no_data
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martedì 19 gennaio 2016
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una critica storica e universale quantomai attuale
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Quando affidi il filmico a Iñárritu e Lubezki è difficile pensare ad un risultato che si discosti molto dalla perfezione: qui - la perfezione - è stata raggiunta.
Con una regia assolutamente fuori dall'ordinario, fuori dagli schemi classici della grammatica cinematografica, Iñárritu ci catapulta alla fine del mondo immergendoci nel freddo e nella natura grazie ai meravigliosi piani-sequenza e ad un utilizzo magistrale del grandangolo; Lubezki invece, maestro della luce (3 Oscar), realizza una fotografia incantevole enfatizzando il contesto scenografico nel quale sono immersi i personaggi.
DiCaprio offre la prestazione più matura della sua carriera sotto la direzione di Iñárritu. È lo sguardo - ed il corpo - sofferente di un uomo che ha perso la moglie e non gli rimane altro che un figlio - finché anche questi non gli sarà strappato - a rendere pregevole la sua interpretazione sempre composta, mai melodrammatica e quantomeno esagerata, andando a fondo nel proprio dramma vivendo così con estremo riserbo il suo dolore, trasformandosi nel suo intimo sotto la grazia di una moglie saggia, linfa della sua vita.
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Quando affidi il filmico a Iñárritu e Lubezki è difficile pensare ad un risultato che si discosti molto dalla perfezione: qui - la perfezione - è stata raggiunta.
Con una regia assolutamente fuori dall'ordinario, fuori dagli schemi classici della grammatica cinematografica, Iñárritu ci catapulta alla fine del mondo immergendoci nel freddo e nella natura grazie ai meravigliosi piani-sequenza e ad un utilizzo magistrale del grandangolo; Lubezki invece, maestro della luce (3 Oscar), realizza una fotografia incantevole enfatizzando il contesto scenografico nel quale sono immersi i personaggi.
DiCaprio offre la prestazione più matura della sua carriera sotto la direzione di Iñárritu. È lo sguardo - ed il corpo - sofferente di un uomo che ha perso la moglie e non gli rimane altro che un figlio - finché anche questi non gli sarà strappato - a rendere pregevole la sua interpretazione sempre composta, mai melodrammatica e quantomeno esagerata, andando a fondo nel proprio dramma vivendo così con estremo riserbo il suo dolore, trasformandosi nel suo intimo sotto la grazia di una moglie saggia, linfa della sua vita. Grazie a questo ritroverà il rapporto con la natura, col suo popolo "selvaggio" prima nemico ed ora amico, con la sua terra inizialmente tradita da lui stesso.
Tom Hardy è l'antagonista perfetto, incarnando un uomo senza scrupoli che su quella terra incantevole vi specula uccidendo e trafficando pelli nel solo nome del profitto.
È un film che nella sua storia nasconde una critica storica ed universale ad un mondo violento che ha reso selvaggi i suoi nativi e ha reso nativi i selvaggi che hanno usurpato quelle terre. Una potente critica a chi della natura ne ha fatto - e ne continua a fare - speculazione e interesse a danno dei popoli e della natura stessa.
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(di 38ogeid)
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dani_dani
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mercoledì 20 gennaio 2016
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la natura protagonista assoluta.
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Prendi un uomo spoglialo di tutto, averi, salute, futuro, lasciagli solo uno scopo, forte, chiaro, qualcosa che ha il sapore del fiele, qualcosa che sa di vendetta. Immergilo “Into the Wild” nell'era paleolitica ed osserva come si comporta per sopravvivere e raggiungere l'obiettivo. Un piccolo aiuto glie lo lasciamo, il fuoco.
La natura diventa protagonista assoluta se non addirittura regista della storia, decide quando far piovere o nevicare, se alzare o abbassare la temperatura, insomma fa il bello e il cattivo tempo un po' come Ed Harris in “The Truman Show”. L'uomo, anche se regredito da un'epoca più avanzata, torna a pensare semplice, quel poco che basta per sopravvivere (.
