giorpost
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giovedì 29 dicembre 2016
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grande regia per un'avventura troppo romanzata
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Hugh Glass è un esperto cacciatore di pelli nell'America dell'età dell'oro, avventuriero all'occorrenza ed affidabile fuciliere. Partito come guida in una spedizione nel Nord Dakota a seguito di una squadra pronta a tutto pur di procurasi più pellicce possibile per aumentare gli introiti, è costretto ad intervenire per difenderne i componenti da un attacco improvviso di nativi americani, riuscendo a neutralizzarli in grande quantità. Glorificato da quasi tutti i pochi sopravvissuti della spedizione, non riceve altrettanti consensi da John Fitzgerald, mercenario schivo e diffidente per partito preso. Sulla strada del ritorno, col bottino in spalla, Glass mette tutti in guardia dal riscendere il fiume, convincendo i mercanti a riparare nei boschi onde evitare ulteriori imboscate da parte degli Arikara, con la prospettiva di allungare il rientro al campo base di diverse settimane; al primo giro di ricognizione, però, Hugh subisce un feroce attacco di un grizzly che lo riduce in fin di vita.
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Hugh Glass è un esperto cacciatore di pelli nell'America dell'età dell'oro, avventuriero all'occorrenza ed affidabile fuciliere. Partito come guida in una spedizione nel Nord Dakota a seguito di una squadra pronta a tutto pur di procurasi più pellicce possibile per aumentare gli introiti, è costretto ad intervenire per difenderne i componenti da un attacco improvviso di nativi americani, riuscendo a neutralizzarli in grande quantità. Glorificato da quasi tutti i pochi sopravvissuti della spedizione, non riceve altrettanti consensi da John Fitzgerald, mercenario schivo e diffidente per partito preso. Sulla strada del ritorno, col bottino in spalla, Glass mette tutti in guardia dal riscendere il fiume, convincendo i mercanti a riparare nei boschi onde evitare ulteriori imboscate da parte degli Arikara, con la prospettiva di allungare il rientro al campo base di diverse settimane; al primo giro di ricognizione, però, Hugh subisce un feroce attacco di un grizzly che lo riduce in fin di vita. Il capitano di spedizione Henry non accetta di abbandonare al suo destino l'uomo che li ha salvati, invitando alcuni colleghi di brigata a restare con lui per accompagnarlo ad una morte ritenuta inevitabile e dargli una dignitosa sepoltura: riesce a convincerne uno (l'ingenuo Jim) e trova un' inaspettato volontario in Fitzerald. Questi, in realtà, ha solo iniziato una strategia inumana per salvare il salvabile, prima uccidendo Hawk, il figlio mezzosangue di Glass, poi ingannando il giovane Jim Bridger su un imminente (ed inesistente) attacco ostile evitabile soltanto con con una frettolosa quanto illegittima sepoltura di Hugh seguita da un'altrettanto rapida fuga per riguadagnare il tempo “perso”. Glass, incapace di parlare a causa dei danni subiti alla trachea e di muoversi per le altre terribili ferite, cerca invano una vendetta immediata, finendo col restare solo nel bosco al freddo, senza cibo, in fin di vita e con il cadavere del figlio adolescente (avuto sposando una nativa di una tribù pacifica denominata Pawnee ) a pochi metri di distanza. Dopo interminabili attimi di smarrimento e comprensibile angoscia, decide che non è affatto il caso di trapassare, almeno non prima di essersi tolto la soddisfazione che facilmente possiamo intuire, raggiungibile solo dopo le seguenti azioni: recuperare le forze, guarire alla meglio le ferite, seppellire il figlio, incamminarsi nel nulla e sopravvivere per intere settimane al freddo, alla fame ed alla sete per riagguantare il gruppo (nel frattempo tornato al fortino) e prendersi la sua vendetta con il carnefice che ha spazzato via in pochi secondi quanto più gli era caro. La sua sarà una incredibile battaglia per la sopravvivenza...
