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Ennesima trasposizione cinematografica del romanzo di Collodi, di cui a parer mio non si sentiva affatto il bisogno, per il cimento estetico di Garrone, che, dopo capolavori assoluti come Gomorra, Reality e Dogman, cade nella banalità di un racconto abusato come soggetto, dai media di animazione, televisivi e cinematografici e che rimane, nonostante gli sforzi per renderlo digeribile da un pubblico adulto, vincolato alla destinazione pedagogica originale ossia indirizzato all’educazione di piccoli lettori ottocenteschi e dei telespettatori infantili di un novecento già lontano, che nell’affacciarsi alla prima adolescenza necessitavano di ammonimenti esemplari. Oggi un’opera del genere è senza pubblico ovvero non desta l’attenzione dei ragazzi, nutriti da instagram, non incuriosisce gli adulti che rimangono nostalgicamnete legati al Pinocchio televisivo di Comencini con Manfredi nella parte di Geppetto e Franco e Ciccio in quelle del Gatto e della Volpe.
Garrone è il primo a saperlo e la sua appare come una prova di estetica cinematografica alla stregua della trasposizione filmica del Racconto dei racconti di Basile dalla quale il regista trae i personaggi favolistici che popolano anche questo Pinocchio. Non delude Benigni ed il cast è formato da ottimi attori italiani e ciò nonostante il film rimane sempre distante e freddo, per non dire noioso e soporifero.
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