... e, Hollywood, basta con questi sequel, prequel e remake
Dove sono le idee originali?
Fare un seguito a ben 35 anni di distanza di uno dei più grandi film di fantascienza, oggetto di culto per schiere di appassionati, era impresa ardua (e non si sa quanto auspicabile). Se ne parlava già dalla fine degli anni '90 ma, dopo diversi avvicendamenti, la patata bollente è infine passata a Villeneuve (il regista di Arrival) che, forte della sceneggiatura di due veterani del cinema (dei quali uno, Fancher, era sceneggiatore anche del primo film), si cimenta nell'impresa realizzando un film per molti versi anche interessante seppur mai neanche lontanamente paragonabile all'originale.
Per non incorrere in cocenti delusioni è perciò necessario giudicare il film nella sua unicità evitando spiacevoli paragoni con il film di Scott che si rivelerebbero tutti a sfavore di questo Blade Runner 2049. Che, comunque, presenta lo stesso i suoi bei difetti, anche se giudicato come film autonomo.
Tra lentezze e lungaggini
Innanzitutto, impiega veramente troppo tempo a partire, una buona oretta e forse anche più si poteva tranquillamente tagliare senza perdere proprio un bel niente in termini di storia ed atmosfera, ed anzi guadagnando in concisione e compattezza. E non si tratta di una questione di lentezza in sé, dato che anche il primo Blade Runner aveva nel ritmo sostenuto uno dei suoi punti di forza, ma di lentezza spesso ingiustificata, considerando il fatto che gran parte delle scene mostrate in questo lasso di tempo non hanno una così grande influenza sulla trama e nemmeno hanno la funzione di creare l’atmosfera (se quella era l’intenzione si poteva raggiungere lo scopo anche in molti meno minuti).
Il sapore fortemente derivativo
E, tra l’altro, bisogna dirlo, cedendo per la prima e l’unica volta ad un paragone con il film di Scott, l’atmosfera di questo seguito ha ben poco di originale ed anzi sa molto, molto di già visto (c’è poco di nuovo e allora viene da chiedersi cosa dovrebbe impedire allo spettatore di andare direttamente alla fonte, recuperando quel capolavoro della fantascienza cinematografica che è il primo Blade Runner, evitando di perdere tempo con opere derivative).
La sceneggiatura, fintamente complessa, annacquata e poco consistente, e il finale
Un altro punto dolente di Blade Runner 2049 è la sceneggiatura. Che non solo si dilunga inutilmente ma, come se non bastasse, orchestra un colpo di scena finale che è solo irritante e fastidioso e che, semplificando per evitare spoiler, rovescia le carte in tavola facendo assumere al film i connotati del mero prologo di qualcosa di ben più vasto e grandioso che, evidentemente, è previsto per il futuro (insomma, un clamoroso finale aperto che lascia la storia principale e più interessante, riguardante un prossimo conflitto tra due opposte fazioni, a data da destinarsi [sempre che poi del film venga effettivamente prodotto un seguito]).
Un colpo di scena che riguarda anche il protagonista di questo film, l’agente K, e che, retrospettivamente, porta a chiedersi quale sia stato il senso di assistere ad un film, tra l’altro di oltre due ore e mezza, che non conclude un bel niente di fatto e, di conseguenza, non aggiunge neanche un bel niente a quanto detto in precedenza nel film dell’82. E che anzi lascia, come detto, gli sviluppi più interessanti a chissà quando (magari un ulteriore seguito ad altri 35 anni di distanza, nel 2052).
Ma quale villain
E poi colui che dovrebbe sostanzialmente fare la parte del “cattivo” di turno, il Neander Wallace interpretato da J. Leto, non compare quasi mai e si rivela alquanto inutile (probabilmente anche quest’ultimo avrà un ruolo maggior in un ideale prossimo capitolo, chi lo sa).
Ma quale capolavoro
Insomma, Blade Runner 2049 rivela sempre più, man mano che si sviluppa, la sua mera natura di blockbuster industriale d’intrattenimento senza una visione propria ben definita. Non che questo sia necessariamente di per sé un male, ma date le pretese filosofiche che accampa forse sarebbe stato lecito aspettarsi qualcosina di più di un paio di belle scene, di un ottima fotografia e di diversi ottimi effetti speciali. Tutto caratteristiche che lo accomunano a schiere di altri film che però nessuno giudica grandi traguardi dell’arte cinematografica, né tra i migliori sequel della storia del cinema né tanto meno dei capolavori (come sempre più spesso accade la critica d’oltreoceano si è lasciata un po’ andare in una profusione di elogi non molto meritati).
Il film di Villeneuve è un film di puro intrattenimento e non un’opera d’arte né un nuovo traguardo della fantascienza cinematografica che, appunto, oltre ad un paio di buone sequenze (quella al rifugio di Deckard in una Las Vegas post-apocalittica e quella finale) offre ben poco (e ripara in una scontata scazzottata per risolvere la faccenda).
Che cosa rimarrà di questo film?
E’ difficile immaginare che questo Blade Runner 2049 farà ancora parlare di sé tra 35 anni, è difficile immaginare che diventerà un nuovo cult movie ed è difficile immaginare che anche solo una persona sarà in grado di nominare una singola sequenza veramente memorabile di questo film, una singola sequenza veramente eccezionale in cui si distingua dal Blade Runner di Ridley Scott sulle cui spalle si appoggia per gran parte della durata, una singola citazione veramente da ricordare (i tempi delle cose che nessun umano potrebbe mai immaginare a quanto pare sono finiti da un pezzo).
Concludendo, è un film che si lascia guardare, ad eccezione di alcuni momenti in cui rallenta un po’ troppo, che si può vedere se non altro per curiosità, un film discreto che però non impressiona più di tanto e che, in fin dei conti, poteva essere molto meglio (i presupposti, dopotutto, c’erano tutti)
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