Con The Revenant (USA, 2015) il messicano Iñárritu cerca (trovandola) la definitiva consacrazione come regista di assoluto livello e di grande impatto, oltre a garantire discreti incassi. Il risultato di questa aspirazione è un film bellissimo dal punto di vista tecnico, con una regia impeccabile ed una fotografia straordinaria, senza dimenticare un azzeccatissimo quanto minimalista sonoro curato dal grande Ryūichi Sakamoto (forse solo un pizzico simile al tema de Il tè nel deserto). Tuttavia, pur non priva di spunti interessanti (le sequenze oniriche con protagonista la filosofia degli “indiani” d'America o l'amore oltre le barriere etniche), per questa pellicola vanno sottolineate alcune esagerazioni: rocamboleschi inseguimenti, trucchi visti e rivisti (la finta morte a cavallo), cadute da precipizi su abeti in stile Rambo in sella a cavalli derubati, dormite all'interno di carcasse di bestie svuotate, pasti a base di radici secche...e qualche frase fatta di troppo. In pratica una storia (semi-vera) appassionante, notevole nella sua gestazione ma eccessivamente romanzata, considerando che trattasi di una sorta di biopic.
E poi? Poi c'è quell'interpretazione del protagonista che è valsa la statuetta a DiCaprio, ma sulla quale io non sono molto d'accordo, e faccio delle opportune precisazioni a riguardo: pur elogiandone la performance (molto bravi anche Tom Hardy e diversi comprimari) e riconoscendo che il ragazzo s'è dato molto da fare mettendoci anima e corpo, per l'ennesima volta devo constatare che il suo operato non mi ha del tutto convinto. Questa corsa all'oro che Hollywood ha iniziato qualche anno fa nel disperato tentativo di creare una generazione di attori degni di quella precedente, pare debba obbligatoriamente raccogliere frutti. E allora ecco a voi la beatificazione di San Leo... Fossi stato nei panni di Alejandro Iñárritu o di Brett Ratner (il produttore esecutivo) non avrei esitato un istante a chiamare per quest'opera attori come Cristian Bale, Edward Norton piuttosto che McConaughey, per fare qualche esempio. Nell'America cinematografica di oggi ritengo questi (e pochi altri) degni dei vari Newman, DeNiro, Pacino, Hackman, Hoffman e via discorrendo; DiCaprio, sia chiaro, lo considero un bravo attore, ma nulla più; sarà quella faccia da angioletto delle pubblicità natalizie, o il doppiaggio affibbiatogli da anni, troppo da “guaglione”, e per quel suo volersi ad ogni costo cimentare con i grandi: personalmente non riesce proprio a convincermi.
In ogni caso Redivivo è un'avvincente storia d'avventura nel bel mezzo di paesaggi straordinari, un lavoro eseguito come ai vecchi tempi con scene girate nella neve reale, col freddo reale.
Voti: 9 alla regia; 6,5 alla storia; 6 per rispetto alla grande volontà di DiCaprio.
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andrej
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lunedì 17 aprile 2017
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una storia di sopravvivenza e vendetta
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Bel western invernale, liberamente basato su una storia vera e caratterizzato da una splendida fotografia, da paesaggi straordinari e da un'ottima recitazione da parte di tutti gli attori, molto calati nella propria parte e credibili. Particolarmente convincenti il protagonista, L. Di Caprio (bravo come sempre), il suo antagonista, T. Hardy (qui in insolite vesti da cattivo e irriconoscibile, con capelli e barba lunghi ed incolti) e D. Gleeson, nella parte del capitano Henry. La regia e' buona, ma non eccezionale. Due, a mio parere, i difetti del film, che gli impediscono di diventare il capolavoro che avrebbe potuto essere: 1) l'eccessiva lentezza della vicenda che, dopo un inizio incalzante e veloce, procede via via per tempi sempre piu' lunghi (forse anche per sottolineare l'immensita' dei territori selvaggi in cui si svolge l'azione e la lentezza e difficolta' degli spostamenti attraverso di essi); comunque, quali che siano le ragioni di questa scelta registica, il risultato e' che le 2 ore e mezza di durata del film si sentono a volte un po' troppo; 2) lo scarso appeal dei personaggi che, cosi' rozzi, primordiali e selvatici come sono, saranno magari anche piu' realistici, ma diventano tutti estremamente poco simpatici, rendendo davvero difficile allo spettatore una forte partecipazione emotiva alle loro vicende.
