marzia
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domenica 12 gennaio 2020
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una storia didattica sempre attuale
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Anche se la storia è nota a tutti è sempre un piacere rivedere Pinocchio. Molto bravi gli attori che con la loro recitazione hanno trasmesso i sentimenti meravigliosamente. Complimenti per le scene e i costumi
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valentina
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sabato 11 gennaio 2020
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recensione pinocchio : il confronto con l'archetipo
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Ho da poco visto la nuova rivisitazione, tanto attesa, di Pinocchio ad opera di Matteo Garrone. Premetto che, per chi, come me, è cresciuta con impresse le immagini dell'opera di Luigi Comencini, del 1972 ( quasi archetipo nella cinematografia italiana ) è inevitabile fare un confronto. Nonostante scenografia , fotografia e costumi del film di Garrone siano mozzafiato poiché riproducono, sicuramente molto più del cinema di un tempo, in maniera molto fedele la realtà ( ad esempio attraverso la creazione di un burattino del tutto verosimile), il resto ( recitazione, espressività e mimica degli attori) ha fatto un passo indietro rispetto al film di Luigi Comencini. A mio avviso è avvenuta una vera e propria sovversione per cui le immagini hanno subito un miglioramento ai danni però dell'espressività degli attori, i quali , poco o niente hanno saputo trasmettere quei genuini sentimenti che stanno alla base della fiaba.
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Ho da poco visto la nuova rivisitazione, tanto attesa, di Pinocchio ad opera di Matteo Garrone. Premetto che, per chi, come me, è cresciuta con impresse le immagini dell'opera di Luigi Comencini, del 1972 ( quasi archetipo nella cinematografia italiana ) è inevitabile fare un confronto. Nonostante scenografia , fotografia e costumi del film di Garrone siano mozzafiato poiché riproducono, sicuramente molto più del cinema di un tempo, in maniera molto fedele la realtà ( ad esempio attraverso la creazione di un burattino del tutto verosimile), il resto ( recitazione, espressività e mimica degli attori) ha fatto un passo indietro rispetto al film di Luigi Comencini. A mio avviso è avvenuta una vera e propria sovversione per cui le immagini hanno subito un miglioramento ai danni però dell'espressività degli attori, i quali , poco o niente hanno saputo trasmettere quei genuini sentimenti che stanno alla base della fiaba. La recitazione ha perso qui il suo naturalismo lasciando spazio ad una interpretazione forzata e fittizia che poco fa trasparire gli stati d'animo in gioco. Prendendo in prestito le categorie linguistiche di Hjelmslev, potremmo quasi dire che l'espressione , ossia l'esteriorità, risulta essere vuota di contenuto. I costumi, le scenografie risultano sventrate dal contenuto ossia dalle emozioni. Forse anche a causa dei tempi richiesti che rendevano le scene ( anche le più importanti) di sbrigativo sviluppo, quasi come se esse venissero liquidate tempestivamente con battute secche senza consentire effettivamente agli attori di maturare ed esternare il groviglio degli stati d'animo.
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mikeoldfield
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giovedì 9 gennaio 2020
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corretto e fatto benissimo, un po' freddo
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Molte cose buone, sopratutto l'ambientazione, il trucco e le musiche. Anche gli attori funzionano (domina Ceccherini, bravo Benigni, simpatica la lumaca...un po' troppo legato Pinocchio). Si vede che è stato curato nei minimi particolari, in qualche passaggio però risulta poco incisivo, certo, non è semplice fare Pinocchio in due ore (non lo si paragoni a quello di Comencini, ne furono realizzati 6 episodi di un'ora cadauno..)...però troppo rapidi i passaggi al paese dei balocchi, e sopratutto dentro il pescecane ,dove Pinocchio ritrova Geppetto e in 5 minuti è già fuori a cavallo del tonno...Fedelissimo al testo originale, ma un po' freddo.
