roberto
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venerdì 8 aprile 2016
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revenant
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Regia: Alejandro González Iñárritu
Cast: Leonardo DiCaprio, Tom Hardy, Domhnall Gleeson, Will Poulter
Durata:156 min
Genere: Drammatico
Hugh Glass è un cacciatore che, insieme ai suoi uomini, è in cerca di pelli da trasportare dal North Dakota strappandola così dalla proprietà degli indiani. Tutto procede nel verso giusto, fino a quando Glass, durate una sessione di caccia, viene attaccato da un orso e ferito gravemente. I compagni provano ad aiutarlo fino a quando decidono di procedere da soli lasciandolo in compagnia del figlio Hawk, dell'amico Jim Bridger e di John Fitzgerald e la sua fissazione per i soldi. Quest'ultimo sotto attacco di follia uccide il Hawk proprio sotto gli occhi di un paralizzato Glass.
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Regia: Alejandro González Iñárritu
Cast: Leonardo DiCaprio, Tom Hardy, Domhnall Gleeson, Will Poulter
Durata:156 min
Genere: Drammatico
Hugh Glass è un cacciatore che, insieme ai suoi uomini, è in cerca di pelli da trasportare dal North Dakota strappandola così dalla proprietà degli indiani. Tutto procede nel verso giusto, fino a quando Glass, durate una sessione di caccia, viene attaccato da un orso e ferito gravemente. I compagni provano ad aiutarlo fino a quando decidono di procedere da soli lasciandolo in compagnia del figlio Hawk, dell'amico Jim Bridger e di John Fitzgerald e la sua fissazione per i soldi. Quest'ultimo sotto attacco di follia uccide il Hawk proprio sotto gli occhi di un paralizzato Glass. Da qui comincia la voglia di vendetta e la caccia estenuante verso Fitzgerald.
Il film è uno spettacolo per gli occhi e per le orecchie vista la regia impeccabile e la fotografia spettacolare giustamente premiate con l'Oscar.
Le interpretazioni non sono da meno, tra queste spicca quella del protagonista, interpretato da Leonardo DiCaprio anch'esso finalmente premiao con l'Oscar.
In questo drammatico viaggio Iñárritu racconta l'essenziale, mostrando allo spettatore un capolavoro di tecnica ed una giusta trama.
Voto:3,8/5
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pedro
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venerdì 29 dicembre 2017
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imperdibile
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Va detto subito che si tratta di un film della categoria superiore. Si possono dare 4 o 5 stelle, è solo la mia opinione ovviamente, a film che, nel loro genere, sono di buona qualità. Ma non solo le 4 o 5 stelle di film come questo che entrano, sempre a mio modestissimo parere, nei grandi film.
Innanzitutto la migliore interpretazione di sempre di DiCaprio (e pensare che alcuni considerano da Oscar sua modesta interpretazione in “diamanti di sangue”), ma eccellente anche Hardy ed altri, come Poulter.
Regia (Iñarritu) e Fotografia (Lubezki, senza uso di luce artificiale) impeccabili. Ecco svelato anche perchè il cinema messicano persiste nei suoi mediocrissimi livelli.
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Va detto subito che si tratta di un film della categoria superiore. Si possono dare 4 o 5 stelle, è solo la mia opinione ovviamente, a film che, nel loro genere, sono di buona qualità. Ma non solo le 4 o 5 stelle di film come questo che entrano, sempre a mio modestissimo parere, nei grandi film.
Innanzitutto la migliore interpretazione di sempre di DiCaprio (e pensare che alcuni considerano da Oscar sua modesta interpretazione in “diamanti di sangue”), ma eccellente anche Hardy ed altri, come Poulter.
Regia (Iñarritu) e Fotografia (Lubezki, senza uso di luce artificiale) impeccabili. Ecco svelato anche perchè il cinema messicano persiste nei suoi mediocrissimi livelli. I suoi talenti vanno ad Hollywood.
L’uso dei lunghi piani sequenza e dei grandangolari fatta nel migiore dei modi. Certo ricorda Kubrik del quale esiste secondo me anche una citazione: il primo piano di DiCaprio durante l’uccisione del figlio ricorda quello del marito durante la violenza alla moglie in Arancia Meccanica.
