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Carlo Lizzani

Carlo Lizzani è un attore italiano, regista, voce narrante, produttore, scrittore, sceneggiatore, co-sceneggiatore, montatore, assistente alla regia, è nato il 3 aprile 1922 a Roma (Italia) ed è morto il 5 ottobre 2013 all'età di 91 anni a Roma (Italia).
Nel 2007 ha ricevuto il premio speciale alla carriera al David di Donatello. Dal 1968 al 2007 Carlo Lizzani ha vinto 3 premi: David di Donatello (1968, 2007), Nastri d'Argento (1969).

Un cinema di fatti e di uomini

A cura di Fabio Secchi Frau

Pensa a cose semplici quando si tratta di riabbracciare il mestiere di regista. Carlo Lizzani è colui che, attraverso testimonianze precise o racconti dettagliatissimi, fa breccia nel cuore del pubblico, raccontando un cinema che non si può ignorare e una vita che è chiusa a doppia mandata nei suoi segreti. Autore di storie drammaticamente reali, è il narratore di leader di sinistra scomparsi, rimpianti per lo spessore umano, l'intelligenza politica e l'esemplarità morale. Lavora con la memoria, quindi, fra dramma, inchiesta giornalistica e documentaria. Un cinema che non sempre gli riesce. Un cinema che, come un bambino a volte, inciampa nella narrazione o sceglie la staticità all'azione, ma che comunque si sorregge su immagini dense e una notevole accuratezza nella messa in scena. Una buona confezione offerta al pubblico che con molta scioltezza guarda e si arricchisce del valore della testimonianza. Ogni tanto ricalca qua e là qualche cliché conosciuto, soprattutto quando si imbatte nella commedia social-sentimentale - dove perde il suo status di autore impegnato di sinistra per osservare i mutamenti di costume dell'Italietta operaia - o nello spaghetti western. Sempre teso verso la possibilità di rinverdire i canoni estetico-sociali della formula neorealista e nella necessità di girare un documentario su ciò che più lo appassiona - la Cina di Mao Tse Tung, per esempio -, incide, apre, narra efficacemente e informa giornalisticamente, con una predominanza verso l'osservazione attenta e minuta della vita quotidiana, del popolo italiano, dei suoi usi e costumi. Ma del resto, Lizzani l'ha sempre dichiarato, per lui il cinema è «un'arte di fatti e di uomini» e, proprio secondo questo principio, le sue opere nascono dalla ricerca di una verità oggettiva, "storica", nella realtà della cronaca.
Proveniente dalla critica cinematografica, fin da giovane infatti lavora nella redazione di riviste come "Cinema" e "Bianco e Nero", muove i suoi primi attivi passi nella settima arte come sceneggiatore di Aldo Vergano per la pellicola Il sole sorge ancora (1946) con Massimo Serato, Lea Padovani, Vittorio Duse, Gillo Pontecorvo e Giuseppe De Santis. E sarà proprio l'incontro con ques'tultimo che lo avvicinerà ai temi del neorealismo impegnato. De Santis lo imporrà, infatti, come suo sceneggiatore e soggettista di fiducia per pellicole come: Caccia tragica (1947), Riso amaro (1949) con la giunonica Silvana Mangano e il furbastro Vittorio Gassman - che gli varrà una nomination all'Oscar per la miglior sceneggiatura - e Non c'è pace tra gli ulivi (1950).
Sentendosi particolarmente coinvolto nel mestiere del regista decide di tentate anche lui quella strada, firmando la sua opera prima: il documentario Viaggio al Sud (1949), il primo di molti altri. È il 1948, quando vince il premio della migliore sceneggiatura originale al Festival di Locarno per Germania anno zero (1948) di Roberto Rossellini, che aveva scritto con lo stesso regia e Max Kolpé, mentre nel 1951 debutta con il suo primo film di finzione: il bellico Achtung! Banditi! (1951) con Gina Lollobrigida, Andrea Checchi, Lamberto Maggiorani e Giuliano Montaldo coinvolti in una storia di guerra partigiana fra Genova e l'Appennino ligure.
