antoniomontefalcone
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venerdì 6 ottobre 2017
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un sequel che è un replicante più umano dell’umano
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“Blade Runner 2049”, esteticamente raffinato, è il degno sequel del cult del 1982. Simile e diverso dalla pellicola di Scott, la cui forza emozionale, profondità e carattere innovativo restano ineguagliabili e insuperabili, il film si mostra organico, con una propria identità, ricco e potente – soprattutto a livello tecnico e visivo – e complementare al predecessore.
Forse è un po’ esagerato o prematuro gridare al capolavoro, ma “Blade Runner 2049” è davvero ambizioso, affascinante, attraversato com’è da una sottile, malinconica solitudine esistenziale, generata dalla consapevolezza dell’impossibilità di poter esprimere tutto ciò che si vorrebbe, a prescindere dai dettami della propria natura, umana o replicante che sia.
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“Blade Runner 2049”, esteticamente raffinato, è il degno sequel del cult del 1982. Simile e diverso dalla pellicola di Scott, la cui forza emozionale, profondità e carattere innovativo restano ineguagliabili e insuperabili, il film si mostra organico, con una propria identità, ricco e potente – soprattutto a livello tecnico e visivo – e complementare al predecessore.
Forse è un po’ esagerato o prematuro gridare al capolavoro, ma “Blade Runner 2049” è davvero ambizioso, affascinante, attraversato com’è da una sottile, malinconica solitudine esistenziale, generata dalla consapevolezza dell’impossibilità di poter esprimere tutto ciò che si vorrebbe, a prescindere dai dettami della propria natura, umana o replicante che sia. La trama noir si sovrappone ai tanti interrogativi su identità e umanità che stanno al centro del racconto. Le questioni tematiche e filosofiche sono qui un aspetto centrale – benché non compiute in modo esauriente. L’idea di base è vincente, ma lo script rivela pochezza di fondo nel trattamento tematico o nella fragilità di certi dialoghi, risultando spesso poco convincente o inconcludente.
La visione immaginifica di Villeneuve però è un omaggio e una dichiarazione d’amore al capolavoro di Scott: del suo universo vi riprende l’essenza, ma lo espande e approfondisce ulteriormente. Visivamente perfetto, in alcuni punti rarefatto in modo quasi sperimentale, e con una forza scenica da pelle d’oca.
Le pause introspettive impongono ritmo e registro; Gassner crea magniloquenti scenografie ricche di finezze e nostalgia; la musica, contrappunto suggestivo, si sviluppa nelle pieghe del plot; il grigio ghiaccio, i colori fumosi, le tinte blu scuro e le tonalità argilla si mescolano in una tavolozza che dà forma a panorami distopici e interni asfissianti (eccelso anche il comparto VFX e un lodevole artigianato); il direttore della fotografia Roger Deakins rende la meraviglia più grande: la sua luce, i suoi colori dipingono disperata poesia e perfezione stilistica in ogni immagine, fondendo magistralmente il suo sguardo con quello del regista. Scene silenziose pregne di intensi sguardi degli attori (tutti bravi) si alternano ad azione e violenza, metafore di un mondo sempre invivibile, e la pellicola diventa così un’esperienza cinematografica stupefacente, intensa, da vedere al cinema per coglierne ogni traccia figurativa, sensoriale, espressiva.
Fantascienza curata, matura e umanista che parla alla testa e al cuore del pubblico, sa trasmettere un senso di ineluttabilità dal sapore tragico e lirico allo stesso tempo, riflesso di mancanze, fragilità e incompiutezze a cui condanna l’esistenza. In questa stessa sospensione è lasciato anche lo spettatore, avvolto nelle cupe situazioni, atmosfere e suggestioni vissute dai protagonisti, perennemente in equilibrio tra ciò che è reale e ciò che non lo è. Il progresso è realmente tale? Chi è davvero un replicante? Chi un essere umano? Chi è stato creato e chi no? Qual è la vera differenza? Ma soprattutto, chi siamo veramente noi? Cos’è l’uomo? Lo sguardo verso un immaginario futuro non fa che riecheggiare i dilemmi sociali, morali e identitari del nostro presente. Si è annullato il confine fra uomo e macchina sintetica. Continua lo sfruttamento dell’uomo sul suo simulacro, o dell’uomo sull’uomo. La deriva dell'umanità è ormai senza controllo. Per quanto si voglia cercare delle soluzioni o delle risposte nel futuro, la verità risiede sempre altrove, forse in noi, forse da nessuna parte...
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laurence316
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sabato 7 ottobre 2017
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teniamoci l'originale...
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... e, Hollywood, basta con questi sequel, prequel e remake
Dove sono le idee originali?
Fare un seguito a ben 35 anni di distanza di uno dei più grandi film di fantascienza, oggetto di culto per schiere di appassionati, era impresa ardua (e non si sa quanto auspicabile). Se ne parlava già dalla fine degli anni '90 ma, dopo diversi avvicendamenti, la patata bollente è infine passata a Villeneuve (il regista di Arrival) che, forte della sceneggiatura di due veterani del cinema (dei quali uno, Fancher, era sceneggiatore anche del primo film), si cimenta nell'impresa realizzando un film per molti versi anche interessante seppur mai neanche lontanamente paragonabile all'originale.
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... e, Hollywood, basta con questi sequel, prequel e remake
Dove sono le idee originali?
Fare un seguito a ben 35 anni di distanza di uno dei più grandi film di fantascienza, oggetto di culto per schiere di appassionati, era impresa ardua (e non si sa quanto auspicabile). Se ne parlava già dalla fine degli anni '90 ma, dopo diversi avvicendamenti, la patata bollente è infine passata a Villeneuve (il regista di Arrival) che, forte della sceneggiatura di due veterani del cinema (dei quali uno, Fancher, era sceneggiatore anche del primo film), si cimenta nell'impresa realizzando un film per molti versi anche interessante seppur mai neanche lontanamente paragonabile all'originale.
Per non incorrere in cocenti delusioni è perciò necessario giudicare il film nella sua unicità evitando spiacevoli paragoni con il film di Scott che si rivelerebbero tutti a sfavore di questo Blade Runner 2049. Che, comunque, presenta lo stesso i suoi bei difetti, anche se giudicato come film autonomo.
