che si tratta di un giovane di talento, ma poi mi chiedo dove vadano reperite, in quel ragazzo, altre virtù che un tempo erano indispensabili per essere protagonisti di un film. So bene che il cinema presenta tante, anzi, tutte le opzioni, tutte le storie e tutti i modelli: da Marlon Brando a Salvatore Striano, sì, quel detenuto che fa Bruto nel film dei Taviani, bravo come Germano. Confesso che quello italiano è un cinema che io non sapevo fare. La realtà, il quotidiano, la strada, le facce e i corpi di tutti i giorni: era tutta roba vostra, l'avete insegnata al mondo, e nessuno ha saputo fare come voi. Tanti, tanti anni fa. Ma quel tempo mi pare sia scaduto. Dico che il mio, forse non lo è. Quel divertente film che ha vinto tutti quegli Oscar, quest'anno, The Artist, ebbene contiene qualcosa di Billy Wilder, mi ci riconoscevo, ridendo. Elio Germano, ribadisco, ragazzo di talento: e i film che interpreta – praticamente tutti- mi costringono a un ripensamento, a una revisione, a una rilettura storica delle cose che facevo. Molti mi giudicano un maestro, alcuni, certo esagerando, "il" maestro. Ho riempito per decenni le sale di tutto il mondo, e le riempio ancora nelle retrospettive, ho vinto Oscar, ho insegnato. Ho portato grandi argomenti divertendo, a volte precedendo i tempi. Credo, in tutta umiltà, di poterlo dire io stesso: i film li sapevo fare e anche scrivere, anche se ero di lingua tedesca ed ero arrivato a Hollywood che non ero bambino. Insomma, di cinema qualcosa capivo. Dico anche che le mie storie, riconosciute importanti, a volte –mi si perdoni- quasi perfette, avrebbero potuto essere "auto-sufficienti", vivere di luce propria voglio dire, senza il supporto dei divi. Sarebbero stati film apprezzati, con critiche addirittura migliori di quelle che avevo. Ma sarebbe stato un cinema-con-meno-cinema, privato delle sue più preziose opzioni, il sogno, il bello, l'eroe. Dunque il divo che rappresenta, a modo suo, dall'alto, tutti noi normali.

Umiltà
Così, per umiltà, anche per attenzione verso un cinema, quello italiano, che, come ho detto, tanto aveva rappresentato, ho cercato di reperire qualche senso di colpa per aver fatto il mio cinema. Che aveva bisogno di Douglas, Holden e Bogart e Cooper, di Curtis e Lemmon. E poi di Kim, Audrey e Marilyn. Mi sono chiesto se non ero stato un po' vigliacco a ricorrere a semidei come quelli. Bella forza.
Confesso che non ho reperito sensi di colpa e neppure mi sono sentito vigliacco. Tuttavia un esercizio ho voluto farlo: sostituire, scambiare, mettere di fronte. Dunque artisti italiani, come Germano, appunto, o altri molto presenti, i titolari del momento, Servillo, Papaleo, Battiston, Marcorè, a fronte dei "miei". Ho immaginato provini virtuali. Così ho fatto uscire Battiston dalla piscina e l'ho fatto accogliere da Gloria Swanson con un accappatoio. ... Non funzionava. Ho fatto inchiodare i freni della Ferrari da Servillo davanti a Audrey col suo fasciante Givenchy. Anche questo non funzionava. Ho fatto ballare Germano, ancora con Audrey, sotto la luna, ma le arrivava alla clavicola. L'italiano avrebbe dovuto indossare lo smoking bianco di Holden, ma lo stilista lo aveva nascosto. Per una certa verosimiglianza, perché Elio fosse a proprio agio, ho sostituito la Hepburn con la Rohrwacher... No. Ho immaginato un tentativo quasi impossibile: la sequenza degli occhiali che si appannano per i baci di Zucchero in A qualcuno piace caldo. Ma Marilyn, anche virtuale, si sarebbe certo difesa con le unghie da Germano, e anche da Papaleo. Sul set aveva graffiato... Tony Curtis. Quando la Novak si è trovata davanti Marcorè gli ha messo in mano un paio di scarpe e cinquanta cents e gli ha detto "le do un quarto d'ora giovanotto". Aveva frainteso.

Amici
Torno al silenzio di Federico. Ricordo bene i miei amici italiani. Quella sequenza di Alberto Sordi che sputa alle macchine sul lungomare di Viareggio. Non avrei saputo essere all'altezza di Risi, proprio perfetto. E poi Massimo Girotti che arriva alla locanda dallo stradone sul Po, pensato dal mio amico, e coetaneo, Luchino. Girotti, uno che avrei potuto mettere in un mio film, lui sì. E Mastroianni che guida quel sortilegio di girotondo secondo Federico. Arte ricca, contro arte povera di adesso, forse per testimonianza, o indicazione, o auspicio di povertà generale, di degrado e di infelicità di un Paese. Ma perché? Qualcuno mi spieghi. Questa bella Italia, dove io ho lavorato felice, a Capri. Erano i tempi dei riconoscimenti per il cinema italiano, Oscar, Palme e Leoni. Germano –cito ancora lui come dominus- e gli altri: gente di talento, davvero, grandi "caratteri", ma caratteri. Brando fa parte del patrimonio di tutti, Striano di una nicchia, e Germano di un cinema che promuove se stesso e non è promosso altrove, perché ha troppo poco da offrire. Il movimento del cinema del mondo vuole che nei film, accanto ai caratteri, ci siano i protagonisti. Adesso guarderò me stesso: Arianna, dove Audrey e Gary Cooper ballano "Fascination". Il caratterista in quel film era... Maurice Chevalier.

Pino Farinotti

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