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Molte cose buone, sopratutto l'ambientazione, il trucco e le musiche. Anche gli attori funzionano (domina Ceccherini, bravo Benigni, simpatica la lumaca...un po' troppo legato Pinocchio). Si vede che è stato curato nei minimi particolari, in qualche passaggio però risulta poco incisivo, certo, non è semplice fare Pinocchio in due ore (non lo si paragoni a quello di Comencini, ne furono realizzati 6 episodi di un'ora cadauno..)...però troppo rapidi i passaggi al paese dei balocchi, e sopratutto dentro il pescecane ,dove Pinocchio ritrova Geppetto e in 5 minuti è già fuori a cavallo del tonno...Fedelissimo al testo originale, ma un po' freddo. Il trucco toglie a Pinocchio espressività, Lucignolo ha un viso pacioccone che poco si sposa con l'immagine di un monello sfacciato e ribelle. E'però tanta roba questo film...musiche da sogno, ambientazione romantica a antica, e (va datto atto), la totale fedeltà all'originale. Non so se ce n'è una versione più lunga, se si credo che il film (come fu molti anni fa per Balla coi Lupi), grazie a una studiata lentezza guadagnerebbe ancora più terreno. Però grazie...sono due ore per sognare, e la canzone finale di Petra Magoni è da pelle d'oca.
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inesperto
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giovedì 9 gennaio 2020
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occasione poco sfruttata
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I costumi ed il trucco sono veramente eccezionali. Malauguratamente, però, la sceneggiatura è, per diversi tratti, troppo frettolosa; purtroppo, se nel narrare le avventure di Pinocchio si considerano con eccessiva importanza i ritmi cinematografici, la magia che dovrebbe scaturire dalle immagini e dalle sonorità va perduta completamente nello stacco da una scena all'altra. Si sarebbe dovuto raccontare tutto con più calma e moderazione, allungando anche il minutaggio, se necessario. Il rispetto di un'opera che si vuole omaggiare si vede anche dal tempo che ci si prende. Tanto per citare il Merovingio di Matrix Reloaded: "Chi ha il tempo? Chi ha il tempo? Ma se non ce lo prendiamo mai il tempo quando mai lo avremo il tempo?"
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la camy
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mercoledì 8 gennaio 2020
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più d'effetto che di impatto emotivo
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Fotografia, scenografia, trucco e costumi stupefacenti nel Pinocchio di Garrone, in una versione ben lontana dall'originale e sicuramente più esilarante.
Un film che è una magia, di colori, personaggi, luoghi, situazioni.
Manca tuttavia il pathos, quell' intensità emozionale di cui era intrisa l'indimenticabile versione di Comencini. Lì si che avevi quel nodo alla gola che ti accompagnava per tutto il film e che la colonna sonora amplificava. Non si può dire che Il Pinocchio di Garrone sia stato deludente, ma è stato più spettacolare che drammatico, ha puntato più sugli effetti speciali che sulla storia in sé!
Vederlo con tutti i bambini è stata l'emozion
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Fotografia, scenografia, trucco e costumi stupefacenti nel Pinocchio di Garrone, in una versione ben lontana dall'originale e sicuramente più esilarante.
Un film che è una magia, di colori, personaggi, luoghi, situazioni.
Manca tuttavia il pathos, quell' intensità emozionale di cui era intrisa l'indimenticabile versione di Comencini. Lì si che avevi quel nodo alla gola che ti accompagnava per tutto il film e che la colonna sonora amplificava. Non si può dire che Il Pinocchio di Garrone sia stato deludente, ma è stato più spettacolare che drammatico, ha puntato più sugli effetti speciali che sulla storia in sé!
Vederlo con tutti i bambini è stata l'emozione più bella e, per noi grandi, un valido ripasso della metafora sottesa!