Tra lentezze e lungaggini
Innanzitutto, impiega veramente troppo tempo a partire, una buona oretta e forse anche più si poteva tranquillamente tagliare senza perdere proprio un bel niente in termini di storia ed atmosfera, ed anzi guadagnando in concisione e compattezza. E non si tratta di una questione di lentezza in sé, dato che anche il primo Blade Runner aveva nel ritmo sostenuto uno dei suoi punti di forza, ma di lentezza spesso ingiustificata, considerando il fatto che gran parte delle scene mostrate in questo lasso di tempo non hanno una così grande influenza sulla trama e nemmeno hanno la funzione di creare l’atmosfera (se quella era l’intenzione si poteva raggiungere lo scopo anche in molti meno minuti).
Il sapore fortemente derivativo
E, tra l’altro, bisogna dirlo, cedendo per la prima e l’unica volta ad un paragone con il film di Scott, l’atmosfera di questo seguito ha ben poco di originale ed anzi sa molto, molto di già visto (c’è poco di nuovo e allora viene da chiedersi cosa dovrebbe impedire allo spettatore di andare direttamente alla fonte, recuperando quel capolavoro della fantascienza cinematografica che è il primo Blade Runner, evitando di perdere tempo con opere derivative).
La sceneggiatura, fintamente complessa, annacquata e poco consistente, e il finale
Un altro punto dolente di Blade Runner 2049 è la sceneggiatura. Che non solo si dilunga inutilmente ma, come se non bastasse, orchestra un colpo di scena finale che è solo irritante e fastidioso e che, semplificando per evitare spoiler, rovescia le carte in tavola facendo assumere al film i connotati del mero prologo di qualcosa di ben più vasto e grandioso che, evidentemente, è previsto per il futuro (insomma, un clamoroso finale aperto che lascia la storia principale e più interessante, riguardante un prossimo conflitto tra due opposte fazioni, a data da destinarsi [sempre che poi del film venga effettivamente prodotto un seguito]).
Un colpo di scena che riguarda anche il protagonista di questo film, l’agente K, e che, retrospettivamente, porta a chiedersi quale sia stato il senso di assistere ad un film, tra l’altro di oltre due ore e mezza, che non conclude un bel niente di fatto e, di conseguenza, non aggiunge neanche un bel niente a quanto detto in precedenza nel film dell’82. E che anzi lascia, come detto, gli sviluppi più interessanti a chissà quando (magari un ulteriore seguito ad altri 35 anni di distanza, nel 2052).
Ma quale villain
E poi colui che dovrebbe sostanzialmente fare la parte del “cattivo” di turno, il Neander Wallace interpretato da J. Leto, non compare quasi mai e si rivela alquanto inutile (probabilmente anche quest’ultimo avrà un ruolo maggior in un ideale prossimo capitolo, chi lo sa).
Ma quale capolavoro
Insomma, Blade Runner 2049 rivela sempre più, man mano che si sviluppa, la sua mera natura di blockbuster industriale d’intrattenimento senza una visione propria ben definita. Non che questo sia necessariamente di per sé un male, ma date le pretese filosofiche che accampa forse sarebbe stato lecito aspettarsi qualcosina di più di un paio di belle scene, di un ottima fotografia e di diversi ottimi effetti speciali. Tutto caratteristiche che lo accomunano a schiere di altri film che però nessuno giudica grandi traguardi dell’arte cinematografica, né tra i migliori sequel della storia del cinema né tanto meno dei capolavori (come sempre più spesso accade la critica d’oltreoceano si è lasciata un po’ andare in una profusione di elogi non molto meritati).
Il film di Villeneuve è un film di puro intrattenimento e non un’opera d’arte né un nuovo traguardo della fantascienza cinematografica che, appunto, oltre ad un paio di buone sequenze (quella al rifugio di Deckard in una Las Vegas post-apocalittica e quella finale) offre ben poco (e ripara in una scontata scazzottata per risolvere la faccenda).
Che cosa rimarrà di questo film?
E’ difficile immaginare che questo Blade Runner 2049 farà ancora parlare di sé tra 35 anni, è difficile immaginare che diventerà un nuovo cult movie ed è difficile immaginare che anche solo una persona sarà in grado di nominare una singola sequenza veramente memorabile di questo film, una singola sequenza veramente eccezionale in cui si distingua dal Blade Runner di Ridley Scott sulle cui spalle si appoggia per gran parte della durata, una singola citazione veramente da ricordare (i tempi delle cose che nessun umano potrebbe mai immaginare a quanto pare sono finiti da un pezzo).
Concludendo, è un film che si lascia guardare, ad eccezione di alcuni momenti in cui rallenta un po’ troppo, che si può vedere se non altro per curiosità, un film discreto che però non impressiona più di tanto e che, in fin dei conti, poteva essere molto meglio (i presupposti, dopotutto, c’erano tutti)
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[+] mai neanche lontanamente paragonabile...
(di pietrosg)
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zaius72
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sabato 3 febbraio 2018
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un trionfo di occasioni sprecate
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Ho visto Blade Runner 2049 in 4k con tutte le cose che possono servire per una fruizione domestica adeguata.
Voglio dire la mia anche se si è già detto molto perchè amo alla follia l'originale dalla mia prima visione nel 1984 (seconda visione anzi, al cinema parrocchiale), credo di averlo visto una quindicina di volte.
Non è un'orrenda cagata, è semplicemente un trionfo di occasioni sprecate.
Non ho simpatie e antipatie particolari per gli attori o Villeneuve, soprattutto per Gosling che anzi, trovo piuttosto azzeccato per il ruolo.
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Ho visto Blade Runner 2049 in 4k con tutte le cose che possono servire per una fruizione domestica adeguata.
Voglio dire la mia anche se si è già detto molto perchè amo alla follia l'originale dalla mia prima visione nel 1984 (seconda visione anzi, al cinema parrocchiale), credo di averlo visto una quindicina di volte.
Non è un'orrenda cagata, è semplicemente un trionfo di occasioni sprecate.
Non ho simpatie e antipatie particolari per gli attori o Villeneuve, soprattutto per Gosling che anzi, trovo piuttosto azzeccato per il ruolo.
Ma lo spessore, soprattutto il fascino dei personaggi, è praticamente nullo.
La storia che pure ha alcuni spunti interessanti, si evolve in maniera scontata, quasi puerile in alcuni momenti.
Manca un villain con i controcazzi ovviamente, capisco che non si trova un Rutger Hauer dietro l'angolo, ma il primo replicante con cui si incontra l'agente K, è l'UNICO personaggio veramente centrato in tutto il film, il rimando al Leon dell'originale è forse scontato, ma credo sia un omaggio doveroso.