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Prendi un uomo spoglialo di tutto, averi, salute, futuro, lasciagli solo uno scopo, forte, chiaro, qualcosa che ha il sapore del fiele, qualcosa che sa di vendetta. Immergilo “Into the Wild” nell'era paleolitica ed osserva come si comporta per sopravvivere e raggiungere l'obiettivo. Un piccolo aiuto glie lo lasciamo, il fuoco.
La natura diventa protagonista assoluta se non addirittura regista della storia, decide quando far piovere o nevicare, se alzare o abbassare la temperatura, insomma fa il bello e il cattivo tempo un po' come Ed Harris in “The Truman Show”. L'uomo, anche se regredito da un'epoca più avanzata, torna a pensare semplice, quel poco che basta per sopravvivere (...quale vita Capitano? Io qui sopravvivo!), e dimenticare gli agi e gli amori di una vita civile (...non riesco più a ricordare il volto di mia moglie).
Uomo e natura sono la stessa cosa ed ogni azione fatta per sopravvivere comporta la perdita della vita per qualcun altro. Un albero abbattuto serve per costruire un rifugio, una bacca raccolta il pesce pescato o un uccello cacciato servono per riempire uno stomaco. Una lotta continua, tra acqua e roccia, piante e ghiaccio, lupi e bisonti, uomo e orso, uomo e uomo.
La crudeltà è cosa normale se la pensiamo come cosa necessaria o istintiva per la sopravvivenza della specie, di qualsiasi specie. Noi uomini moderni, ammantati di meschinità cerchiamo di dare un ordine a questa legge. Non uccidiamo più il capriolo come un tempo, lo preserviamo ma se diventano troppi, facciamo la “caccia di selezione”, cambiamo il nome ma i pallettoni fanno comunque male.
Siamo come serfisti che cercano di cavalcare in equilibrio le onde maestose della nostra madre natura, ma basta poco per tornare immersi in essa e nelle sue leggi. E questo accade più spesso di quanto si pensi!
Premio Oscar alla crudeltà della natura, perché in realtà è VITA. Riconoscimento speciale all'attore non protagonista “l'orso” e al suo domatore.
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maumauroma
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mercoledì 20 gennaio 2016
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revenant
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Western epico ma con una inconsueta struttura minimalista e caratterizzato da un sorprendente impianto scenico di tipo teatrale, con uno sfondo costituito da infiniti spazi per lo piu' innevati, da sterminate foreste,da immensi fiumi. Nella avventurosa vicenda di Gress,cacciatore di taglie durante la conquista delle terre occidentali da parte degli ancora giovani Stati Uniti agli inizi del diciannovesimo secolo si coagulano i sentimenti ancestrali del genere umano: amicizia,amore. lealta', odio, vendetta.La terribile aggressione del grizzly , il ventre squarciato di un cavallo come rifugio per sopravvivere al gelo. una Natura matrigna e al tempo stesso benefattrice, indifferente ai nostri destini.
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Western epico ma con una inconsueta struttura minimalista e caratterizzato da un sorprendente impianto scenico di tipo teatrale, con uno sfondo costituito da infiniti spazi per lo piu' innevati, da sterminate foreste,da immensi fiumi. Nella avventurosa vicenda di Gress,cacciatore di taglie durante la conquista delle terre occidentali da parte degli ancora giovani Stati Uniti agli inizi del diciannovesimo secolo si coagulano i sentimenti ancestrali del genere umano: amicizia,amore. lealta', odio, vendetta.La terribile aggressione del grizzly , il ventre squarciato di un cavallo come rifugio per sopravvivere al gelo. una Natura matrigna e al tempo stesso benefattrice, indifferente ai nostri destini. I lunghi e numerosi piani sequenza determinano un ritmo lento e solenne a questo film, affascinante anche se imperfetto (lunghezza eccessiva, dialoghi spesso banali e convenzionali,colonna sonora a volte invadente che ruba spazio ai silenzi ).che va comunque assolutamente visto. Un inquietante scandaglio nelle profondita' della nostra coscienza.
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toy vendor
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venerdì 22 gennaio 2016
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sopravvivere
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Continuare a vivere. Ci sono due modi per poterlo fare: limitarsi a sopravvivere, non esitando a immolare gli altri per il proprio tornaconto, o poter camminare a testa alta, di fronte al vento del nord o tra i propri compagni, dopo aver ucciso un orso e guardato la morte in faccia. Hugh Glass è un maestro in quest'arte, e né le più profonde ferite fisiche, né quelle spirituali riescono a piegarlo, è in grado di accettare l'ineluttabile e proseguire.