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Bel western invernale, liberamente basato su una storia vera e caratterizzato da una splendida fotografia, da paesaggi straordinari e da un'ottima recitazione da parte di tutti gli attori, molto calati nella propria parte e credibili. Particolarmente convincenti il protagonista, L. Di Caprio (bravo come sempre), il suo antagonista, T. Hardy (qui in insolite vesti da cattivo e irriconoscibile, con capelli e barba lunghi ed incolti) e D. Gleeson, nella parte del capitano Henry. La regia e' buona, ma non eccezionale. Due, a mio parere, i difetti del film, che gli impediscono di diventare il capolavoro che avrebbe potuto essere: 1) l'eccessiva lentezza della vicenda che, dopo un inizio incalzante e veloce, procede via via per tempi sempre piu' lunghi (forse anche per sottolineare l'immensita' dei territori selvaggi in cui si svolge l'azione e la lentezza e difficolta' degli spostamenti attraverso di essi); comunque, quali che siano le ragioni di questa scelta registica, il risultato e' che le 2 ore e mezza di durata del film si sentono a volte un po' troppo; 2) lo scarso appeal dei personaggi che, cosi' rozzi, primordiali e selvatici come sono, saranno magari anche piu' realistici, ma diventano tutti estremamente poco simpatici, rendendo davvero difficile allo spettatore una forte partecipazione emotiva alle loro vicende. Vera grande protagonista della pellicola, assai piu' affascinante dei protagonisti umani, e' la Natura, selvaggia, incontaminata e possente, al cui cospetto la piccolezza e meschiníta umana risaltano ín modo ancora piu’ evidente ed impietoso. Memorabili, a questo riguardo, le riprese in campo lunghissimo di valli e montagne, dove le figure umane sono ridotte a puntini appena visibili, o quelle non meno suggestive delle foreste, in cui gli alberi, gia’ di per se stessi altissimi, sono spesso ripresi dal basso verso l’alto, per sottolinearne maggiormente la statura di giganti in confronto agli umani che, sporchi, stremati e miserabili, arrancano ai loro piedi come insignificanti insetti.
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st7no
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giovedì 13 luglio 2017
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maestoso
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Di Caprio nasconde in se' qualcosa di estremamente particolare. Partendo dal fatto che non sono molte le persone che vogliono "lavorare" con lui, tutte quelle che invece lo fanno, permettono agli spettatori di godere di questi spettacoli UNICI. Per Di Caprio arriva l' oscar anche se a mio avviso, avrebbe gia' dovuto prenderlo prima con almeno 3/4 film, ma la statuetta tanto agognata finalmente lo consacra "sovrano".
Detto questo dell' immenso Di Caprio, il film, forse e dico forse, leggermente troppo lungo, lascia senza fiato! Le immagini, le foto, la passione della trama e di come si sviluppa, e' da pura adrenalina e il coinvolgimento che ne deriva, penso sia ai massimi livelli.
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Di Caprio nasconde in se' qualcosa di estremamente particolare. Partendo dal fatto che non sono molte le persone che vogliono "lavorare" con lui, tutte quelle che invece lo fanno, permettono agli spettatori di godere di questi spettacoli UNICI. Per Di Caprio arriva l' oscar anche se a mio avviso, avrebbe gia' dovuto prenderlo prima con almeno 3/4 film, ma la statuetta tanto agognata finalmente lo consacra "sovrano".
Detto questo dell' immenso Di Caprio, il film, forse e dico forse, leggermente troppo lungo, lascia senza fiato! Le immagini, le foto, la passione della trama e di come si sviluppa, e' da pura adrenalina e il coinvolgimento che ne deriva, penso sia ai massimi livelli. Tante le occasioni dove "sentivo freddo" quasi catapultato in quei boschi, in quelle pianure ghiacchiate e innevate. Insomma, giudicare cotanto capolavoro risulta anche difficile, meglio goderselo e respirare compiaciuti.
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dandy
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martedì 17 ottobre 2017
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iron man nell'800?