Terribile l'assistente dell'erede di Tyrell, Wallace (un Jared Leto che esce sbriciolato dal confronto con Eldon Tyrell), personaggio mal strutturato, mal concepito.
L'impianto registico è ispirato dall'originale, ma funziona solo nei momenti più statici, non vi è un momento di tensione, l'intera sequenza finale dell'originale nella casa di JF Sebastian ricordiamo, che oltre che essere incredibilmente onirica, è una vera ''caccia'', la tensione è devastante.
Ma la vera assenza, pesantissima, è la colonna sonora.
Hans Zimmer, un autore funzionale a Superman o cartopanettoni disney, che pure aveva lavorato bene in Interstellar, qui viene completamente devastato nel paragone a Vangelis.
Ora, immagino che Vangelis sia inciabattato nella sua villa parigina circondato di synth e tastiere e che mai si sarebbe prestato al sequel di Blade Runner, ma se avessero avuto più coraggio, commissionando l'ost ad un Trent Reznor, o a qualche oscuro personaggio del mondo della vaporwave o techno dub, avrebbero fatto un lavoro che forse, ma solo forse, avrebbe migliorato molto alcune scene del film, che con il supporto di un'adeguata colonna sonora avrebbero beneficiato in termini di tensione, emozione e fascino. Un occasione persa, spero che alla produzione la lezione sia bastata.
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samanta
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lunedì 16 ottobre 2017
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perché non credete nel miracolo
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Una prima precisazione: il film, sequel di Blad Runner è strettamente collegato a questo. Per cui resta difficile dopo 36 anni che lo spettatore che non ha visto recentemente il primo comprenda a pieno la nuova storia già di per sé complessa. Brevemente accenniamo alla trama: nel film precedente avevamo lasciato Rich (Harrison Ford) cacciatore dei replicanti che si erano ribellati e Rachael (una splendida Sean Young che purtroppo ha avuto una carriera infelice) che è una replicante e che innamorati abbandonano insieme Los Angeles del 2019.
Nel sequel (avvertimento SPOILER) siamo sempre a L.A. nel 2049 che dopo la catastrofe avvenuta 30 anni prima è stato riorganizzata economicamente da un finanziere filantropo Wallace (Jared Leto) che ha deciso la produzione di un nuovo tipo di replicanti obbedienti e la caccia ai superstiti del precedente tipo.
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Una prima precisazione: il film, sequel di Blad Runner è strettamente collegato a questo. Per cui resta difficile dopo 36 anni che lo spettatore che non ha visto recentemente il primo comprenda a pieno la nuova storia già di per sé complessa. Brevemente accenniamo alla trama: nel film precedente avevamo lasciato Rich (Harrison Ford) cacciatore dei replicanti che si erano ribellati e Rachael (una splendida Sean Young che purtroppo ha avuto una carriera infelice) che è una replicante e che innamorati abbandonano insieme Los Angeles del 2019.
Nel sequel (avvertimento SPOILER) siamo sempre a L.A. nel 2049 che dopo la catastrofe avvenuta 30 anni prima è stato riorganizzata economicamente da un finanziere filantropo Wallace (Jared Leto) che ha deciso la produzione di un nuovo tipo di replicanti obbedienti e la caccia ai superstiti del precedente tipo. K (Ryan Gosling) è un replicante agente della polizia, addetto alla caccia dei superstiti alle dipendente del tenente Joshi (Robin Wright). K uccidendo un replicante che morendo gli dice "perché non credete nel miracolo", scopre delle tracce che dimostrano che una donna replicante aveva partorito nel 2021, analizzando queste tracce lasciate dal morto e che corrispondono alle memorie inserite nel suo cervello, K ritiene che suo padre sia Rick che vive nella vecchia L.A. abbandonata e che ritrova (sempre impersonato da Harrison Ford). Mi fermo qui nella trama per non rovinare la visione del finale con i suoi inevitabili colpi di scena.
Per quanto riguarda il film un'osservazione critica riguarda la sua lunghezza (quasi tre ore) e la lentezza, se il primo film era stato criticato perché lento questo presenta lungaggini ben più estese. Non è cambiata l'atmosfera meteorologica piove sempre l'unica novità è l'alternarsi con la neve, il regista (Ridley Scott è il produttore) che è Denis Villeneuve ((Arrival il suo precedente film) ha preferito una fotografia più nitida, ha abbandonato l'ambientazione lugubre e disordinata del precedente film che peraltro colpiva l'immaginazione per la novità dei temi trattati e dell'ambiente. Temi che ritornano in questo film: l'uomo può essere creatore ovvero l'anima è un qualche cosa che sfugge al suo controllo? Joshi dice a K " devi comprendere che si può vivere senza anima" ma è possibile questo? Purtuttavia il film sostanzialmente delude proprio perché è ambiguo, d'altra parte non si vede l'utilità di un sequel dopo 36 anni, sarebbe stato meglio un film che riprendesse tali tematiche, ma del tutto nuovo come sceneggiatura. L'intepretazione è molto buona per alcuni interpreti specie Ryan Gosling che fa una parte molto difficile, ottimi Robin Wright e Harrison Ford che gigioneggia in modo contenuto, mediocri gli altri come ad esempio Ama de Armas che interpreta Joi l'amante virtuale di K e che ha al suo attivo alcuni film scollacciati. Per concludere domanda Ridley Scott perché hai voluto fare un sequel,? A mio avviso non se ne vede da un punto di vista artistico l'utilità.
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giu.spa
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giovedì 7 maggio 2020
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robot di carne
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Il film è a tutti gli effetti la naturale prosecuzione del primo Blade Runner del 1982, infatti riprende bene le ambientazioni con le atmosfere cupe, piovose e... polverose, il crogiolo di etnie e il vintage futuristico, le luminescenti onnipresenti interattive pubblicità tridimensionali, anche queste “più reali del reale”. Anzi per certi aspetti BR2049 rispecchia maggiormente le atmosfere raccontate nel libro di P.K. Dick rispetto al BR1982, infatti Dick descrive delle enormi città morte con giganteschi grattacieli abbandonati e vuoti, abitati solo da pochi reietti, persone ai margini delle società. Luoghi coperti e pervasi perennemente da un sottile e persistente strato di polvere.