La voce che più di tutte si fa sentire è quella della natura, gli uomini hanno poco da dire di fronte a essa, e del resto non ci si può aspettare di trovare oratori eccellenti tra cacciatori. Il comparto fotografico è quindi senza dubbio in grado di esprimere molto meglio di qualsiasi dialogo l'enorme sforzo che viene chiesto dalla legge della sopravvivenza.
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Continuare a vivere. Ci sono due modi per poterlo fare: limitarsi a sopravvivere, non esitando a immolare gli altri per il proprio tornaconto, o poter camminare a testa alta, di fronte al vento del nord o tra i propri compagni, dopo aver ucciso un orso e guardato la morte in faccia. Hugh Glass è un maestro in quest'arte, e né le più profonde ferite fisiche, né quelle spirituali riescono a piegarlo, è in grado di accettare l'ineluttabile e proseguire.
La voce che più di tutte si fa sentire è quella della natura, gli uomini hanno poco da dire di fronte a essa, e del resto non ci si può aspettare di trovare oratori eccellenti tra cacciatori. Il comparto fotografico è quindi senza dubbio in grado di esprimere molto meglio di qualsiasi dialogo l'enorme sforzo che viene chiesto dalla legge della sopravvivenza.
Sequenze molto lunghe, primi piani e visioni panoramiche impressionano lo spettatore, gli trasmettono l'ansia provata sotto un decimante attacco indiano, l'intensità dei rapporti che si stringono quando si è così vicini alla morte, e l'immensità delle prove proposte dalla vita.
Una nota di merito va inoltre sicuramente fatta ai truccatori, che hanno svolto un lavoro davvero eccellente.
Un film che sfrutta ampiamente le possibilità offerte dal soggetto, un monumento alle avversità e all'istinto di sopravvivenza, nonché alla solidità dei principi morali di un uomo, rimanendo volutamente essenziale nella trattazione.
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lorifu
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giovedì 28 gennaio 2016
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di caprio - iñarritu - lubezki un trio vincente
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Revenant, è un film che per circa due ore e mezza ti tiene incollato alla poltrona quasi ipnotizzato dalle immagini visive che scorrono e coprono il tessuto narrativo che non ha quasi bisogno di parole per essere enucleato e compreso.
È un film talentuoso, a partire dal suo regista quel González Iñárritu che già attestò il suo modo di fare cinema con Birdman e che qua, cimentandosi in una prova di tutt’altro genere ha dimostrato di saperci fare dietro la macchina da presa, cogliendo la realtà, anche la più brutale, nei minimi dettagli.
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Revenant, è un film che per circa due ore e mezza ti tiene incollato alla poltrona quasi ipnotizzato dalle immagini visive che scorrono e coprono il tessuto narrativo che non ha quasi bisogno di parole per essere enucleato e compreso.
È un film talentuoso, a partire dal suo regista quel González Iñárritu che già attestò il suo modo di fare cinema con Birdman e che qua, cimentandosi in una prova di tutt’altro genere ha dimostrato di saperci fare dietro la macchina da presa, cogliendo la realtà, anche la più brutale, nei minimi dettagli. E questo grazie al direttore della fotografia, Emmanuel Lubezky, che in sintonia con le scelte di Iñárritu ha privilegiato la luce naturale tanto da renderci spettatori compartecipi della bellezza e delle suggestioni di una natura selvaggia che appare in tutta la sua maestosità, con le insidie e le bellezze da contemplare e rispettare.
Completamente ambientato nel gelido inverno nord-americano, agli inizi dell’800, è la storia vera dell’esploratore Hugh Glass /Di Caprio che guidando una spedizione di cacciatori di pelli, dopo un’incursione da parte degli indiani nativi che decima il gruppo, li costringe ad una repentina fuga verso la lunghissima via del ritorno. Ferito mortalmente da un grizzly e tradito e abbandonato da uno dei suoi uomini John Fitzgerald/Tom Hardy che gli ucciderà anche il figlio concepito con una donna indiana, lotterà per la sua sopravvivenza con l’unico scopo di vendicarsi.