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Dal racconto omonimo di Michael Punke(basato su una storia reale del folklore americano),un film di ambiziosa statura epica,ambientato in un inizio 800 dove i protagonisti combattono più contro se stessi e contro l'ambiente che con gli indiani.Nessun richiamo al western,nè al mito della frontiera,piuttosto uno sguardo di maestosa intensità su una natura ostile e implacabile,contro cui il protagonista oppone una feroce resistenza mosso dalla vendetta.La forza delle immagini,l'uso delle locations hanno un fascino notevole,con echi della pittura di Alfred Jacob Miller e Karl Bodmer,rimandi letterari(Dostoevskij e Tolstoi) e citazioni cinematografiche(esplicite quelle di "Andrej Rubilov" di Tarkovaky;più esili quelle di Herzog e Malick).
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Dal racconto omonimo di Michael Punke(basato su una storia reale del folklore americano),un film di ambiziosa statura epica,ambientato in un inizio 800 dove i protagonisti combattono più contro se stessi e contro l'ambiente che con gli indiani.Nessun richiamo al western,nè al mito della frontiera,piuttosto uno sguardo di maestosa intensità su una natura ostile e implacabile,contro cui il protagonista oppone una feroce resistenza mosso dalla vendetta.La forza delle immagini,l'uso delle locations hanno un fascino notevole,con echi della pittura di Alfred Jacob Miller e Karl Bodmer,rimandi letterari(Dostoevskij e Tolstoi) e citazioni cinematografiche(esplicite quelle di "Andrej Rubilov" di Tarkovaky;più esili quelle di Herzog e Malick).Il risultato complessivo però,finisce per essere freddo come l'ambiente che mostra.L'insistito realismo,dall'attacco dell'orso al calvario per raggiungere la destinazione è a rischio di saturazione,e influisce sulla narrazione.E sulla vera emozione,tant'è che il finale si svolge nel più plateale dei modi.Insomma Inarritu si è concentrato troppo sul tour de force di Di Caprio(costretto come tutti gli altri a recitare in un clima veramente proibitivo,tanto da ammalarsi di polmonite)per cercare di trasmettere allo spettatore il gelo,il dolore,la fatica,la fame,e la rabbia.3 Oscar,per regia,fotografia e a 22 anni dalla sua prima nomination,DiCaprio(cosa che ha scatenato sui social e co un'infinità di critiche,battutine,meme,doppiaggi ironici del discorso dell'attore,foto e quant'altro).La stessa storia era già stata narrata nel'71 in "Uomo bianco,va col tuo Dio!".
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cinephilo
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mercoledì 14 novembre 2018
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immersivo, maestosamente selvaggio.
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Grande prova di Iñarritu, del maestro fotografo Lubezki e dello scenografo che hanno lavorato in questo film. Si trstta di un meraviglioso semi-documentario di sopravvivenza nelle selvagge montagne rocciose tra Montana e Canada (anche se l'ambientazione del film è in Nord Dakota). Scena dell'attacco dell'orso incredibilmente realistica, inquadrature maestose di alberi secolari e scorci di cielo che regnano sovrani sul destino di ogni protagonista. Meritatissimi gli oscar alla regia e alla fotografia. C'è da dire che il film non riesce tuttavia a raggiungere, secondo la mia personale e modesta opinione, lo status di capolavoro per mancanza di una sceneggiatura all'altezza e per la mancanza di caratterizzazione del personaggio principale, Hugh Glass, impersonato da un buon DiCaprio ma non dal miglior DiCaprio.
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Grande prova di Iñarritu, del maestro fotografo Lubezki e dello scenografo che hanno lavorato in questo film. Si trstta di un meraviglioso semi-documentario di sopravvivenza nelle selvagge montagne rocciose tra Montana e Canada (anche se l'ambientazione del film è in Nord Dakota). Scena dell'attacco dell'orso incredibilmente realistica, inquadrature maestose di alberi secolari e scorci di cielo che regnano sovrani sul destino di ogni protagonista. Meritatissimi gli oscar alla regia e alla fotografia. C'è da dire che il film non riesce tuttavia a raggiungere, secondo la mia personale e modesta opinione, lo status di capolavoro per mancanza di una sceneggiatura all'altezza e per la mancanza di caratterizzazione del personaggio principale, Hugh Glass, impersonato da un buon DiCaprio ma non dal miglior DiCaprio. Alcuni eventi mostrati non sarebbero stati a mio avviso compatibili con la sopravvivenza del protagonista come precipitare con un cavallo da un profondissimo dirupo su un pino innevato posto svariate decine di metri più in basso. Di Glass a parte la sua sete di vendetta per l'omicidio del figlio e della sua voglia di non arrendersi, nessun aspetto caratteriale, storico o introspettivo viene approfondito e sviluppato. Più caratterizzato invece il personaggio di Tom Hardy, Fitzgerald, che viene delineato sicuramente meglio nel carattere e nelle sue propensioni umane (o meglio disumane). Il britannico avrebbe secondo me meritato l'Oscar per il miglior attore non protagonista.
