Blade Runner 2049

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Un film di Denis Villeneuve. Con Ryan Gosling, Harrison Ford, Ana de Armas, Sylvia Hoeks, Robin Wright.
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Titolo originale Blade Runner 2049. Fantascienza, Ratings: Kids+13, durata 152 min. - USA 2017. - Warner Bros Italia uscita giovedì 5 ottobre 2017. MYMONETRO Blade Runner 2049 * * * - - valutazione media: 3,26 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

BLADE RUNNER 2049, UN FILM VISIVAMENTE POTENTE CHE CI CONDUCE IN UNA NUOVA SAGA

di MattiaGualeni


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martedì 17 ottobre 2017

Che cos’è Blade Runner 2049? Un sequel al capolavoro del 1982? Un upgrade? O un replicante? Ossia una di quelle creature, copie artificiali, del tutto identiche ad un essere umano, incapaci tuttavia di provare empatia e dalla vita programmata e breve? Blade Runner 2049 non passerebbe il test di Voight-Kampff: questo film è un replicante del capolavoro di Ridley Scott.
L’ottimo regista, il canadese Denis Villeneuve, che si era già distinto con Arrival nel genere fantascientifico, mette mano sopra una delle pietre miliari del genere e la riadatta non limitandosi a dirigere un semplice secondo capitolo. Fin dall’inizio, in quei cinque minuti di assoluto silenzio, di maestosa fotografia che ci espande il mondo di Blade Runner oltre il confine dello skyline nebbioso della città e delle sue ciminiere, ci viene mostrato un pianeta consumato dall’uomo, cupo, freddo e decadente. Qui prende avvio la vicenda, da un’indagine, come nel primo film, ma il protagonista è l’agente K (Ryan Gosling), un Blade Runner. La vicenda si svolge trenta anni dopo il primo film e in questo arco temporale la Tyrell corporation viene acquisita dalla Wallace, il mondo subisce un blackout che cancella gran parte dei dati tenuti su internet ed i replicanti sono nuovamente in commercio, grazie alla Wallace, per svolgere quei lavori che gli uomini non vogliono più fare. L’agente K ha il compito di “ritirare” i vecchi modelli della Tyrell che sono sfuggiti. L’agente K è un replicante però. Fin dall’inizio muta quindi l’impostazione rispetto all’ambiguità del film del 1982 che ci aveva lasciato con il dubbio se il protagonista Deckard (Harrison Ford) fosse o meno un replicante.
Villeneuve mantiene l’impostazione noir e retrofuturista e dirige lo spettatore in una serrata indagine che porterà l’agente K a dissotterrare un segreto che, come afferma il Tenente Joshi (Robin Wright), “potrebbe spaccare il mondo”.
Parallelamente al disvelamento degli indizi lo spettatore viene posto davanti a quelle domande etiche che già erano proprie del primo film ma queste vengono affiancate da nuove, più per un procedimento di somma algebrica che di analisi. Se nella pellicola del 1982 lo slogan della Tyrell era: “Più umano dell'umano” e ci si interrogava sul concetto di che cosa sia umano e sul significato della morte, qui ci si chiede se servono ancora gli uomini quando le macchine provano sentimenti e sul significato della vita e delle correlate conseguenze. Tuttavia queste domande trovano una minore profondità rispetto al Blade Runner del 1982 e sembrano stratificarsi più per un procedimento di sedimentazione col procedere dell’intreccio piuttosto che venir poste e analizzate mediante la sceneggiatura che rimane criptica e aperta in attesa di un sequel.
L’Easter egg (termine coniato da Steve Wright della Atari, società che compariva nelle insegne pubblicitarie nel film del 1982 e anche in quello attuale) rappresentato dagli innesti di memoria nell’agente K è il fil rouge della trama di Blade Runner 2049 ma la rende estremamente ermetica e non scorre come nell’originale. Anche nella Director’s cut del 1992 venne introdotto un Easter egg: ossia la scena in cui Deckard sogna un unicorno che, letta insieme alla sequenza finale in cui Rachael colpisce con la scarpa l'origami in foggia del fiabesco animale, insinuano il dubbio, che lo stesso Deckard possa essere un replicante. Tuttavia il risultato non ha lo stesso fascino ambiguo e gli ingranaggi del film sembrano mancare di un qualche giunto cardanico atto a trasmettere con fluidità il moto ai vari assi della trama.
Il lavoro di Villeneuve, coprodotto da Ridley Scott, e sceneggiato da Hampton Fancher che fu tra gli autori del capolavoro del 1982, è stato rivolto all’estendere il mondo di Blade Runner come una sprawl in continua espansione. Durante la Blade Runner 2049 Experience del Comic-Con di San Diego 2017 è stato proiettato un video che narrava la cronistoria di cosa fosse successo tra il 2019 ed il 2049 ed il regista aveva affermato: “Abbiamo creato un mondo che è un’estensione del primo film, una proiezione del suo futuro, in cui alcune leggi e regole saranno in relazione con il precedente e non con l’attualità”. Difatti il film è stato anticipato da tre cortometraggi che ci spiegano cosa sia successo nel 2022, nel 2036 e nel 2048 (nel quale vengono anche presentati il villain Neander Wallace e Sapper Morton interpretati rispettivamente da Jared Leto e Dave Bautista). Nel film si è ampliato il mondo di Blade Runner, uscendo da Los Angeles, arricchendolo di atmosfere retrofuturistiche e apocalittiche a Las Vegas, di luci e colori nuovi e persino di nove extramondi.