Musica non invasiva. Adeguata. Molti suoni della natura. Ed è qui che si capisce l’importanza di girare in esterni, nei luoghi, col clima reale. Difficile per tutti (si dice che DiCaprio si ammalò durante le riprese) ma l’utente, lo spettatore, saprà che dietro a loro non c’è un lenzuolo verde, ghiaccio di gelatina e neve di polistirolo.
Come sempre c’è qualche dattaglio che si poteva migliorare o risparmiare (per esempio la solita furibonda lotta finale) o poco comprensibile nel racconto (perchè escono solo in due per catturare Fitzgerald?), ma ciò toglie poco al film.
Riassumendo: un film imperdibile, il migliore di DiCaprio e Iñarritu.
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vincenzo ambriola
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sabato 16 gennaio 2016
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artigli senz'anima
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Hugh Glass, esperto trapper e cacciatore di pellicce viene aggredito da un grizzly. Abbandonato dai compagni di avventura sopravvive alle ferite e al clima invernale del Missouri, con l'unico scopo di vendicare l'assassinio di suo figlio. Film eccezionale per l'ambientazione e per la ricostruzione delle condizioni di vita dei primi anni del diciannovesimo secolo nelle parti ancora inesplorate dell'America del Nord. Fotografia stupenda, soprattutto per l'uso della luce naturale nelle riprese esterne. Attori all'altezza della situazione, con Di Caprio sempre convincente nel ruolo di Glass, anche se per molto tempo senza l'uso della parola. Tanti punti positivi ma ... il risultato non convince appieno, per la linearità della trama, per l'incredibile resistenza fisica di Glass (mamma orsa non scherza con gli artigli, quando deve difendere i suoi piccoli orsacchiotti), per la semplicità dei dialoghi.
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Hugh Glass, esperto trapper e cacciatore di pellicce viene aggredito da un grizzly. Abbandonato dai compagni di avventura sopravvive alle ferite e al clima invernale del Missouri, con l'unico scopo di vendicare l'assassinio di suo figlio. Film eccezionale per l'ambientazione e per la ricostruzione delle condizioni di vita dei primi anni del diciannovesimo secolo nelle parti ancora inesplorate dell'America del Nord. Fotografia stupenda, soprattutto per l'uso della luce naturale nelle riprese esterne. Attori all'altezza della situazione, con Di Caprio sempre convincente nel ruolo di Glass, anche se per molto tempo senza l'uso della parola. Tanti punti positivi ma ... il risultato non convince appieno, per la linearità della trama, per l'incredibile resistenza fisica di Glass (mamma orsa non scherza con gli artigli, quando deve difendere i suoi piccoli orsacchiotti), per la semplicità dei dialoghi. Non convince perché Iñàrritu non dà anima alla storia, perdendosi negli stupendi paesaggi innevati, evocando lo spirito di una pawnee brutalmente assassinata che incita Glass a non cedere, a credere in se stesso e cercare la vendetta. Un ottimo film, senz'altro, ma non all'altezza dell'indimenticabile Birdman.
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compos sui
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lunedì 18 gennaio 2016
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la vendetta è nelle mani di dio
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Revenant è l'urlo disperato, il grido soffocato dell'estremo realismo carnale di Iñárritu. Carnalità anche, che nell'immedesimazione catartica del protagonista, eleva l'esperienza fisica e spirituale del dolore a dramma esistenziale in cui, e cito: “Siamo tutti selvaggi”. Il compiuto quadro iperrealista sul tema della vendetta agente nel contesto del rapporto padre-figlio diventa così spunto autoriale che riveste, nell'economia generale dell'opera, un singolo aspetto connotativo di un discorso ben più ampio: il Male degli uomini. L'irreparabile caducità dell'essere umano che nella visione dell'autore produce gemiti di tradimento, di sotterfugio, d'ingiuria, di meschinità, di omicidio, è destinata a prevalere su ogni altro aspetto della vita.