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marcobrenni
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martedì 29 ottobre 2019
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film ridondante dove trionfa la natura gelida
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Non mi dilungo sulla storia già narrata per esteso da altri. Non c'è molto da dire su questo film essenziale, tanto essenziale da apparire irreale nella sua brutalità onnipervasiva. Non c'è (quasi) traccia di umanità in questo branco di cacciatori avidi e abbruttiti che invadono a scopi predatori il territorio degli "sporchi" indiani . L'unica umanità c'è nei confronti della morte del figlio meticcio da parte del protagonista Glass (Di Caprio). In fondo timorato di Dio (Inarritu stesso) non vuole che il suo eroe si macchi alla fine di una vendetta assassina, ma la lascia compiere al vicino gruppo d'indiani (tanto sono dei "senza anima").
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Non mi dilungo sulla storia già narrata per esteso da altri. Non c'è molto da dire su questo film essenziale, tanto essenziale da apparire irreale nella sua brutalità onnipervasiva. Non c'è (quasi) traccia di umanità in questo branco di cacciatori avidi e abbruttiti che invadono a scopi predatori il territorio degli "sporchi" indiani . L'unica umanità c'è nei confronti della morte del figlio meticcio da parte del protagonista Glass (Di Caprio). In fondo timorato di Dio (Inarritu stesso) non vuole che il suo eroe si macchi alla fine di una vendetta assassina, ma la lascia compiere al vicino gruppo d'indiani (tanto sono dei "senza anima"). Film ridondante di scene brutali, primitive, messe in scena con gusto sadico-mortifero che a tratti ricorda il gusto per la violenza sanguinolenta di Tarantino. Le uniche due cose positive-valide del film (troppo lungo) sono le meravigliose riprese dei paesaggi gelidi-innevati delle foreste artiche, nonché l'immane sforzo compiuto da Di Caprio che è si è sottoposto volontariamente ad un vero martirio. Comunque non è un film che andrei a rivedere: proprio no!
Giustificati gli Oscar solo per la scenografia e la credibile-difficile recitazione di Di Caprio. In buona sostanza lodi eccessive per questo film, forse anche per il calibro del regista Inarritu che già fece molto di meglio. Pure il nome di Di Caprio ha avuto il suo peso.
Marco Brenni
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mario.scazzosi
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domenica 17 gennaio 2016
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una storia eccessiva
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Ottimo Di Caprio (e dategli sto oscar ... ), meravigliosa natura, ottima fotografia, ma dopo l'avvio e un'ora di storia comincia un pò di ripetizione e dopo l'ennesima rocambolesca scena di morte scampata, la sopravvivenza dell'eroe scade nel fumettone di genere. Eccessiva anche l'estetica della violenza, non necessaria. Troppo film, troppa storia, troppi dettagli, la natura e la sua essenzialità bastava. Così come i dialoghi sono scarni ed essenziali, ed è bello il parlato del pensiero in lingua sottotitolato, c'era spazio per ridurre allo stesso livello tutti gli altri pieni. Bel film, da vedere, ma non e' per me il capolavoro che le nomination hanno prospettato. Peccato.
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xdreamanx
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martedì 19 gennaio 2016
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esteriore e di maniera
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Un capolavoro di fotografia di rara bellezza che conquisterà l'Oscar a mani basse. Ho apprezzato l'uso della macchina da presa con inquadrature "sgrandangolate", effetto immersione, che ricordano la go-pro e aiutano lo spettatore a godere degli effetti più cruenti e della bellezza della natura canadese con un realismo quasi tridimensionale. Mi piacciono gli accostamenti surreali al racconto realistico degli avvenimenti, certo fanno avvertire la cifra registica e la volontà di Inarritu di essere presente lungo il racconto, ma ripeto mi sono piaciute perché poetiche, delicate in un contesto che di delicato non ha molto da offrire. Il film ha un ritmo incalzante non annoia e fa trascorrere due ore e mezza senza cadute di tensione accompagnando lo spettatore fino al suo epilogo.
