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Un uomo felice, la commedia francese ride della chiusura mentale indicando la strada dell'inclusività

Sulla scia di Non sposate le mie figlie, il film con Fabrice Luchini ride ‘con’ i suoi personaggi (e non ‘dei’ suoi personaggi) invitando lo spettatore ad allargare i proprio orizzonti e aprirsi a un altro mondo possibile. Ora al cinema.
di Paola Casella

Fabrice Luchini (Robert Luchini) (72 anni) 1 novembre 1951, Parigi (Francia) - Scorpione. Interpreta Jean nel film di Tristan Séguéla Un uomo felice.
venerdì 10 marzo 2023 - Focus

“Nessuno è perfetto”, battuta con cui si conclude A qualcuno piace caldo di Billy Wilder, è una delle più celebri del cinema internazionale, e non a caso viene ripetuta anche in prossimità del finale della commedia francese Un uomo felice di Tristan Séguéla, che racconta la difficoltà di un politico conservatore – uno che si oppone ai matrimoni gay, alla procreazione assistita, alla maternità surrogata e persino ai monopattini elettrici, per intenderci – ad accettare la transizione di sua moglie da donna a uomo.

La frase “nessuno è perfetto” alla fine del film di Wilder apriva improvvisamente un ventaglio infinito di possibilità, e invitava addirittura a rivedere mentalmente a ritroso tutto il film, in particolare il rapporto fra Jerry/Daphne e Osgood Fielding II. Ed era soprattutto il modo del regista-sceneggiatore di concludere la sua storia di inganni e travestimenti con una possibilità di accettazione profonda di qualsiasi identità, senza più bisogno di nascondersi. Nessuno è perfetto era anche il titolo della commedia di Pasquale Festa Campanile in cui il protagonista, interpretato da Renato Pozzetto, sposava una donna bellissima, interpretata da Ornella Muti, che poi rivelava di essere stata un tempo un uomo.

Il desiderio di essere se stessi e l’opportunità (o meno) di accettare la differenza nelle persone che amiamo è alla base anche di Un uomo felice, che affronta il tema dell’identità di genere costruendo una parabola sull’accoglienza della diversità, o meglio, sulla consapevolezza che, poiché nessuno è “normale”, nessuno è realmente “diverso”: come recitava anche il titolo di una commedia di Umberto Carteni su temi simili, la domanda è: Diverso da chi?.

La scelta del genere commedia, e non farsa, per Un uomo felice è molto azzeccata: come ha detto il regista Tristan Séguéla, nel suo film si ride “con” i personaggi, mai “di” loro. E si racconta una contemporaneità in cui è lecito, se non addirittura necessario, ampliare i propri orizzonti mentali. In questo senso Un uomo felice segue il solco della saga comica di grande appeal popolare Non sposate le mie figlie! di Philippe de Chauveron: in tempi di inclusività, è la chiusura mentale nei confronti di etnie, religioni e preferenze sessuali il vero atteggiamento di cui ridere.

Fabrice Luchini, come Christian Clavier in quella saga, diventano quasi eredi naturali di quel Louis de Funès che è stato maschera comica del cinema francese proprio nel mettere in ridicolo le sue rigidità e i suoi atteggiamenti retrogradi. Luchini sceglie anche di allontanarsi temporaneamente dal cinema d’autore per abbracciare questa commedia dichiaratamente rivolta al grande pubblico, per niente snob nel comunicare il suo invito ad allargare le proprie vedute e ad aprirsi ad un altro mondo possibile.

Tristan Séguéla opera anche una contaminazione interessante e già frequentata dal cinema: quella fra la comicità e l’agone politico, del quale il regista ha esperienza quasi diretta perché suo padre Jacques, celebre pubblicitario autore di spot memorabili come quelli per le auto Citroen, nonché del leggendario saggio “Non dire a mia madre che sono nella pubblicità... lei pensa che io sia un pianista in un bordello”, è stato lo spin doctor di alcune grandi campagne elettorali francesi, fra cui quelle che hanno portato all’elezione presidenziale di Francois Mitterrand e a quella a Primo Ministro di Lionel Jospin.


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