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Il film è a tutti gli effetti la naturale prosecuzione del primo Blade Runner del 1982, infatti riprende bene le ambientazioni con le atmosfere cupe, piovose e... polverose, il crogiolo di etnie e il vintage futuristico, le luminescenti onnipresenti interattive pubblicità tridimensionali, anche queste “più reali del reale”. Anzi per certi aspetti BR2049 rispecchia maggiormente le atmosfere raccontate nel libro di P.K. Dick rispetto al BR1982, infatti Dick descrive delle enormi città morte con giganteschi grattacieli abbandonati e vuoti, abitati solo da pochi reietti, persone ai margini delle società. Luoghi coperti e pervasi perennemente da un sottile e persistente strato di polvere... la palta. L’agente K di BR2049, ricorda maggiormente il Deckard del libro di Dick, rispetto al Deckard di Ford; ma il protagonista del libro è un impiegato mediocre che svolge un lavoro scomodo che però gli può permettere, per una questione di prestigio sociale, di acquistare un animale “vivo”, ma nel frattempo si deve accontentare solo di una pecora elettrica.
In BR1982 i replicanti sembrano esseri viventi creati con l’ingegneria genetica, fatti di parti biologiche ( il vecchio orientale che fabbrica gli occhi dei Nexus), così come pare lo siano quelli del sequel BR2049, costruiti utilizzando le stesse quattro basi azotate che compongono il DNA dell’uomo: sono degli esseri viventi che replicano la vita umana... Una sorta di cloni, o meglio, come gli chiama lo stesso Dick, i robot umanoidi, gli androidi organici, che di per se è un ossimoro in quanto l’androide è una macchina, per quanto sofisticata e complicata e complessa, è e resta una macchina.
Il richiamo forte è al ciclo del ware di Rudy Rucker col suo Manchile, robot di carne capace di riprodursi. L’accostamento diventa evidente verso la fine di BR2049, con l’epifania sull’erede di Deckard e Rachael...
Infine, quello che si intravede è la possibilità di un altro nuovo capitolo, un BRIII; una trilogia del Blade Runner e così che piace agli americani... e forse addirittura un IV capitolo... come lo è stato, giusto per stare “dietro” ad Harrison Ford, per Indiana Jones col suo (orrore!) Il Regno del Teschio di Cristallo, così come è per Star Wars con tutti i suoi capitoli, svariati spin off prequel e sequel...
E così come lo è stato con i sequel di Alien e come lo è ora con i prequel... insomma, un franchising.
Tutto sommato un film godibile che però non credo arriverà alle vette di phatos del precedente e non perché il regista o gli attori o le scenografie e gli effetti speciali non siano all’altezza, certo, manca quel “qualcosa”, che nel primo film, oltre la novità creativa, forse è la famosa frase che Roy Batty dice un attimo prima di spegnersi... Vedremo col tempo.
In conclusione, quello che appare è una certa paura dell’Uomo verso ciò che può creare; è la vecchia storia della creatura di Frankenstein che in un certo qual modo si ribella al suo creatore e vuole vivere la sua vita.
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jeanlot71
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sabato 5 maggio 2018
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villeneuve coraggioso , ma non basta
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Blade Runner del 1982 e' un film favoloso. Lo vidi a meta' degli anni ottanta , in vhs, ero insieme a mia madre che non c' e' piu' da pochi anni. Ci accorgemmo subito di aver visto un grande film. Era forse il 1986, ero un ragazzino. Capite bene che quando sono andato al cinema per vedere Blade Runner 2049 ero estremamente eccitato, e speranzoso anche. Ho rivisto il film piu' volte, in digitale, in Tv, per crearmi un idea precisa e sperando sinceramente che mi piacesse di piu'. Purtroppo invece mi e' rimasta una grande delusione. Manca all' opera di Villeneuve la magia del primo film, le scenografie mozzafiato, le musiche stupefacenti. E il soundtrack e' uno degli aspetti che piu' mi hanno deluso.
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Blade Runner del 1982 e' un film favoloso. Lo vidi a meta' degli anni ottanta , in vhs, ero insieme a mia madre che non c' e' piu' da pochi anni. Ci accorgemmo subito di aver visto un grande film. Era forse il 1986, ero un ragazzino. Capite bene che quando sono andato al cinema per vedere Blade Runner 2049 ero estremamente eccitato, e speranzoso anche. Ho rivisto il film piu' volte, in digitale, in Tv, per crearmi un idea precisa e sperando sinceramente che mi piacesse di piu'. Purtroppo invece mi e' rimasta una grande delusione. Manca all' opera di Villeneuve la magia del primo film, le scenografie mozzafiato, le musiche stupefacenti. E il soundtrack e' uno degli aspetti che piu' mi hanno deluso. Peraltro il buon Denis ha dato a wallfish e zimmer solo un paio di mesi a disposizione per comporre le musiche.. Ho cercato in rete le interviste di Wallfish sul film, e devo dire che mi sono fatto l' idea che il bravo Benjamin abbia affrontato questa prova con un po' di superficialita'. Eppure io ho adorato le sue musiche per "la cura dal benessere" che erano pero' composte con violini e strumenti tradizionali. Addirittura Zimmer era in tour , che ha dovuto abbandonare per la richiesta di Villeneuve, e lui pare abbia lavorato alla soundtrack solo 10 giorni , di fatto lasciando il compito a Wallfish - il quale peraltro sta componendo due sountrack al mese perche' in questo periodo lo cercano tutti i registi.Mah non so che pensare. Pochissimi musicisti al mondo sono bravi come Vangelis ad usare i sinths analogici...e comunque il talentuoso Wallfish non e' tra quelli. E lo dico da fan di Vangelis ed anche di Wallfish! Certo ...alcune scene del film , pur prive di adeguato sottofondo musicale, sono meravigliose : mi vengono in mente soprattutto quelle in cui e' presente la sfortunata joi, interpretata dalla De Armas , la cui interpretazione mi ha molto colpito. Peraltro tutti gli attori si sono dimostrati all' altezza. Molti contestano a Goslin la mancanza di espressivita' ma a mio avviso lui entra bene nella parte del replicante. Una cosa che non mi e' proprio piaciuta e' la presenza di continui "spiegoni" : il pubblico viene imboccato continuamente senza lasciare che possa interpretare da solo gli eventi. La sceneggiatura mi ha convinto poco, e il finale non mi e' piaciuto per nulla (uguale a Drive). Tutta la seconda parte del film si poteva tranquillamente stralciare , non sarebbe cambiato nulla. Manca in questo film il rapporto tra umano e non umano che pure era sviluppato in modo cosi' poetico nel primo film. Tutti i protagonisti , o quasi, sono difatti dei replicanti...e risultano privi di sentimenti ne' piu' ne' meno che i pochi umani presenti nella storia. Che senso ha quindi avuto questo sequel ? l' unico che rinvengo e' quello di omaggiare e far riscoprire (a chi non lo conoscesse) il Blade Runner di R Scott che era e rimane un film di inarrivabile bellezza e fondamentale importanza
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giorpost
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venerdì 6 ottobre 2017
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senza inutili paragoni, questo noir di fantascienza è un degno erede (in tutti i sensi) del capolavoro dell 1982. un film che è tutto un ologramma
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Anno 2049. Los Angeles è una megalopoli super urbanizzata, un agglomerato di cemento e ferro senza sbocchi. L'umanità, non solo qui, divide lo spazio (limitato) con la nuova generazione di replicanti, in un mondo in balia della tecnologia attraverso la quale si fa fatica a riconoscere chi è vero e chi no. L'agente K è un blade runner, lui stesso replicante, poliziotto cacciatore di suoi simili ma di vecchia generazione, divenuti ormai illegali: i vecchi Nexus, infatti, erano soliti ribellarsi al loro status di schiavi. K ne individua uno, suo nuovo obiettivo, Sapper Morton, nella sterminata periferia agricola; questi, diventato nel frattempo un tranquillo agricoltore di proteine, vende caro il suo “lavoro in pelle” e prima di essere ritirato pronuncia parole dense di significato e misteri.