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Un capolavoro di fotografia di rara bellezza che conquisterà l'Oscar a mani basse. Ho apprezzato l'uso della macchina da presa con inquadrature "sgrandangolate", effetto immersione, che ricordano la go-pro e aiutano lo spettatore a godere degli effetti più cruenti e della bellezza della natura canadese con un realismo quasi tridimensionale. Mi piacciono gli accostamenti surreali al racconto realistico degli avvenimenti, certo fanno avvertire la cifra registica e la volontà di Inarritu di essere presente lungo il racconto, ma ripeto mi sono piaciute perché poetiche, delicate in un contesto che di delicato non ha molto da offrire. Il film ha un ritmo incalzante non annoia e fa trascorrere due ore e mezza senza cadute di tensione accompagnando lo spettatore fino al suo epilogo. Detto questo la sceneggiatura è a dir poco inesistente, tenuta su dalla più classica dinamica del "guardia e ladri" che ha il merito di incollare l'attenzione del pubblico ma in questo caso non offre particolare spunto di riflessione, confezionando un film di facile fruizione e comprensione. Tom Hardy convincente e potenziale vincitore della statuetta da non protagonista, Di Caprio che ha purtroppo la pecca di tendere sempre al "sopra le righe" all' "over-acting" forse per sopperire al timore di non convincere mai abbastanza chi lo guarda, non merita il premio e facciamo un cattivo servizio alla vera natura dell'Oscar e dell' attore che lo ha meritato sicuramente in altre interpretazioni più sfaccettate e complesse piuttosto che in una versione da provetto neorambo, alla Bear Grylls, dove pur avendo un fisico gracilino riesce inspiegabilmente a sopportare diete e temperature, ipotermie da stendere un elefante, fratture e cadute da precipizi con cavallo su alberi non certo morbidi e accoglienti, tagli e dissanguamenti che manderebbero al creatore anche il più ostinato Highlander. Il doppiatore italiano credo abbia ringraziato molto visto che erano più i sospiri i rantoli e mugugni delle frasi dette dall'attore. Insomma non si consegna un premio solo a chi mostra di essere capace di superare mille difficoltà, di aver un fisico temprato, un buon rapporto col nutrizionista. Un Oscar non lo si vince al bar per chi regge di più l'alcool, o chi vince una gara di cento metri, non è una semplice esibizione di forza, coraggio o capacità fisiche, sarebbe davvero svilente del significato della statuetta, il film è molto esteriore ma vi prego di non confondere l'esibire con l'essere.
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samba95
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martedì 19 gennaio 2016
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un viaggio nella natura
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Un anno dopo il film "Birdman" il regista premio Oscar Inàrritu torna con "The Revenant". Il film si basa sul viaggio dell'esploratore Hugh Glass (Leonardo DiCaprio) che è alla ricerca dell'ex compagno John Fitzgerald (Tom Hardy) che è l'assassino del figlio. Innaritù, con la regia che lo contraddistingue, sembra che ci conduca direttamente sulla scena in compagnia di Glass. Magistrale la fotografia che ci mostra dei paesaggi di rara bellezza in grado di bucare lo schermo. Putroppo però sembra che il film si concentri solo su quello, a discapito della trama che è abbastanza semplice. Infatti il film nonostante sia comunque molto bello non è esente da difetti.