E qua esce la parte migliore di Di Caprio che riesce, per buona parte del film soltanto attraverso la mimica facciale e l’espressività degli occhi a rendere tutta la drammaticità della vicenda.
L’iperrealismo di Iñárritu costringe a volte lo spettatore ad interrogarsi sulla necessità di certe scene di violenza nei confronti degli animali ma anche le sequenze più cruente vanno viste nell’ottica dell’istinto di sopravvivenza che convoglia tutte le energie dell’uomo in difficoltà, con buona pace anche degli animalisti più convinti.
Il regista riesce a far rientrare anche le efferatezze degli indiani nella logica di difesa delle loro terre e lo spettatore sin dall’inizio coltiva un immaginario di aderenza totale alla natura.
L’odissea di Glass termina con la morte del traditore. Nessuna vendetta gli potrà restituire il figlio ma il suo animo ha finalmente raggiunto una sorta di pacificazione.
"Perché nel mezzo di una tempesta, se guardi i rami di un albero, giureresti che stia per cadere. Ma se guardi il suo tronco ti accorgi di quanto sia stabile!"
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maria63
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domenica 31 gennaio 2016
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inno alla natura ed ai nativi
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Avevo molti pregiudizi prima di vedere questo film:mi aspettavo scene troppo cruente,troppa tristezza,crudo verismo.Invece è stato una piacevole sorpresa:l'unica scena che mi ha fatto aggrovigliare le viscere è stata la prima,l'attacco indiano.Ma è stato come la prima discesa sulle montagne russe:subito dopo sei "dentro"al film.E inaspettatamente le scene si sono fatte più rarefatte e sempre più oniriche.Forse il fatto di essere medico mi ha fatto apprezzare senza ribrezzo la scena dell'orso e le ferite conseguenti del povero Di Caprio.Confesso che mi è scappato un sorriso quando l'orso gli è caduto addosso in fondo al dirupo(peggio di così!)ma tutta la scena è stata magistrale.
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Avevo molti pregiudizi prima di vedere questo film:mi aspettavo scene troppo cruente,troppa tristezza,crudo verismo.Invece è stato una piacevole sorpresa:l'unica scena che mi ha fatto aggrovigliare le viscere è stata la prima,l'attacco indiano.Ma è stato come la prima discesa sulle montagne russe:subito dopo sei "dentro"al film.E inaspettatamente le scene si sono fatte più rarefatte e sempre più oniriche.Forse il fatto di essere medico mi ha fatto apprezzare senza ribrezzo la scena dell'orso e le ferite conseguenti del povero Di Caprio.Confesso che mi è scappato un sorriso quando l'orso gli è caduto addosso in fondo al dirupo(peggio di così!)ma tutta la scena è stata magistrale.Stupenda l'inquadratura di Glass con il sottofondo del respiro sempre più rapido dell'orsa che sta morendo dissanguata eppure combatte ancora.E simbolica:lui cacciatore di pelli(il cattivo,infondo),l'orsa,che difende i suoi piccoli...eppure nello scontro lui si purifica,perchè stavolta combatte per la vita.e subito dopo la Natura gli fa provare il dolore che l'orsa ha provato per i suoi piccoli.Però l'orso con la sua immensa forza diverrà il suo daimon.Di lui ,già provato dalla perdita della moglie...che compare insieme al figlio più volte a ricordargli che deve lasciare a Dio la vendetta e preoccuparsi solo di usare carità con tutti,animali e uomini:questa è la via della pace con se stesso e gli altri.E proprio la carità,verso la figlia del capo Pawnie,gli salverà ancora la vita.E lui capirà tutto ,alla fine,ma lo capirà.Di Caprio per me è grande e bravissimi i coprotagonisti.La regia è magistrale.Suoni e fotografia,musiche,tutte fuse in armonia perfetta.
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filippo catani
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martedì 2 febbraio 2016
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avventura intensa con qualche riserva
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Anni Venti dell'Ottocento. Un gruppo di cacciatori di pelli cerca di raggiungere il proprio forte dopo essere stati sorpresi da un attacco indiano. Il leader della spedizione rimane ferito al termine dell'assalto di un orso e viene abbandonato da un suo compagno d'armi.