Alla fotografia Roger Deakins ritorna, dopo Prisoners e Sicario, a collaborare con Villeneuve e si fiuta odore di Oscar. L’intensità poetica dell’immagine è tale che ogni inquadratura è un’opera d’arte vedutista dipinta da un pittore del futuro. I colori sono la cifra aggiunta a questo film di fantascienza che ci regala perle come la silhouette di Ryan Gosling, in mezzo all’inquadratura dalle atmosfere quasi marziane, che richiama la fredda solitudine di “Viandante sul mare di nebbia” e “Donna al tramonto del sole” di Friedrich. Le inquadrature in volo degli “spinner”, le auto volanti, sono l’occasione per Deakins per ampliare il panorama di Blade Runner 2049 non più confinato ad una eterna Los Angeles notturna e piovosa. Il film inizia con una ripresa aerea dei campi freddi e distopici del 2049 che ci immerge fin dal principio in un mondo che rimpiange l’attuazione dell’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici. La neve è il pretesto per regalare giochi di luci e atmosfere inattese ed il mare ha la stessa cupa e biblica forza di un’incisione del Dorè. Due scene probabilmente entreranno nell’immaginario collettivo: la prima una scena d’amore, la seconda un duello a Las vegas. La scena d’amore è un bellissimo uso del digitale per creare un inedito menage a trois tra il protagonista, una replicante e l’applicazione olografica Joi (Ana de Armas), dove non vi è bisogno alcuno di nudità per raccontare. La seconda è un duello a Las Vegas, nel salone di un club, il cui buio e silenzio sono rotti dagli ologrammi e dalle voci di Elvis Presley e di Marilyn Monroe.
Il carattere retrofuturistico del film è reso ancor più evidente dalla scelta di non presentare un mondo tecnologicamente molto più avanzato rispetto alla pellicola del 1982. Questa scelta stilistica rende Blade Runner 2049 un innesto credibile al mondo di Deckard. L’espediente del blackout, che ha portato alla distruzione di tutti i dati informatici, causato da un impulso elettromagnetico è un espediente interessante. Non è una novità perché è stato già utilizzato nella serie Tv Dark Angel, creata da James Cameron, dove un ordigno nucleare esplodendo nella ionosfera aveva causato una potentissima onda elettromagnetica che aveva azzerato i sistemi informatici e di comunicazione di gran parte degli Stati Uniti. Questo azzeramento della memoria dei dati informatici è certamente un parallelismo con il fil rouge degli innesti di memoria del protagonista ed è un invito del regista a riflettere su internet come memoria collettiva e su quella individuale. L’espediente viene qui valorizzato, a differenza di Dark Angel, dal ritorno all’uso dell’analogico e questo approccio rende la pellicola molto particolare e interessante. Se nel primo film i replicanti erano ossessionati per le fotografie, in uno struggente tentativo di costruirsi una memoria affettiva per quanto artefatta, in Blade Runner 2049 compare l'espediente del giocattolo. Il protagonista si emoziona come un novello Ulisse alle parole di Demodoco quando ricorda questo frammento della propria memoria: un piccolo cavallo di legno intagliato a mano.
Ryan Gosling, l’agente K, sostiene un film lento ed ermetico anche se è evidente la ricerca di rassomigliare al Deckard del 1982. Ana de Armas, l’applicazione Joi, offre un’ottima interpretazione e ci insinua il dubbio che anche un’app può amare. Harrison Ford, l’agente Deckard, si redime dopo la pessima reinterpretazione di Han Solo e ci presenta un personaggio sofferto, invecchiato e credibile che vive autoesiliatosi in compagnia di un cane (vero o replicante che sia è un omaggio a Philip K. Dick). Jared Leto intrepreta il magnate Neander Wallace, il “non cattivo” del film perché ha un ruolo ambiguo e marginale, confinato a poche scene nelle quali si esprime come un profeta biblico mentre gioca a fare il Demiurgo nella sua piramide dorata, ed è carente della funzione cardine per la trama che invece aveva Tyrell nel film del 1982. Wallace è presentato come un magnate cieco, con la barba, a tratti simile ad un profeta veterotestamentario, in altri ad un fantascientifico John Milton e in altri ancora al demiurgo di William Blake. Tuttavia si sente la mancanza di un Roy Batty (Rutger Hauer) che pareva un luciferino angelo caduto, sofferente nella sua ricerca di senso e di vita, e che ci ha donato uno dei monologhi più intensi e famosi della storia del cinema.
Quindi Blade Runner 2049 è un ottimo film di fantascienza ma non è un capolavoro come la pellicola del 1982. Nonostante cerchi di creare una propria mitologia grazie ad un Roger Deakins strepitoso, ad allusioni e citazionismi vari, non ha la ruvida e carismatica forza del Blade Runner di Scott. La sceneggiatura non è al pari della fotografia: manca il pathos tragico della compagnia di replicanti di Roy Batty e molte scelte narrative fanno pensare all'inizio di una saga. L'opera di Villeneuve sicuramente rimarrà come modello estetico per i film di fantascienza a venire sia per la fotografia che per la scenografia e gli effetti speciali, ma non è andato oltre e purtroppo non ci ha fatto immaginare le navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione né i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser.

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