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Anno 2049. Los Angeles è una megalopoli super urbanizzata, un agglomerato di cemento e ferro senza sbocchi. L'umanità, non solo qui, divide lo spazio (limitato) con la nuova generazione di replicanti, in un mondo in balia della tecnologia attraverso la quale si fa fatica a riconoscere chi è vero e chi no. L'agente K è un blade runner, lui stesso replicante, poliziotto cacciatore di suoi simili ma di vecchia generazione, divenuti ormai illegali: i vecchi Nexus, infatti, erano soliti ribellarsi al loro status di schiavi. K ne individua uno, suo nuovo obiettivo, Sapper Morton, nella sterminata periferia agricola; questi, diventato nel frattempo un tranquillo agricoltore di proteine, vende caro il suo “lavoro in pelle” e prima di essere ritirato pronuncia parole dense di significato e misteri. Ma uno di questi, per K, diverrà molto presto il suo cruccio, allorquando si vedrà costretto suo malgrado ad affrontare il più grande dei segreti che la razza umana potesse affrontare, una svolta in termini bioetici che non porterebbe, forse, a nulla di buono. Avendo per la prima volta disobbedito agli ordini e sospeso, dunque, dal capo della polizia, K dovrà ripercorrere una storia a ritroso che lo riguarda molto da vicino (anche se meno di quanto si aspettasse a un certo punto) e per farlo dovrà rintracciare il vecchio agente Rick Deckard, ex blade runner che 30 prima si innamorò perdutamente di Rachael -replicante “speciale” messa al mondo dalla fallita Tyrell Corp- e sparito dalla circolazione. Rintracciato nella desolante, tossica e monumentale Las Vegas, Deckard sembra sapere molto più di quanto non faccia credere, pur essendo rimasto egli stesso con qualcosa in sospeso Nel frattempo, però, occorre fare i conti con colui che ha preso le redini della Tyrell, un uomo (o replicante egli stesso?) che risulta essere spietato, megalomane ed egocentrico fino allo stremo. Si chiama Niander Wallace, e la sua perfida e fidata Luv non gli è da meno...
Senza assolutamente fare inutili e pretenziosi paragoni con il capolavoro del 1982, Blade Runner 2049 (USA, 2017) è un'opera che si colloca immediatamente nella lista dei film più belli del nuovo millennio, e vi spiego i perché. Pur avendo ineludibili connessioni con l'originale e pur seguendo la linea narrativa e temporale degli sceneggiatori di allora (e di oggi), BR2049 può tranquillamente vivere di vita propria; la pellicola di Denis Villeneuve è colma di bellezza visiva, scenograficamente superlativa, caratterizzata da una tecnologia ancor più invasiva del precedente ma con una diversa impostazione cromatica. La storica frase “troppa luce qui”, infatti, non si confà troppo all'opera, la quale risulta avere maggiore presenza di luce e nella quale riusciamo a scorgere anche quella del giorno, anche se la notte la fa ancora da padrona. Ma i tratti in comune con il cult di Ridley Scott ci sono, eccome! A cominciare dalle tante citazioni, alla presenza costante di pioggia -sostituita solo da neve o sabbia a seconda della latitudine- dagli ombrelli luminescenti, le macchine della polizia, files vocali che riproducono dialoghi indimenticabili, riproduzioni di personaggi o riproposizioni in chiave moderna (Mackenzie Davis è truccata come la Pris di Daryl Hannah). L'immaginifico e complesso tessuto urbano della California del 2049 risulta affascinante quanto quello del 2019, riprodotto con la CGI in un lavoro davvero meticoloso. La musica, poi, ha un ruolo a dir poco magnetico in questo lavoro: il tappeto sonoro (che vincerà l'oscar senza difficoltà) è carico e pomposo, ma di una bellezza inaudita, oltre che simile alle intuizioni dei Vangelis, ai quali è ispirato. Innumerevoli le sequenze mozzafiato di auto volanti che sfrecciano tra i fumosi dedali di grattaceli e luci, in una società divenuta dipendente dagli ologrammi. E proprio qui sta la parte più innovativa del film, che si discosta dal sottogenere cui appartiene: gli ologrammi non rappresentano altro che la nuova era della pubblicità, nella quale a fare la parte del leone (oltre ai soliti marchi) è la donna, tra bellezze giunoniche e sensualità virtuale. Blade Runner 2049 non è solo un'opera di fantascienza (che ad un certo punto si discosta dal libro di Philip K. Dick), ma anche di erotismo post-moderno mostrato con classe ma non senza coraggio. Il sesso è presente solo di striscio, sia chiaro, e c'è altresì molto romanticismo legato alla figura della bella Joi (riuscitissima la performance di Ana De Armas), convivente in 3D di K, il quale è talmente abituato a non avere contatti reali che proverà paura ad interagire con una donna in carne ed ossa. Il cast è perfetto in tutti i suoi componenti, anche se Ford poteva metterci maggiore enfasi; il numero di parole pronunciate da Deckard in questo sequel, tuttavia, supera di gran lunga quello del primo, nonostante entri in scena solo un'ora dopo l'inizio della pellicola; Ryan Gosling si conferma bravo, praticamente perfetto con quel suo viso leggermente inespressivo ma carico di domande; molto bene anche Sylvia Hoeks (un'olandese semi-sconosciuta) nei panni della perfida Luv. Solo una cosa non mi è parsa chiara: che fine fa il villain Wallace? Forse, chissà, ci possiamo attendere un altro sequel, o prequel, ma quel che è certo è che siamo nell'era dei franchise e, dunque, anche il nostro amatissimo Blade Runner (quello originale) deve pagare lo scotto. Detto ciò, di questo noir di fantascienza ricorderemo la poetica, l'ardore registico, la bellissima fotografia, la semplicità (una volta tanto) della storia, gli omaggi a Sinatra e Presley che sanno tanto di Futurama (per la gioia di Matt Groening); e rimarranno impressi anche i difetti di fabbrica, quelli voluti e non (le immagini che si bloccano) e alla fine, anche se manca un monologo alla Roy Beattie, riusciamo a sentire ancora quel riecheggio al di sopra del tempo “ come lacrime nella pioggia”. Stavolta, però, alla fine c'è la neve.
