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Mamma mia!: un musical predestinato (Prima parte)

Il musical-fenomeno nel segno degli Abba, dal teatro al cinema.
di Pino Farinotti

Un musical predestinato
Meryl Streep (Mary Louise Streep) (74 anni) 22 giugno 1949, Summit (New Jersey - USA) - Cancro. Interpreta Donna nel film di Phyllida Lloyd Mamma Mia!.

lunedì 29 settembre 2008 - Focus

Un musical predestinato
Arriva un autentico musical-fenomeno: Mamma mia!. I segnali, i codici, ci sono tutti. Ferma restando la qualità, di cui dirò, ecco un percorso che è quello dei grandi classici musicali, si può anche toccare un termine impegnativo: predestinazione. Il film deriva da un musical in due atti scritto dall'inglese Catherine Johnson sulla base delle canzoni degli Abba, ben 24: si comincia con "I Have a Dream" per finire con "Thank you for the Music". Il titolo è ripreso dalla famosa canzone del 1975: "Mamma mia!", appunto. La pièce debutta a Londra nell'aprile del '99 al teatro "Prince Edward" dove viene rappresentata senza interruzioni fino al giugno del 2004, ma non è finita, viene semplicemente trasferita, al Prince of Wales Theatre. A Broadway approda nell'ottobre del 2001, al Winter Garden e ben presto, nei numeri, si attesta fra titoli da leggenda come "Shaw Boat", "Il re ed io", "Tutti insieme appassionatamente". Una piazza che fa testo è Las Vegas, dove "Mamma mia!" arriva a mille repliche, record di durata e di spettatori per la città dello spettacolo e del gioco.
Dal 1999 al 2006, "Mamma mia!" è stata vista da circa venti milioni di spettatori. Adesso il film. Si racconta di Sophie che sta per sposarsi, ma prima intende conoscere l'identità di suo padre, che la mamma non le ha mai svelato. Un diario rivela alla ragazza che sua madre, all'epoca della sua nascita, frequentava tre uomini. Sophie, senza dirlo alla mamma, li invita al matrimonio. Il plot "alla ricerca del genitore perduto" è efficace, ottimo garante di botteghino, ed è di moda. Rimanda al recente Across the Universe, dove il ragazzo Jude, di Liverpool, se ne va in America per trovare il padre sconosciuto, distaccato in Inghilterra durante la guerra. Soprattutto rimanda a Filumena Marturano di Eduardo e al film relativo Matrimonio all'italiana, con Sophia Loren. Sophia, appunto, come la sposa di Mamma mia!.

Rivoluzionario
Gli Abba erano un gruppo svedese, siamo negli anni Settanta/Ottanta, rivoluzionario perché... non volevano fare la rivoluzione. L'eco dei Beatles si andava smorzando, resistevano i Rolling Stones, comandavano Rod Stewart e David Bowie, trasgressivi a oltranza, frenetici e (quasi) estremi. Gli Abba, due coppie, marito e moglie&marito e moglie, intuirono che c'era bisogno di tranquillità e di bravi ragazzi, di musica e di testi rassicuranti. Da lì il successo. Questo loro codice, applicato ad artisti come Meryl Streep, Pierce Brosnan, Colin Firth e altri, non potrà che funzionare, anche da noi. Non so se sfonderà (parlo sempre di nudi incassi, non di qualità) perché il nostro pubblico non è amico del musical, non lo è mai stato, per ragioni complesse che qui non possono trovare spazio. Tuttavia il cinema musicale, da sempre, ha coperto ruoli importanti, quasi decisivi, certo nel suo paese d'origine, ed è legittimo che sia così, perché quel "genere" è forse l'unica forma d'arte inventata (non importata o sviluppata) dagli americani. E ci tengono molto. Il primo film sonoro, Il cantante di Jazz, del '27, è semplicemente un musical: è muto salvo nelle canzoni di Al Jolson. Il primo film "tutto suonato e tutto parlato" è un musical della Metro del '29. Ecco, 1929 è una data decisiva. Negli anni successivi Washington, quando l'America e il resto del mondo soffrivano della famosa crisi economica, accettò di buon grado che Hollywood giocasse il suo ruolo più adeguato, quello di fabbrica dei sogni, di grande-anestetico-per-il-momento. Astaire-Rogers e Walt Disney furono fra i maggiori eroi di quella contingenza. I due ballerini nerobiancovestiti, agili come schizzi, eleganti più dei cigni, sorridenti a oltranza, nell'immancabile happy ending cantavano le canzoni dei massimi compositori, Gershwyn, Kern, Porter, Berlin. Che accademia della gioia di vivere! Tutti dispensanti l'innocua felicità necessaria per aspettare tempi migliori. E i 7 Nani si alzavano all'alba, scavavano diamanti grossi come mele, a sacchi, tornavano a casa al tramonto stanchi e felici, cantando, e vivevano come se fossero poveri. Era la trionfale metafora dell'avere ed essere: i diamanti, la ricchezza? Chi se ne frega, valgo io e sto bene in povertà. In attesa del nuovo benessere, che certamente verrà. Tutto questo funzionava. Il musical era importante.

Puristi
Il filo d'oro musicale di Disney si sarebbe costruito un'identità praticamente eterna, ad attraversare i decenni fino a noi. Con qualità artistica di eccellenza, da puristi. Come in Fantasia, dove le musiche di Beethoven, Bach, Tchaikovsky, Schubert, Stravinski, facevano ballare ippopotami, struzzi, coccodrilli, elefanti e Topolino. Una strepitosa, irriverente, scandalosa contaminazione che però incantò il mondo, e incantò anche i puristi, appunto. Fantasia: un musical. I titoli disneyani delle ultime e penultime stagioni sono costruiti intorno alle canzoni, dal Re leone alla Sirenetta, e poi La bella e la bestia, Aladdin, Tarzan, Mulan. Tutti insomma. E sono film da enormi incassi, dovunque: significa che Disney era riuscito a spaccare il pregiudizio, aveva trovato la formula di vendita del film musicale, anche da noi. In quella prima età dell'oro le canzoni non avevano bisogno di niente, nemmeno della storia, il canovaccio era orrendamente semplice: lui e lei litigavano poi, cantando e ballando si riconciliavano. Negli anni Cinquanta, la Metro produsse una serie di musical che non erano solo canzoni con contorno, ma commedie di qualità con musica di qualità. Magnifica evoluzione. L'eroe era Gene Kelly. Un Americano a Parigi e Cantando sotto la pioggia sono opere d'arte generali. Fecero scuola, che non sarebbe tanto importante, ma dispensarono gioia, che è più importante. E continuano.

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