La Camy
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giovanni_b_southern
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martedì 7 gennaio 2020
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assai godibile
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Mettere in scena una "storia" stra-conosciuta è operazione ardua. L'impresa, invece, riesce benissimo. Il film è godibile. Fatto bene. Tutti gli interpreti bravi. Film assai gradevole. Si può nettamente vedere.
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polimar44
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domenica 5 gennaio 2020
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ma era davvero tutto qui?
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Perchè io di Pinocchio (libro e sceneggiato) ricordavo lo strazio (della paternità e della miseria), la magia (dell'infanzia), l'avventura, la crescita... Esco da questo film dopo due ore di noia che son sembrate tre, con l'idea che Collodi sia ormai troppo "vecchio", troppo inattuale, per essere adattato... oppure Garrone ha sbagliato qualcosa; come scrivono altri, sceneggiatura inesistente, dialoghi poverissimi e ripetitivi fino alla nausea e grandi attori buttati lì in personaggi per cui - sulla carta - sarebbero perfetti, ma che mancano assolutamente di caratterizzazione... Che senso ha chiamare Papaleo a fare il gatto, se poi gli si fa ripetere solo battute altrui? E della bruttezza del grillo parlante vogliamo parlare? Delusione somma e bambini annoiati quanto gli adulti, quindi per parte mia un grosso no.
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Perchè io di Pinocchio (libro e sceneggiato) ricordavo lo strazio (della paternità e della miseria), la magia (dell'infanzia), l'avventura, la crescita... Esco da questo film dopo due ore di noia che son sembrate tre, con l'idea che Collodi sia ormai troppo "vecchio", troppo inattuale, per essere adattato... oppure Garrone ha sbagliato qualcosa; come scrivono altri, sceneggiatura inesistente, dialoghi poverissimi e ripetitivi fino alla nausea e grandi attori buttati lì in personaggi per cui - sulla carta - sarebbero perfetti, ma che mancano assolutamente di caratterizzazione... Che senso ha chiamare Papaleo a fare il gatto, se poi gli si fa ripetere solo battute altrui? E della bruttezza del grillo parlante vogliamo parlare? Delusione somma e bambini annoiati quanto gli adulti, quindi per parte mia un grosso no...
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folignoli
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sabato 4 gennaio 2020
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la semplificazione di collodi
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Una operazione di mercato, senza anima né passione, uno sfoggio inutile di scenografie talmente curate da apparire finte, che non riescono a rappresentare la povertà, quella povertà che probabilmente è il motore di tutta la storia, ben caratterizzata invece, dai paesaggi lividi del film di Comencini, tutt'ora inarrivabile sotto ogni punto di vista. Federico Ielapi è la punta di diamante di tutto il racconto è il faro che riesce ad illuminare un film opaco, banalizzato nella storia, affrettatamente portata al termine. Scene cruciali come quella della balena o di mangiafuoco o del circo, vengono concluse rapidamente, negando loro, tutto quel peso specifico che nel film di Comencini e prim'ancora nel libro, hanno.
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Una operazione di mercato, senza anima né passione, uno sfoggio inutile di scenografie talmente curate da apparire finte, che non riescono a rappresentare la povertà, quella povertà che probabilmente è il motore di tutta la storia, ben caratterizzata invece, dai paesaggi lividi del film di Comencini, tutt'ora inarrivabile sotto ogni punto di vista. Federico Ielapi è la punta di diamante di tutto il racconto è il faro che riesce ad illuminare un film opaco, banalizzato nella storia, affrettatamente portata al termine. Scene cruciali come quella della balena o di mangiafuoco o del circo, vengono concluse rapidamente, negando loro, tutto quel peso specifico che nel film di Comencini e prim'ancora nel libro, hanno. Per chi già conosce la storia di Pinocchio è normale seguire la trama, ma mettendosi (paradossalmente) nei panni di chi non l'ha mai sentita, la trama spicciola di questo film risulterebbe alquanto incomprensibile. Il film è un Bignami della storia di Carlo Collodi, un racconto semplificato per bambini delle elementari, un abbecedario appunto, ovvero un libro per imparare a leggere. Tuttavia, il film scorre bene, grazie anche agli attori in ottima forma, soprattutto quelli meno conosciuti che sono in grado di caratterizzare e condire una trama fin troppo scontata. Passare da un film come Dogman a Pinocchio, significa per Garrone, interrompere quella strada che si era faticosamente creata con pellicole neorealiste e crude (citando anche Primo Amore e Reality) che potevano lanciarlo anche al di sopra di Paolo Sorrentino. Avrei preferito più coraggio, tagliando quelle scene (balena, Lucignolo, circo) inserite giusto per compiacere il pubblico, ma appena tratteggiate, concentrandosi sull'aspetto psicologico di questo burrattino alla ricerca di se stesso. Se avesse avuto questo coraggio, con la sua tecnica, Garrone probabilmente avrebbe realizzato il suo personaggio, in grado di ritagliarsi uno spazio nella iconografia delle avventure di Pinocchio.