Iniziamo dai pregi dei film di Inarritu che comunque si conferma un regista dalla vena sempre florida. La storia è molto interessante ed è una bella avventura ambientata tra i ghiacci in cui la resistenza umana è messa a dura prova. Ottima la sequenza dell'attacco degli indiani e la scelta di una telecamera sempre vicina all'azione tanto da registrare gli schizzi e le alitate dei protagonisti.
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Anni Venti dell'Ottocento. Un gruppo di cacciatori di pelli cerca di raggiungere il proprio forte dopo essere stati sorpresi da un attacco indiano. Il leader della spedizione rimane ferito al termine dell'assalto di un orso e viene abbandonato da un suo compagno d'armi.
Iniziamo dai pregi dei film di Inarritu che comunque si conferma un regista dalla vena sempre florida. La storia è molto interessante ed è una bella avventura ambientata tra i ghiacci in cui la resistenza umana è messa a dura prova. Ottima la sequenza dell'attacco degli indiani e la scelta di una telecamera sempre vicina all'azione tanto da registrare gli schizzi e le alitate dei protagonisti. Di Caprio e Hardy instaurano una lotta di bravura e un plauso lo merita anche l'ottimo doppiaggio specialmente di Giannini. Ultime ma non ultime la colonna sonora dove presente ma soprattutto una fotografia da togliere letteralmente il fiato. Ora veniamo alle riserve. Riflessioni e voci fuori campo ricordano troppo da vicino i film di Malick. La parte centrale del film è esageratamente prolissa e un taglio di 20-25 minuti non avrebbe tolto nulla al racconto. Infine, senza entrare nel dettaglio per chi non l'avesse ancora visto, ci sono alcune scene decisamente troppo d'azione o se vogliamo dire mache. Nel complesso resta comunque un prodotto più che valido che porterà sicuramente a casa qualche Oscar.
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mauridal
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giovedì 4 febbraio 2016
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lo spirito degli uomini giusti non muore mai.
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Alejandro Inarritu, regista diRevenant sceglie di raccontare la storia di Hugh Glass/Leonardo DiCaprio, cacciatore e commerciante di pelli nel nord America , Yankee ,in ambiente totalmente aperto e naturale ,i tutto si svolge in ampi spazi dove l'uomo è immerso nella natura a volte ostile e matrigna. Diversamente dal film precedente, Birdman, tutto chiuso in angusti spazi il regista vuole trovare ora una dimensione dai grandi orizzonti, segno anche di una ricerca di una diversa dimensione dell'uomo stesso ,che al confronto di questa natura immensa e sconfinata , diventa fragile, mortale. Quando la dimensione mortale dell'umanità non lascia speranza alla vicenda dei protagonisti, allora interviene lo spirito ,le anime che non muoiono mai, che a volte risorgono ed è il caso del cacciatore Hugh che ha una doppia anima , l'una di cacciatore Yankee e quindi dominatore e sterminatore della natura ma l'altra è di uomo selvaggio, vicino al al respiro del vento e alla vita degli alberi ,delle foglie, delle acque della neve degli stessi animali che caccia e uccide, , dunque un uomo vicino alla cultura degli uomini selvaggi nativi di quei territori di conquista americani, quegli iindiani pellerossa che l'uomo bianco ha voluto a loro volta combattere per cacciarli via e addirittura sterminare.