Voto: 9
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nicola1
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martedì 10 ottobre 2017
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aveva ragione stanley
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Primo, ricordo di aver letto anni fa che quando la MGM nei primi anni 80 aveva deciso di girare il seguito di "2001" il primo regista ad essere contattato fu Stanley Kubrick. Il quale cordialmente rifiutò e asserì di aver già detto tutto al riguardo nel 1968. Secondo, sempre negli anni 80 David Lynch rifiutò la regia de “Il ritorno dello Jedi” in quanto vide che il prodotto era già ermeticamente confezionato e che lui, sentendosi un autore, avrebbe fatto solo il regista stipendiato. Queste due osservazioni bastano a rimarcare l’inutilità di questo film. Ridley Scott dopo aver fatto due insulsi e commerciali prequel di "Alien", ora distrugge il suo secondo capolavoro con un inutile sequel.
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Primo, ricordo di aver letto anni fa che quando la MGM nei primi anni 80 aveva deciso di girare il seguito di "2001" il primo regista ad essere contattato fu Stanley Kubrick. Il quale cordialmente rifiutò e asserì di aver già detto tutto al riguardo nel 1968. Secondo, sempre negli anni 80 David Lynch rifiutò la regia de “Il ritorno dello Jedi” in quanto vide che il prodotto era già ermeticamente confezionato e che lui, sentendosi un autore, avrebbe fatto solo il regista stipendiato. Queste due osservazioni bastano a rimarcare l’inutilità di questo film. Ridley Scott dopo aver fatto due insulsi e commerciali prequel di "Alien", ora distrugge il suo secondo capolavoro con un inutile sequel. E Villenueve (che io ritengo il miglior regista attualmente in circolazione) non ebbe la stessa accortezza di Lynch. La cosa peggiore è poi che in questo film è vagamente velata la possibilità di ulteriori seguiti. La “guerra è alle porte” ci ammonisce una santona orba. E questo non significa altro che presto saremmo sommersi da una valanga di film sulla guerra tra umani e replicanti. Mentre l’evoluzione stilistica è accettabile, e probabilmente qui il regista ha un suo merito, la parte prettamente narrativa è poi disarmante. Personaggi irritanti e banali. La geisha digitale innamorata e il nuovo Tyrell filosofo su tutti. Il personaggio interpretato da Leto assomiglia poi ad un altro di un film di Scott. Mi riferisco all’insopportabile capo clan intellettual-filosofo di "The Counselor". Poi cadute di stile (tra l’altro già viste anche nei prequel di Alien) che nel 1982 erano completamente assenti. Gli Elvis e Sinatra digitali e la stupida scazzottata alla Chuck Norris tra Ford e Gosling. Gli scontri tra Decard e i quattro replicanti erano tutta un’altra cosa. Comunque l’errore è mio, sono andato a vederlo per curiosità e questo ha dato l’alibi perfetto per poter andare avanti su questa strada. Poi la critica non importa a nessuno e il pudore o la vergogna non fanno più parte dei produttori hollywoodiani.
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loland10
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mercoledì 18 ottobre 2017
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antidoto e futuro
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“E’ un albero”, “Non ho mai visto un albero”, “E’ morto”. 6/10/21.
Dopo alcuni lustri ecco arrivare il capitolo after-sequel del ‘Blade Runner’ (1982) di Ridley Scott che (per chi non gradisce il piccolo) si consiglia di vedere sul grande schermo per apprezzarne l’immaginario, l’ambientazione e lo stile maestoso con la musica di Vangelis (schiumante di vertigine e di bellezza in apice). Rivederlo e rivederlo per non mascherare la ‘grandezza’ di un regista come l’inglese oggi (quasi) dimenticando nonostante prosegue un lavoro ‘non di routine’ da quarant’anni.
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“E’ un albero”, “Non ho mai visto un albero”, “E’ morto”. 6/10/21.
Dopo alcuni lustri ecco arrivare il capitolo after-sequel del ‘Blade Runner’ (1982) di Ridley Scott che (per chi non gradisce il piccolo) si consiglia di vedere sul grande schermo per apprezzarne l’immaginario, l’ambientazione e lo stile maestoso con la musica di Vangelis (schiumante di vertigine e di bellezza in apice). Rivederlo e rivederlo per non mascherare la ‘grandezza’ di un regista come l’inglese oggi (quasi) dimenticando nonostante prosegue un lavoro ‘non di routine’ da quarant’anni. Il regista più volte aveva manifesta di girarne un capitolo successivo della sua opera (da un racconto di Philip Dick) ma lungaggini, sceneggiature, rimandi, produzione (o non proprio il suo chiodo fisso) hanno interrotto il progetto più volte … ed ecco arrivare ad oggi come (se la lunga attesa) un film mai visto (chi sa se molti che vedranno il 2049 hanno già visto il 2019?!).
Bastano pochi attimi per leggere le didascalie di introduzione per avere il ‘piacere’ di sapere molto. E le scritte minime, quasi illeggibili, il titolo in alto, senza enfasi, con un numero quasi da aggiungere, chiariscono che lo sguardo sarà (quasi) sempre verso l’alto (aspirazione di livello, infinito mondo, blade che taglia l’orizzonte e runner veloce per seguire lo spazio vuoto).