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kronos
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sabato 4 gennaio 2020
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algido e schematico
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Garrone ha sempre offerto il "meglio" di sè nel dramma iperrealistico, ovvero quel genere di film in cui senza prendersi troppi rischi si può portare a casa un David di Donatello e il plauso incondizionato della critica Radical-Chic sinistrorsa. Specialmente se noia e povertà regnano incondizionate dall'inizio ai titoli di coda.
Gli va riconosciuto, tuttavia, il coraggio di tentare di tanto in tanto la strada del genere fantastico: lui almeno ci prova ;-)
Peccato però che il fantasy richieda doti che non gli appartengono: creatività, enpatia coi personaggi, gusto musicale, spirito dadaistico e, perchè no, un pizzico di goliardia.
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Garrone ha sempre offerto il "meglio" di sè nel dramma iperrealistico, ovvero quel genere di film in cui senza prendersi troppi rischi si può portare a casa un David di Donatello e il plauso incondizionato della critica Radical-Chic sinistrorsa. Specialmente se noia e povertà regnano incondizionate dall'inizio ai titoli di coda.
Gli va riconosciuto, tuttavia, il coraggio di tentare di tanto in tanto la strada del genere fantastico: lui almeno ci prova ;-)
Peccato però che il fantasy richieda doti che non gli appartengono: creatività, enpatia coi personaggi, gusto musicale, spirito dadaistico e, perchè no, un pizzico di goliardia.
Niente di tutto ciò.
E così, dopo il "racconto dei racconti" ecco un altro tentativo sbilenco, fortunatamente premiato dal box office natalizio (periodo in cui si va al cinema a prescindere).
Anche stavolta pare che tutti gli sforzi registici si siano concentrati sull'apparato visivo e scenografico: squallido e poveristico come piace a Garrone, peraltro in linea con la fiaba, ma al contempo assai ricercato ed appropriato. Ma l'impianto narrativo risulta di uno schematismo disarmante, dilettantesco, riducendo il tutto a un insieme di quadri scollegati, algidi. Quel tocco musicale e surreale che i veri maestri sfruttano per creare magia, calore, atmosfera è totalmente assente nel cineasta romano.
E gli interpreti?
Tutto sommato il phisique du role ci sarebbe, non appaiono malvagie le scelte di casting, ma la direzione e la recitazione in presa diretta lasciano a desiderare, contribuendo a quella fastidiosa sensazione di legnosità narrativa che pervade tutto il film.