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Revenant è l'urlo disperato, il grido soffocato dell'estremo realismo carnale di Iñárritu. Carnalità anche, che nell'immedesimazione catartica del protagonista, eleva l'esperienza fisica e spirituale del dolore a dramma esistenziale in cui, e cito: “Siamo tutti selvaggi”. Il compiuto quadro iperrealista sul tema della vendetta agente nel contesto del rapporto padre-figlio diventa così spunto autoriale che riveste, nell'economia generale dell'opera, un singolo aspetto connotativo di un discorso ben più ampio: il Male degli uomini. L'irreparabile caducità dell'essere umano che nella visione dell'autore produce gemiti di tradimento, di sotterfugio, d'ingiuria, di meschinità, di omicidio, è destinata a prevalere su ogni altro aspetto della vita. La vita è sofferenza, solo una filosofia individualista può riparare in parte a questo spregio che la natura ci ha fatto. E' in questo ruolo, che vediamo Tom Hardy interpretare il perfetto cattivo machiavellico, che più di ogni altro sa come districarsi tra i mali della vita. Sarà l'inaspettato compagno di viaggio che Hugh incontrerà a instillare in questo pessimismo cosmico un faro di speranza per l'umanità, e nello stesso protagonista, un'opportunità di redenzione, pronunciando il motto risolutore dell'impasse esistenziale: << La vendetta è nelle mani di Dio >>. Sarà con tali parole che l'odissea di Di Caprio giunge al termine, al suo unico termine possibile per una visione totalizzante della vita che non sia solo paura e morte. E' in questo frangente, che con sapiente coscienza, Iñárritu rompe la quarta parete facendo fissare in camera lo sguardo perso e ormai realizzato di Hugh. Hugh sta guardando verso lo spettatore, non lui ma dentro di lui. La vera natura di sé passa attraverso il compimento delle proprie azioni in situazioni estreme, è questo che l'Ulisse iñárritiano si sta chiedendo: cosa avreste fatto al mio posto, chi siete?
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catcarlo
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mercoledì 27 gennaio 2016
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the revenant
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Una persona sola intrappolata in una situazione all’apparenza senza scampo dalla quale può uscire solo facendo affidamento sulle proprie forze, un aiuto che giunge insperato, un sentimento forte che aiuta a superare le asperità: dopo il raffinato gioco psicologico e teatrale di ‘Birdman’, Iñárritu affronta i grandi spazi in un epico filmone di oltre due ore e mezza intrecciando alcuni temi classici del western (la fellonia e la conseguente rivalsa) assieme al racconto di sopravvivenza. Alla base della storia sta l’avventura di Hugh Glass, lasciato per morto sull’alto corso del Missouri in seguito all’assalto di un orso – molto bella la costruzione dell’intera scena con il bestione che sbatacchia il buon Leo qua e là - ma capace di cavarsela malgrado le ferite e il gelo invernale: il regista e il co-sceneggiatore Mark L.
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Una persona sola intrappolata in una situazione all’apparenza senza scampo dalla quale può uscire solo facendo affidamento sulle proprie forze, un aiuto che giunge insperato, un sentimento forte che aiuta a superare le asperità: dopo il raffinato gioco psicologico e teatrale di ‘Birdman’, Iñárritu affronta i grandi spazi in un epico filmone di oltre due ore e mezza intrecciando alcuni temi classici del western (la fellonia e la conseguente rivalsa) assieme al racconto di sopravvivenza. Alla base della storia sta l’avventura di Hugh Glass, lasciato per morto sull’alto corso del Missouri in seguito all’assalto di un orso – molto bella la costruzione dell’intera scena con il bestione che sbatacchia il buon Leo qua e là - ma capace di cavarsela malgrado le ferite e il gelo invernale: il regista e il co-sceneggiatore Mark L. Smith ci hanno aggiunto un figlio mezzosangue (Forrest Goodluck) ucciso dal cattivo di turno Fitzgerald per alimentarne il desiderio di vendetta in un universo popolato di uomini brutti, sporchi – chi volete che si lavasse con delle temperature del genere? - e cattivi. E’ lampante il contrasto tra una natura bellissima e incontaminata (location in Canada e in Argentina visto che, a furia di tirarla per le lunghe, è arrivato il disgelo) e gli esseri umani, minuscoli al confronto, che si dibattono guidati dall’avidità: per i bianchi ogni comportamento è ammesso allo scopo di mettere le mani sui guadagni assicurati dal mercato delle pellicce e i francesi sono quelli che ci fanno la figura peggiore. Il più distaccato di tutti, anche perché segnato dalla vita negli affetti più intimi, è quello che è costretto ad affrontare l’esperienza più severa: in prolungate sequenze in cui al più viene pronunciato qualche grugnito, Glass prima si