Legato (da un filo sottile) per delle sequenza a se stanti con dovizia di particolari del nulla, di colori appassiti e di ambienti alquanto iperbolici.
Attraenti quadri oltre il confine, uno sguardo nel futuro pieno di vuoti, come asettico, impermeabile e senza un minimo cambio di ‘sguardo’ è l’agente K, come temperatura fissa e quasi tendente al grado minimo kelvin.
Didascalico nelle riprese con motivi e movimenti insieme a un ‘drone’ (sor)veglia(rdo) di una terra addormentata.
Elegante e discreto con un sottofondo rimarchevole di ‘terreo’, ‘smorto’, ‘pen(o)s(os)amente polveroso e artificioso: l’orizzonte è lontano ma ‘sembra vicino’.
Ryan Gosling è solo, l’agente che cerca il suo presente in un futuro idiomatico e pieno di cromatismo lineare e plumbeo.
Unico e irripetibile il ‘Blade Runner’ (1982) con l’uscita sul grande schermo dove il finale (poi regredito e tolto) mascherava la vita da una parte all’altra e il ‘replicante’ filmico si concedeva un racconto e un score musicale da ‘vero applauso’.
Nulla da dire, come nulla do obiettare ma l’imprimatur su questo film una volta finito non è ‘forte’: si può rivedere ma senza quella sensazione plaudente di grande voglia.
Nulla può Hans Zimmer (anche se non ha nulla da invidiare ad altri) a riempire lo schermo con uno score suggestivamente di livello eccelso.
E Deckart riesce dal buio (con voce fuori campo) a farci sentire i brividi e a ‘mangiare’ il film con poche battute e la sensazione che il biglietto è ben pagato. Harrison Ford (con rughe e viso impasticciato) riesce con i suoi pochi movimenti a darci la sensazione di un film troppo lungo e di un arrivo in linea d’arrivo fino a dirci che la sceneggiatura ‘meravigliosa’ (come si legge è stata definita dal duo attoriale) non ha da rimpiangere nulla ma soltanto da tagliare l’imponderabile pensiero di una storia troppo di ‘studio’ e ‘compiacente’.
Replicante o solo nuova visuale, bella fotocopia o solo futuro, cartina da tornasole o celluloide rimasterizzata….o forse ancora un digitale che vuole sorbolare oltre i colori dell’inquadratura.
2 come secondo capitolo, non penseranno di farne un terzo … nel 2079…forse è meglio finirla qui.
0come gruppo di un ologramma invisibile (e rifare il verso al Kubrick girovago nello Spazio senza fine in un Terra o di quello che resta pare inopportuno per un fattore K
4meno uno per una partitura che tampona il timpano ma non ricordi con entusiasmo;
9 meno due (e anche meno) per un voto di routine (non sarà così per tutti immagino …) per un film pieno di belle fotografie ma vuoto di pathos ‘meccanicamente’ costruito.
Ridley Scott, che qui si registra come produttore, dietro le quinte (eppur il suo nome è stato letto più volte per un seguito del suo film). Denis Villeneuve ha avuto coraggio nell’accettare un film difficile già nel titolo: certo non disdegna voli, fantasie filosofie pindariche ma l’empatia delle componenti non si raggiunge in modo sincrono. Tutto attaccato con un filo leggero e tutto staccato con sequenze a se stanti per una durata ‘allungata’. E poi ogni dovizia di particolari viene spiegata e articolata in discorsi laboriosi e da predica.
Il regista canadese ha classe e stile personale e il suo meglio è nel duo ‘La donna che canta’ (2010) e ‘Prisoners’ (2013). Poi uno studio utile sul suo modo di girare che non porta a lavori ‘liberi’ e ‘di livello’ (si veda ‘Sicario’ del 2015 e anche quest’ultima pellicola).
Materia infame e grezza, morente e senza vita, Villeneuve ci offre un film di tempi oramai persi in un futuro dove il trucido è bello e ogni cosa, parrebbe essere a suo posto. La fotografia resta interessante sotto il profilo dello sguardo: in certi frangenti si ha la sensazione di vedere una pellicola di William Friedkin (‘Vivere e morire a Los Angeles’, 1985) dove le sfumature e il buio rabbrividiscono in un presente già futuro.
Siamo ripuliti dal Day-after. Non c' è più nulla da sottosopra solo infausta polveriera o meglio pulizia artificiale con gli sponsor in bella evidenza (come un ‘simbolo’ il motore denaro Sony alza la sua voce oltre qualcosa che non si vuole).Siamo anche dentro quadri metafisici dove un De Chirico oppure un Picasso possono anche sfigurare (si fa per dire…).
Ciò che stimiamo è ciò che evidentemente ci fa piacere. Allo sguardo, e non solo, del film in questione (appena usciti dalla sala) si rimane allargati nelle immagini con futuri ben delineati e colora-menti appesi in un pennello buttato oltre la cinepresa.
Per il cast si ha la sensazione (netta) che i ruoli di contorno battono quelli principali: colpa di una sceneggiatura asimmetrica, di un Ryan Gosling non primissimo o di un Harrison Ford che avrebbe potuto entrare prima…? Difficile rispondere, anche se qualche idea viene fuori. Jared Leto (Wallace) ha il piglio giusto per fare un film tutto per se (non certo un rebot…ma altro).
Voto: 7-/10 (***).
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andreaalesci
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lunedì 23 ottobre 2017
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blade runner 2049: quando l'atmosfera è tutto
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Trentacinque anni fa Roy Batty / Rutger Hauer ci disse una cosa che non avremmo più dimenticato:
"E tutti quei momenti andranno perduti come lacrime nella pioggia. È tempo di morire".
La verità è che sapevamo (e inconsciamente volevamo) che quello non fosse il sigillo definitivo a Blade Runner. Ed è come se la colomba liberata dal morente Roy Batty nei cieli della Los Angeles 2019 fosse stata un testimone lanciato verso il futuro. A raccoglierlo Denis Villeneuve e una troupe che, animata dallo spirito mai domo del supervisore / produttore Ridley Scott, è riuscita a riportarci dentro l’atmosfera del 1982.
Un’altra persona, insieme al regista canadese, ha reso questo Blade Runner 2049 epocale quanto il film generatore: lui è Roger Deakins, direttore della fotografia capace di disegnare ogni singola inquadratura con abilità pittorica.
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Trentacinque anni fa Roy Batty / Rutger Hauer ci disse una cosa che non avremmo più dimenticato:
"E tutti quei momenti andranno perduti come lacrime nella pioggia. È tempo di morire".
