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Steven Soderbergh, inguaribile autore sempre pronto a (ri)sorgere

Dalla Palma all'Oscar, dal blockbuster al film indipendente, il regista ha sperimentato tutto e giura sempre che smetterà domani. Dal 31 maggio al cinema con La truffa dei Logan.
di Marzia Gandolfi

La Truffa dei Logan

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lunedì 28 maggio 2018 - Celebrities

Steven Soderbergh è conforme ai ritratti che i suoi film disegnano: inafferrabile, contraddittorio, furfante, frivolo. Adolescente e molto prima di Sesso, bugie e videotape, che gli vale a ventisei anni la Palma d'oro a Cannes, Steven Soderbergh aveva risolto l'equazione più complessa della vita: come diventare se stesso. All'equazione esistenziale aveva trovato una soluzione limpida: fare esattamente quello che desiderava. Del resto la scena fondatrice del cinema di Soderbergh è la sequenza di apertura di Out of Sight. George Clooney, uscito fresco di prigione e vestito per l'occasione, un colloquio per "un lavoro di merda con un salario di merda" gli assicura il suo reclutatore, si congeda furioso, togliendosi la cravatta e scagliandola via con rabbia. Non andrà mai più contro i suoi desideri e farà solo quello che ama: rapinare banche. Girare film è tutto quello che vuole invece Soderbergh, tutto quello che gli riesce bene. Ma nel corso della sua carriera le cose si complicano e il suo desiderio oscilla tra prendere o lasciare. Assumere fino in fondo la propria vocazione di autore, nutrendo l'appetito con la sperimentazione, o abdicare il proprio istinto, volgendo altrove l'energia?

Sono passati sei anni da quando il regista americano ha dichiarato la sua intenzione di smettere col cinema. Promessa fatte a più riprese e (per fortuna) mai mantenuta. Irrequieto e incontinente non nasconde alla stampa il bisogno incoercibile di distruggere tutto e ricominciare da zero, il desiderio di reinventare il linguaggio del cinema, di trovare una nuova narrazione.
Marzia Gandolfi

Il risultato della sua nevrosi artistica è una filmografia complessa che abbraccia tutti i generi (SF, polar, action, film storici o sperimentali, biopic prestigiosi, porno-soft, adattamenti letterari), sperimentando tutti i formati (videocamera, HD, 35 mm, etc), girando in tre giorni con un budget ridicolo e attori sconosciuti (Bubble) o realizzando blockbuster corredati di cast a cinque stelle (Ocean's Eleven). Per quanto ci provi, confessando con candore lo sforzo di scampare al virus potente della realizzazione, Soderbergh è decisamente inguaribile e pronto, sempre pronto, a (ri)sorgere là dove non ce lo aspettiamo. Così dopo aver archiviato una manciata di film senza risonanza ed essere rimontato in sella nel 2012 con Magic Mike, cambia direzione, rinuncia al cinema e si consacra alla televisione (The Knick). Fino a La truffa dei Logan almeno.


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In foto una scena del film La truffa dei Logan.
In foto una scena del film La truffa dei Logan.
In foto una scena del film La truffa dei Logan.

Indie affollato di star, che 'ruba' alle major per creare a piacere, La truffa dei Logan è azzardo puro, rischio (in)calcolato e scommessa commerciale affondata in West Virginia, lo Stato dove Donald Trump ha raccolto una delle percentuali più alte. Un folgorante come-back che conferma (daccapo) una contraddizione e afferma (a gran voce) un desiderio (il solo e unico): continuare a girare. E a guardare La truffa dei Logan c'è da credergli. Commedia sociale pungente ficcata nell'America profonda, quel Sud che gli ha dato i natali e a cui ha sempre guardato con tenerezza infinita, l'ultimo opera di Soderbergh segna il ritorno del figliol prodigo. Il piacere è nostro ma anche suo a giudicare dai rocamboleschi ribaltamenti di una rapina a 'cuore armato'. Il godimento è palpabile mentre osserva i suoi eroi indigenti, bianchi della classe rurale decisi a prendersi una fetta del sogno americano.

La truffa dei Logan, combinando (in)credibilmente action e inerzia, si fa in corsa commedia aperta e dinamica. Una commedia dagli accenti metacinematografici che rivisita la sua saga più celebre (Ocean) in versione villana con corse di automobili, concorsi di mini miss e strizzatine d'occhio alla mascolinità proletaria di Magic Mike.
Marzia Gandolfi

Una commedia, ancora, che gioca sullo stesso terreno dei fratelli Coen, il paese dei losers, i dimenticati dell'American Dream. Alla maniera di Fargo, La truffa dei Logan nasconde sotto l'intrigo avvincente la rivincita e l'ambiziosa modestia di grulli mai così stupidi da rinunciare a mettere fine alla mediocrità della loro resistenza. La lentezza apparente della loro riflessione e del racconto è sbaragliata dalla risoluzione dello 'scasso', figura narrativa improntata dal franchise Ocean's Eleven. Ancora una volta è lì che si rivela la maestria del team la cui meccanica affonda in una viva emozione: quella dell'alibi di un padre che corre a vedere cantare (e trionfare) sua figlia in un concorso pubblico.

Come i suoi eroi, Mark Whitacre su tutti (The Informant!), Steven Soderbergh fa della forza avversa e della fuga in avanti le sue armi di predilezione. Ama mascherare il suo lavoro di montatore o di operatore sotto diversi pseudonimi, adora mischiare generi antagonisti, mettendo in scena regolarmente storie di complotti, di tradimenti e di false apparenze. In qualche modo, il regista sembra regolare nelle sue opere il rapporto ambivalente che intrattiene da sempre coi 'narratori' di Hollywood. Irrigato dall'affetto che Soderbergh prova per i suoi declassati, perseguitati da una sfortuna patologica esplorata come elemento drammatico, La truffa dei Logan è interpretato da attori pronti a tutto senza forzare mai nulla. Channing Tatum, Adam Driver, Riley Keough, Katie Holmes e Daniel Craig, che esplode il suo potenziale comico, trovano quell'equilibrio che gli permette di esagerare emozione e buffonata eludendo la caricatura in una storia senza tempi morti. In una storia che dice bene del suo irriducibile amore per gli attori e per il cinema. Welcome back, Mr. Soderbergh.


RECENSIONE

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