trascina, poi barcolla infine percorre la via del ritorno sostentandosi con il poco che si trova nell’ambiente ostile, dalle radici al fegato crudo di un bisonte. Quando alla fine ritrova Fitzgerald, lo scontro si risolve in una lotta bestiale che richiama quella avuta con il plantigrado dato che l’umanità è in entrambi quasi cancellata tanto che la conclusione è tutto meno che liberatoria. Nei suoi panni, DiCaprio riprova per l’ennesima volta la scalata all’Oscar sottoponendosi a una serie di prove estreme (incluso, pur essendo vegetariano, mangiare il sullodato organo interno) e riuscendo a rendere con l’espressione, giacchè le parole sono ridotte al minimo, le sofferenze fisiche e mentali di un personaggio che però, per colpa della scrittura e non sua, non può essere definito a fuoco: l’interpretazione è così un’ulteriore conferma delle capacità dell’ attore ma, nel complesso, si fatica a capire per quale motivo dovrebbe arrivare dove non sono giunte quelle più rimarchevoli del recente passato. Al suo fianco, è davvero notevole il lavoro di Tom Hardy nele ritrarre un Fitzgerald ben più sfaccettato, pieno com’è di doppiezze e piccole vigliaccherie, mentre non sono certo da dimenticare l’ennesimo ruolo convincente di Domnhall Gleeson come capitano della sfortunata spedizione e Will Poulter che incarna la difficoltà di scegliere del giovane Bridger. Tutti, pare, messi a dura prova dalla complessa lavorazione, prolungata dalla decisione del regista di girare con la luce naturale: le poche ore a disposizione sono state sfruttate in modo mirabile da Emanuel Lubeszki che riesce a trasportare lo spettatore in un mondo lontano nello spazio e nel tempo (si sfiorano i due secoli, ormai). Sulla base di tali immagini, Iñárritu costruisce un film con meno alzate d’ingegno rispetto al precedente, sebbene non rinunciando a una componente onirica che a volte risulta un po’ forzata: per il resto, a parte un pugno di piani sequenza verticali, la narrazione si mantiene entro canoni più tradizionali, eppure – anche grazie all’incastro delle vicende dei vari personaggi – non ci sono momenti di stanca che appesantiscano il passo calibratamente cadenzato. Il risultato è un’opera molto legata agli schemi holliwoodiani seppur ravvivata da numerose pennellate d’autore: non all’altezza di ‘Birdman’, ma comunque un’avventura appassionante raccontata in modo mai banale.
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tmpsvita
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mercoledì 27 gennaio 2016
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la gelida vendetta di un padre
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The Revenant è uno di quei pochi film difficili da commentare perché non esistono parole che possano esprimere cosa ho realmente provato guardandolo, la parola che più si avvicina è dolore, sia fisico che psicologico è un film che ti fa provare tutto in prima persona questo grazie alla magnifica regia di Inarritu: con inquadrature mozzafiato e movimenti di macchina memorabili che regalano scene d'azione indimenticabili e incredibilmente realistiche. Inarritu rende questo film incredibilmente immersivo, crudo e realistico.
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The Revenant è uno di quei pochi film difficili da commentare perché non esistono parole che possano esprimere cosa ho realmente provato guardandolo, la parola che più si avvicina è dolore, sia fisico che psicologico è un film che ti fa provare tutto in prima persona questo grazie alla magnifica regia di Inarritu: con inquadrature mozzafiato e movimenti di macchina memorabili che regalano scene d'azione indimenticabili e incredibilmente realistiche. Inarritu rende questo film incredibilmente immersivo, crudo e realistico. È un film da vedere con la mente vuota senza pensieri perché sono due e mezza di colpi allo stomaco, ogni sfida, dolore o sofferenza lo spettatore la prova come se lui stesso fosse all'interno della pellicola. DiCaprio in ogni film che fa è perfetto ma qui lui supera la perfezione e supera qualsiasi barriera la recitazione possa porre, qui supera la bidimensionalità e la tridimensionalità, qui con i suoi sguardi, con le sue espressioni e con i suoi sospiri arriva a toccare direttamente lo spettatore portandolo all'interno della storia con se. Dal punto di vista tecnico il film è impeccabile, come già detto in precedenza la regia è incredibile ma anche la fotografia è impressionante visto e considerato che si tratta sempre di luce naturale è sbalorditivo. La colonna sonora quasi minimalista con pochi suoni ripetuti durante la durata del film l'ho trovata in perfetta linea con lo stile della pellicola. È un film che consiglio vivamente ma con qualche avvertenza perché comunque non è un film per tutti: è molto lungo, lento e in alcune parti anche pesante ed è un film che ti logora. Voto 9+/10.