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Alejandro Inarritu, regista diRevenant sceglie di raccontare la storia di Hugh Glass/Leonardo DiCaprio, cacciatore e commerciante di pelli nel nord America , Yankee ,in ambiente totalmente aperto e naturale ,i tutto si svolge in ampi spazi dove l'uomo è immerso nella natura a volte ostile e matrigna. Diversamente dal film precedente, Birdman, tutto chiuso in angusti spazi il regista vuole trovare ora una dimensione dai grandi orizzonti, segno anche di una ricerca di una diversa dimensione dell'uomo stesso ,che al confronto di questa natura immensa e sconfinata , diventa fragile, mortale. Quando la dimensione mortale dell'umanità non lascia speranza alla vicenda dei protagonisti, allora interviene lo spirito ,le anime che non muoiono mai, che a volte risorgono ed è il caso del cacciatore Hugh che ha una doppia anima , l'una di cacciatore Yankee e quindi dominatore e sterminatore della natura ma l'altra è di uomo selvaggio, vicino al al respiro del vento e alla vita degli alberi ,delle foglie, delle acque della neve degli stessi animali che caccia e uccide, , dunque un uomo vicino alla cultura degli uomini selvaggi nativi di quei territori di conquista americani, quegli iindiani pellerossa che l'uomo bianco ha voluto a loro volta combattere per cacciarli via e addirittura sterminare. Con questo film Inarritu ha quasi voluto sostenere la causa dei pellerossa indiani, che gli Yankee americani ,insieme ai conquistatori inglesi e francesi non hanno mai voluto affrontare, anzi relegando alla storia d'America tutto il giudizio negativo di quella conquista. Ora la doppia anima , Yankee e selvaggia di Hugh si esprime nell'amore per il figlio e per la moglie pellerossa morti uccisi per la violenza dell'uomo bianco, ma anche per il contraddittorio senso di appartenenza alla civiltà americana che lo porterà comunque a sopravvivere anche alla morte di quel sè Yankee che verrà ucciso proprio dai suoi sodali e amici. Dunque un bell'intreccio di vicende tra azione violenta e ingiusta verso gli uomini e al contempo una fusione con la natura e l'anima naturale e selvaggia dell'uomo . In questo film , Di Caprio e anche il suo antagonista mostrano tutti una bella prova di attori di eccellenza, anche se il vero protagonista è il paesaggio, di montagne,di foresta di fiumi e cascate dove solo lo spirito dell'uomo giusto può soppravvivere.
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themaster
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domenica 7 febbraio 2016
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capolavoro o film mediocremente costruito?
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Se ne sono dette tantissime su questo film,tra fanatici che lo esaltano e haters inutili quanto se non più dei faggots che lo distruggono inventandosi le peggio idiozie e nessuno che vede ciò che il film è veramente,ovvero un buonissimo esempio di settima arte che,pur non essendo un capolavoro offre un'intrattenimento completo e di spessore e che,nonostante numerose cadute di tono in sceneggiatura riesce a emozionare e,nel caso di chi apprezza che la macchina da presa si faccia notare,esalta.
Il film come detto non è un capolavoro,è un'ottimo film che non va sottovalutato. Inarritu innanzitutto gira numerosi piani sequenza che calano lo spettatore nell'azione e lo rende partecipe di ciò che sta succedendo,complice anche la fotografia di Lubezky(si scrive così?) che sfrutta le luci naturali in maniera perfetta.
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Se ne sono dette tantissime su questo film,tra fanatici che lo esaltano e haters inutili quanto se non più dei faggots che lo distruggono inventandosi le peggio idiozie e nessuno che vede ciò che il film è veramente,ovvero un buonissimo esempio di settima arte che,pur non essendo un capolavoro offre un'intrattenimento completo e di spessore e che,nonostante numerose cadute di tono in sceneggiatura riesce a emozionare e,nel caso di chi apprezza che la macchina da presa si faccia notare,esalta.
Il film come detto non è un capolavoro,è un'ottimo film che non va sottovalutato. Inarritu innanzitutto gira numerosi piani sequenza che calano lo spettatore nell'azione e lo rende partecipe di ciò che sta succedendo,complice anche la fotografia di Lubezky(si scrive così?) che sfrutta le luci naturali in maniera perfetta.