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luca scialo
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venerdì 3 gennaio 2020
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freddo e sbrigativo, ansiosamente fedele al libro
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Di Matteo Garrone si può dire tutto, ma non che non sia un regista ambizioso. Che intraprenda progetti basati su storie di non facile trasposizione cinematografica. Il primo film di un certo impegno è stato Gomorra, molto attinente al libro e lontano parente della serie Tv. Dotato di una morale e ben lungi dal produrre pericolosi miti per il popolino. Poi arrivarono Reality, critica ad un format televisivo capace di adulterare la visione della realtà nelle persone; il Fantasy internazionale Il racconto dei racconti; ed ancora Dogman, racconto Noir di un vero caso di cronaca della periferia romana anni '80. Ed ora il regista romano, forse accodandosi al rinato filone hollywoodiano che sta riportando in auge le mitiche favole della nostra infanzia, ci prova con una sua versione di Pinocchio.
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Di Matteo Garrone si può dire tutto, ma non che non sia un regista ambizioso. Che intraprenda progetti basati su storie di non facile trasposizione cinematografica. Il primo film di un certo impegno è stato Gomorra, molto attinente al libro e lontano parente della serie Tv. Dotato di una morale e ben lungi dal produrre pericolosi miti per il popolino. Poi arrivarono Reality, critica ad un format televisivo capace di adulterare la visione della realtà nelle persone; il Fantasy internazionale Il racconto dei racconti; ed ancora Dogman, racconto Noir di un vero caso di cronaca della periferia romana anni '80. Ed ora il regista romano, forse accodandosi al rinato filone hollywoodiano che sta riportando in auge le mitiche favole della nostra infanzia, ci prova con una sua versione di Pinocchio. Sua per modo di dire, visto che si attiene fedelmente al libro originale. Anzi, la sua trasposizione pecca di una ansiosa devozione al libro, finendo per presentarci un prodotto finale freddo e distaccato. Senza alcun approfondimento e narrazione dei personaggi. Limitandosi al compitino, con la garanzia di potersi avvalere di attori di tutto rispetto (su tutti, Roberto Benigni e Gigi Proietti), senza però dar loro il giusto peso e la giusta importanza. Ad aiutarlo anche la fotografia di una Toscana già favolistica di suo. Mentre è da apprezzare lo scarso utilizzo della tecnologia, in favore del trucco vecchio stile. Il che ben si integra alle ambientazioni, evitando di produrre artifizi hollywoodiani o sorrentiniani. Ciò nonostante, restano lontani sia la tenerezza della versione Disney, che il calore dello sceneggiato di Comencini. Inutile poi il paragone con il Pinocchio del 2002, diretto ed interpretato proprio da Benigni. Che comunque vestiva bene i panni del discolo burattino, essendo all'epoca ancora in gran forma giullaresca ed aizzato come simbolo dell'anti-berlusconismo (sebbene a distribuire quel film fu proprio Medusa, del gruppo Mediaset). Dato che anche quel film non convinse e scaldò più di tanto. La pellicola pecca anche di sbrigatività e lo si evince subito dal fatto che dopo un quarto d'ora dall'inizio già vediamo Pinocchio bello che creato, dare grane a Geppetto. Presentato in un paio di minuti (in particolare, con la scena dell'osteria dove tenta buffamente di far aggiustare porta e sedia per guadagnarsi un pasto). La scena che resta impressa è quella della trasformazione di Pinocchio e Lucignolo in asini. Drammatica nella sua violenza pedagogica. Ma è l'unico momento, per quanto segnante, realmente pedagogico del film. La fata finisce sempre per perdonarlo, mentre il Grillo (interpretato da Davide Marotta, il mitico Ciripì Kodak dello spot anni '80) sembra più una macchietta anni '80. Anziché un saggio consigliere. Ed invece Pinocchio, attraverso le tante disavventure del burattino senza fili, è proprio la favola classica più istruttiva e moralistica di tutte. Più che alle tre versioni cinematografiche precedenti succitate, forse questo Pinocchio si avvicina di più a La vita è bella. Sarà per la presenza in entrambi i casi di Benigni nel ruolo di padre, che cerca di difendere il figlio dalle insidie del mondo esterno. Lo strumento utilizzato è sempre l'immaginazione, per combattere nel primo caso la solitudine, e nel secondo la bruttura della realtà.
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