La verità è che sapevamo (e inconsciamente volevamo) che quello non fosse il sigillo definitivo a Blade Runner. Ed è come se la colomba liberata dal morente Roy Batty nei cieli della Los Angeles 2019 fosse stata un testimone lanciato verso il futuro. A raccoglierlo Denis Villeneuve e una troupe che, animata dallo spirito mai domo del supervisore / produttore Ridley Scott, è riuscita a riportarci dentro l’atmosfera del 1982.
Un’altra persona, insieme al regista canadese, ha reso questo Blade Runner 2049 epocale quanto il film generatore: lui è Roger Deakins, direttore della fotografia capace di disegnare ogni singola inquadratura con abilità pittorica. Uno che, nonostante le 13 nomination agli Oscar (mai giunte a una statuetta), con le luci ci sa fare, riuscendo a isolare le emozioni con la giusta disposizione dei fattori illuminanti. Basta pensare a una qualsiasi inquadratura dei film da lui realizzati (Le ali della libertà, Fargo, Il Grinta, Sicario) per riuscire a entrare subito nella storia, soprattutto grazie alla composizione studiata per accordarsi con le intenzioni del regista. Immaginiamo la macchina da presa come l’acqua di una moka e la fotografia come il filtro: la loro azione combinata è decisiva perché i grani di caffè (il resto della troupe) diventino la migliore tazza di caffè che possiamo sorbire.
Forse Blade Runner 2049 è la volta buona perché l’Academy assegni la statuetta a Roger Deakins, parte di un film che ha tanto da dire soprattutto una volta che sono finiti i titoli di coda. Sì, perché del film di Denis Villeneuve ci rimane addosso una rugiada di sensazioni che continuano il discorso aperto nel 1982 da Ridley Scott e mettono in moto un’interessante comparazione con l’Alien: Covenant del cineasta britannico. L’atto della creazione è al centro della storia, il diritto ad autodeterminarsi che è comune ai replicanti di Blade Runner e agli androidi di Alien. Un punto di contatto fra Scott e Villeneuve così come l’intenzione della Scott Free Production di dare continuità alla saga uscita dalla mente di Philip K. Dick.
Siamo dentro uno spettacolo visivo eccezionale in cui sappiamo chi abbiamo di fronte: l’agente K (Ryan Gosling) è un replicante Nexus 9 in forza alla LAPD col compito di ritirare i vecchi modelli ancora in circolazione; modelli come Sapper Morton (interpretato da un grandissimo Dave Bautista), che i cultori del film avevano già visto in uno dei tre cortometraggi di “avvicinamento” al film e intitolato 2048: Nowhere to Run (regista Luke Scott). Tre corti voluti da Villeneuve per rendere più completa allo spettatore l’esperienza Blade Runner; gli altri due sono 2036: Nexus Down ancora di Luke Scott e Black Out 2022 di Shinichiro Watanabe.
Tutto ha origine in quell’angolo di metropoli dove Morton si è nascosto per coltivare proteine, lì dov’era cominciata la storia di un replicante che potrebbe essere più umano degli umani; e tutto ha davvero inizio quando il Nexus 8 Sapper Morton dice all’agente K che lo sta per “ritirare”:
"Because you’ve never seen a miracle".
Il miracolo di una vita artificiale non solo creata. Ma il miracolo di una vita che è nata. Poco dopo, sotto un albero morto, l’agente K rinverrà una cassa contenente le ossa, perfettamente conservate, appartenenti a una replicante. Incinta. Ecco il principio dell’avventura che vedrà K inseguire a ogni costo l’agente Deckard scomparso trent’anni prima e zittire così una rivelazione che può cambiare ogni cosa. Mettere tutto a tacere come vuole il capo della polizia, il tenente Joshi (Robin Wright).
La scrittura di Blade Runner 2049 ritrova alla tastiera—in coppia con Michael Green— quell’Hampton Fancher che Scott escluse nel mezzo del film del 1982 (salvo poi richiamarlo). Ed è una sceneggiatura che si salda alla perfezione alla storia-madre, trovando in Niander Wallace (Jared Leto) un sostituto ancora più cupo di Eldon Tyrell della Tyrell Corporation. Wallace ha salvato l’umanità dalla fame grazie alla bioingegneria e ha fondato un impero che ha creato nuovi immortali modelli di replicanti.
E va ad Hampton Fancher anche il merito di aver riportato dentro la storia un aspetto che era stato tralasciato nella prima trasposizione cinematografica di Ma gli androidi sognano pecore elettriche? Si tratta del kipple che ammorba ogni anfratto della Los Angeles del romanzo, l’informe massa di detriti che scorre viva fra le pagine del libro e che qui l’agente K attraversa nella periferia della città, scoprendo il nervo aperto di una metafora ambientale già cara allo scrittore americano.
Anche nel 2049 siamo in un mondo che non riesce a redimersi dalle sue colpe contro il pianeta Terra, già trent’anni prima bombardato da piogge acide. Eppure ora c’è la neve a scendere come fuliggine sulle teste di uomini e replicanti; forse c’è una speranza sottile come polvere, nebulosa come lo smog dove scompare la silhouette di Ryan Gosling, al centro di frame che sono veri e propri quadri.
La ricerca di un senso dell’identità è lo scheletro di un’opera che nei suoi 163 minuti ci immerge nell’atmosfera dell’originale fra degrado urbano e luci al neon che gridano i nomi di Atari, Coca-Cola, Sony, Peugeot, fra prostitute come Mariette (Mackenzie Davis) che strizzano l’occhio alla sexy Pris / Daryl Hannah, e con in più la tecnologia del XXI secolo che sa disegnare il personaggio dell’intelligenza artificiale Joi (Ana de Armas), per i fan di science fiction un aggiornamento inimmaginabile della donna virtuale del 6° Giorno (Roger Spottiswoode, 2000).
Più di tutto, Blade Runner 2049 ci immerge nel grande cinema, facendoci incontrare soltanto nella parte finale Rick Deckard (Harrison Ford) e la spiegazione di un enigma che l’agente K è andato inseguendo come fosse un uomo nato dall’amore. Allora, nel bianco della neve, l’agente K si congeda (davvero?) mentre la musica di Vangelis, orchestrata da Hans Zimmer e Benjamin Wallfisch, entra come un calco della scena liberatoria di trentacinque anni prima e ci accompagna verso il finale. Forse, però, non è ancora tempo di morire.
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