In Revenant Leonardo DiCaprio offre un ruolo fisico,in cui la sua prestanza fisica e la sua espressività facciale prendono il sopravvento sul verbo e sulla parlantina se pur ottima del talentuoso attore,magnifico anche Tom Hardy che interpreta un personaggio,Fitzgerald,totalmente stupido e che ha la peculiarità di avere mezzo cranio scalpato ed incarna il cattivo del film,respondabile della perdita che spingerà Glass(Leonardo DiCaprio) ad acquisire delle forze straordinarie dategli dalla collera e dalla sete di vendetta,tuttavia il film non risulta mai un semplice revenge movie di sopravvivenza in quanto assume una valenza simbolica e,come era stato per Mad Max Fury Road,fa della forma,della regia e delle inquadrature ricercate la sua sostanza,molti si sono lamentati del fatto che i personaggi parlano poco,tuttavia è una critica stupida in quanto il cinema nasce come arte visiva e,la sceneggiatura,conta relativamente,soprattutto nel cinema di Inarritu,che si fonda sull'immagine e sulla comunicazione visiva. Le luci naturali non servono per offrire realismo,ma per rendere la natura patecipe all'economia del film tanto quanto Glass,se non ancora più protagonista dello stesso essere umano,per tutto il film si sente una sensazione di inadeguatezza,dovuta alla totale empatia che lo spettatore sviluppa con Glass e con le sue disavventure.
Va detto che il film non lesina in violenza,soprattutto durante la celeberrima sequenza contro l'orso in cui c'è una delle principali cadute di tono in sceneggiatura,perchè attaccare la bestia? Perchè non fingersi morto e basta? Non si sa e questo è un difetto oggettivo,la trama subisce numerose digressioni e i dialoghi,sono quasi sempre ispirati e ispiranti nei confronti di chi guarda.
Sottigliezze a parte,l'accanimento nei confronti di questo film è più che ingiustificato,in quanto Revenant fa del suo contenuto e della sua sostanza la regia e la capacità di comunicare con un'immagine,un'inquadratura o su un piano stretto sugli occhi di uno dei personaggi,l'assenza di dialoghi è giustificata in quanto se devi mettere ventimila dialoghi e fargli dire cazzate,tanto vale non metterceli,il lato tecnico è ottimo e gli effetti speciali sono di ottima fattura.
Revenant riflette su quanto un'uomo possa essere portato al limite e su quanto la sete di vendetta e la rabbia possa donare forze oltre ogni immaginazione,chi dice che è brutto non capisce una sega e chi dice che è un capolavoro idem,è un bel film che,come già detto veicola i messaggi tramite uno stile visivo e registico impeccabile,impreziosito da immagini di bellezza e potenza rara. Voto 8,5/10
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redrose
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giovedì 31 marzo 2016
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redivivi.. dal cinema
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Se questa volta Di Caprio non avesse preso l'Oscar, credo che l’avremmo ritrovato a vendere hot dog sulla spiaggia. Dopo tutta questa faticaccia al “trucco e parrucco”, al freddo e al gelo, e anche al buio (le riprese sono state girate solo con luce naturale), credo che un riconoscimento fosse doveroso a questo punto della sua carriera. Film lento, lungo, tre parole in tutto. E non si capisce bene in che genere siamo incappati: un western, un biopic, o forse una nuova saga di un supereroe nel selvaggio west (che poi west non è ma ci sono gli indiani). Ritroviamo anche il sexy Tom Hardy irriconoscibile in versione cacciatore, con una interpretazione forse più convincente ed empatica del sofferente (highlander) Leo.
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Se questa volta Di Caprio non avesse preso l'Oscar, credo che l’avremmo ritrovato a vendere hot dog sulla spiaggia. Dopo tutta questa faticaccia al “trucco e parrucco”, al freddo e al gelo, e anche al buio (le riprese sono state girate solo con luce naturale), credo che un riconoscimento fosse doveroso a questo punto della sua carriera. Film lento, lungo, tre parole in tutto. E non si capisce bene in che genere siamo incappati: un western, un biopic, o forse una nuova saga di un supereroe nel selvaggio west (che poi west non è ma ci sono gli indiani). Ritroviamo anche il sexy Tom Hardy irriconoscibile in versione cacciatore, con una interpretazione forse più convincente ed empatica del sofferente (highlander) Leo. La natura è la vera protagonista, la fotografia di Emmanuel Lubezki “spacca”, nel senso che esce dallo schermo e ti fa sentire freddo, paura, angoscia. La scena dell’aggressione dell’Orso è fatta benissimo. Inarritu è un esteta, ha una regia che rasenta la perfezione maniacale, ma il tutto risulta comunque un po’ asettico. Premiati tutti meno che il film (migliore attore, regia, fotografia). Mi sembra giusto. Da vedere non più tardi delle 20 mi raccomando.
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