Invece, nel 1953, stringe fra le mani il Premio Internazionale di Cannes per la pellicola Cronache di poveri amanti con Marcello Mastroianni, che aveva realizzato simultaneamente al drammatico Ai margini della metropoli (1953) con Giulietta Masina. Coinvolto nel progetto di Cesare Zavattini Amore in città (1953), dove avrà occasione di collaborare con Michelangelo Antonioni, Federico Fellini, Dino Risi e Alberto Lattuada in mininchieste sull'amore in Italia, dirige poi: Il gobbo (1960) con Pier Paolo Pasolini - che ritroverà anche in Requiescant (1966) -, Il carabiniere a cavallo (1961) con Peppino De Filippo, Il processo di Verona (1963) con la Mangano e Claudio Gora e La vita agra (1964) con Ugo Tognazzi.
Nel 1965, lavora con Ettore Scola nella commedia Thrilling con Alberto Sordi e, nel 1968, dirige Stefania Sandrelli nel sottovalutato e bellissimo L'amante di Gramigna. Vincitore del David di Donatello per la miglior regia e di un Nastro d'Argento per la migliore sceneggiatura per Banditi a Milano (1968), collabora con Jean-Luc Godard, Marco Bellocchio, Bernardo Bertolucci e l'amico Pasolini nella pellicola corale Amore e rabbia (1969), riemergendo dal mucchio nel 1971 con Roma bene, che annoverava fra gli interpreti anche l'ottimo Vittorio Caprioli, e con Mussolini ultimo atto (1974) che aveva come protagonisti Rod Steiger ed Henry Fonda.
Trasferitosi nel piccolo schermo, firmerà le fiction C'era una volta un re e il suo popolo (1983), Nucleo zero (1984) e Un'isola(1985), tornando alla carica con la trasposizione cinematografica di un fatto di cronaca: Mamma Ebe (1985) con la ritrovata Sandrelli. Membro della giuria del Festival di Venezia nel 1987, dirige, lo stesso anno, un'altra fiction Emma. Quattro storie di donne, passando all'opera per il grande schermo Caro Gorbaciov (1988) con Harvey Keitel. Dopo la miniserie La formula mancata (1989), dirige l'episodio "Cagliari" per il documentario 12 autori per 12 città (1990) che lo vedeva affiancato ad Antonioni, i fratelli Bertolucci, Mauro Bolognini, Alberto Lattuada, Mario Monicelli, Ermanno Olmi, Pontecorvo e Francesco Rosi.
Lavorerà ancora per la tv con la fiction Il caso Dozier (1993), poi sarà membro della giuria del Festival di Berlino nel 1994, anno in cui firmerà Celluloide (1995) con Christopher Walken, vincendo il David per la migliore sceneggiatura. Insignito del premio François Truffaut dal Giffoni Film Festival. continua la sua carriera di regista - attualmente e principalmente televisivo - con la miniserie La donna del treno (1998), Maria José, l'ultima regina (2002) e Le cinque giornate di Milano (2004), pur senza mettere da parte il suo primo amore: il documentario. È l'autore infatti di alcuni notevoli ritratti cinematografici come Luchino Visconti (1999) e Roberto Rossellini - Frammenti e battute (2000), ma anche l'opera corale e grandissima Un altro mondo è possibile (2001) con Francesca Archibugi, Bellocchio, Marco Tullio Giordana, Franco Giraldi, Monicelli, Pontecorvo, Gabriele Salvatores, Scola e i fratelli Taviani.
Si investirà perfino come attore, mestiere che aveva fatto anche in giovane età, nelle fiction Giochi pericolosi (2000), Papa Giovanni - Ioannes XXIII (2002), dove ricopre il ruolo di Pio XII, ed Edda (2005). Onorato dal David di Donatello alla carriera, continua il suo percorso cinematografico di drammatica attualità con attendibili ritratti storici denotati da un'incisività e un'esaustività impressionanti (Hotel Meina), ma anche dal tentativo di accusare e denunciare in prima persona quei "gravi errori" che hanno costruito la Storia, senza mai mitigare o addolcire l'affresco disperato e pervasivo che si appresta a dipingere. Con compatta intensità, Lizzani racconta, in maniera sempre intelligente, la vita vissuta, impegnata, tesa a suscitare emozioni - senza smarrire equilibrio e misura - e incrociata all'esemplarità "morale" di alcuni dei suoi personaggi, i quali nonostante vivano nello squallore, sono vulnerabili oltremodo al Bene più che al Male.
Muore suicida nel pomeriggio del 5 ottobre 2013 a Roma, all'età di 91 anni. Il regista si è gettato dal balcone dell'appartamento in cui viveva, nel quartiere Prati (una fine tragica che ricorda quella di Mario Monicelli), lasciando in casa un biglietto: "Stacco la chiave".

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