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Un anno dopo il film "Birdman" il regista premio Oscar Inàrritu torna con "The Revenant". Il film si basa sul viaggio dell'esploratore Hugh Glass (Leonardo DiCaprio) che è alla ricerca dell'ex compagno John Fitzgerald (Tom Hardy) che è l'assassino del figlio. Innaritù, con la regia che lo contraddistingue, sembra che ci conduca direttamente sulla scena in compagnia di Glass. Magistrale la fotografia che ci mostra dei paesaggi di rara bellezza in grado di bucare lo schermo. Putroppo però sembra che il film si concentri solo su quello, a discapito della trama che è abbastanza semplice. Infatti il film nonostante sia comunque molto bello non è esente da difetti. Se non si è amanti della fotografia o della regia il film può risultare pesante in alcune scene, in quanto i colpi di scena sono veramente pochi e il protagonista (interpretato molto bene da DiCaprio) gioca molto sulle espressioni facciali di sofferenza e odio visto che i dialoghi sono veramente pochi, tanto che l'antagonista Tom Hardy a tratti sembra "rubargli" la scena. Attenzione,perchè il film non è brutto, soltanto che purtroppo si sente la mancanza di una trama che attiri lo spettatore ma che tuttavia non può non affascinarsi grazie alla regia di Innaritu, alla fotografia a luce naturale di Lubezki e alle interpretazioni di DiCaprio e Hardy. Inoltre la colonna sonora non incide come dovrebbe fare, se fosse stata diversa probabilmente alcune scene non sarebbero risultate lente o pesanti. Rimane comunque un film da vedere e sicuramente qualche Oscar riuscirà a portarselo a casa (che sia la volta buona per DiCaprio?) . Voto 7,5/8 su 10.
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no_data
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martedì 19 gennaio 2016
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una critica storica e universale quantomai attuale
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Quando affidi il filmico a Iñárritu e Lubezki è difficile pensare ad un risultato che si discosti molto dalla perfezione: qui - la perfezione - è stata raggiunta.
Con una regia assolutamente fuori dall'ordinario, fuori dagli schemi classici della grammatica cinematografica, Iñárritu ci catapulta alla fine del mondo immergendoci nel freddo e nella natura grazie ai meravigliosi piani-sequenza e ad un utilizzo magistrale del grandangolo; Lubezki invece, maestro della luce (3 Oscar), realizza una fotografia incantevole enfatizzando il contesto scenografico nel quale sono immersi i personaggi.
DiCaprio offre la prestazione più matura della sua carriera sotto la direzione di Iñárritu. È lo sguardo - ed il corpo - sofferente di un uomo che ha perso la moglie e non gli rimane altro che un figlio - finché anche questi non gli sarà strappato - a rendere pregevole la sua interpretazione sempre composta, mai melodrammatica e quantomeno esagerata, andando a fondo nel proprio dramma vivendo così con estremo riserbo il suo dolore, trasformandosi nel suo intimo sotto la grazia di una moglie saggia, linfa della sua vita.
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Quando affidi il filmico a Iñárritu e Lubezki è difficile pensare ad un risultato che si discosti molto dalla perfezione: qui - la perfezione - è stata raggiunta.
Con una regia assolutamente fuori dall'ordinario, fuori dagli schemi classici della grammatica cinematografica, Iñárritu ci catapulta alla fine del mondo immergendoci nel freddo e nella natura grazie ai meravigliosi piani-sequenza e ad un utilizzo magistrale del grandangolo; Lubezki invece, maestro della luce (3 Oscar), realizza una fotografia incantevole enfatizzando il contesto scenografico nel quale sono immersi i personaggi.
DiCaprio offre la prestazione più matura della sua carriera sotto la direzione di Iñárritu. È lo sguardo - ed il corpo - sofferente di un uomo che ha perso la moglie e non gli rimane altro che un figlio - finché anche questi non gli sarà strappato - a rendere pregevole la sua interpretazione sempre composta, mai melodrammatica e quantomeno esagerata, andando a fondo nel proprio dramma vivendo così con estremo riserbo il suo dolore, trasformandosi nel suo intimo sotto la grazia di una moglie saggia, linfa della sua vita. Grazie a questo ritroverà il rapporto con la natura, col suo popolo "selvaggio" prima nemico ed ora amico, con la sua terra inizialmente tradita da lui stesso.
Tom Hardy è l'antagonista perfetto, incarnando un uomo senza scrupoli che su quella terra incantevole vi specula uccidendo e trafficando pelli nel solo nome del profitto.
È un film che nella sua storia nasconde una critica storica ed universale ad un mondo violento che ha reso selvaggi i suoi nativi e ha reso nativi i selvaggi che hanno usurpato quelle terre. Una potente critica a chi della natura ne ha fatto - e ne continua a fare - speculazione e interesse a danno dei popoli e della natura stessa.
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[+] bravo
(di 38ogeid)
[ - ] bravo
[+] scusa, ma...
(di writer58)
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