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alnick
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venerdì 29 gennaio 2016
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l'epopea di inarritu
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Nei primi anni dell'800, un gruppo di cacciatori, attaccati dagli indiani, è costretto ad abbandonare le pelli raccolte per attraversare territori desolati e pericolosi, guidato dall'esperto trapper Glass. Quando Glass ha uno scontro con un grizzly e rimane in fin di vita, i compagni incaricati di accudirlo fino all'inevitabile sepoltura lo abbandonano. Spinto dall'odio e dal desiderio di vendetta, il cacciatore inizierà un'incredibile avventura fino all'inevitabile rendez-vous finale. Tratto da una storia vera, il film di Inarritu ha un'impressionante potenza visiva e una mistica panteistica: la natura diventa protagonista come e più degli attori stessi.
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Nei primi anni dell'800, un gruppo di cacciatori, attaccati dagli indiani, è costretto ad abbandonare le pelli raccolte per attraversare territori desolati e pericolosi, guidato dall'esperto trapper Glass. Quando Glass ha uno scontro con un grizzly e rimane in fin di vita, i compagni incaricati di accudirlo fino all'inevitabile sepoltura lo abbandonano. Spinto dall'odio e dal desiderio di vendetta, il cacciatore inizierà un'incredibile avventura fino all'inevitabile rendez-vous finale. Tratto da una storia vera, il film di Inarritu ha un'impressionante potenza visiva e una mistica panteistica: la natura diventa protagonista come e più degli attori stessi. E se la violenza degli uomini è sbagliata, giudicata e mostrata nelle sue forme peggiori, quella della natura sembra quasi giustificata. I combattimenti tra esseri umani sono sleali e disarmonici (in particolare la sfida finale), la lotta tra Glass e l'orso, invece, pur nella sua violenza estrema, è quasi una danza rispettosa. "Revenant" è un'opera che, a dispetto della sua maestosità, diventa quasi intimista. Fotografata meravigliosamente, con una buona colonna sonora e ottime prove di attori (Hardy, a mio giudizio, una spanna sopra tutti). Uniche pecche: una lunghezza forse eccessiva, dovuta ad alcune ripetizioni e passaggi a vuoto eliminabili, e una sceneggiatura non proprio convincente. Una nota: nel 1971, dalla stessa vicenda era stato tratto l'ottimo "Uomo bianco và col tuo dio" con uno strepitoso Richard Harris. Ultima nota: Di Caprio probabilmente vincerà l'Oscar, e francamente era da un po' che lo meritava, ma non offre qui la sua miglior interpretazione. E con questo, mi gioco i favori di tutti i fan...
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il monco
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domenica 31 gennaio 2016
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tous les hommes son sauvages
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Mi trovo sempre molto in disaccordo con le recensioni di Marianna Cappi che questa volta non è in grado di scrivere nemmeno correttamente il nome del regista. Ma questo penso sia un problema mio.
Parliamo del film. Ho letto molte recensioni che tacciano il film di blockbusterismo, passatemi il termine, e non posso che essere più in disaccordo.
Partiamo da un punto fermo: la regia di Iñárritu e la fotografia di Lubienski sono ineccepibili e portano il film a livelli altissimi. E qui penso possiamo essere tutti d'accordo, perfino la Cappi.
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Mi trovo sempre molto in disaccordo con le recensioni di Marianna Cappi che questa volta non è in grado di scrivere nemmeno correttamente il nome del regista. Ma questo penso sia un problema mio.
Parliamo del film. Ho letto molte recensioni che tacciano il film di blockbusterismo, passatemi il termine, e non posso che essere più in disaccordo.
Partiamo da un punto fermo: la regia di Iñárritu e la fotografia di Lubienski sono ineccepibili e portano il film a livelli altissimi. E qui penso possiamo essere tutti d'accordo, perfino la Cappi.
La sceneggiatura allora è il punto debole? Potremmo dire di sì. Sicuramente non è la parte più innovativa, ma ciò non priva il film della sua liricità, di una profondità - forse non riesce ad arrivare a tutti - che sublima l'intreccio narrativo, che preso da solo è un inutile distillato.
"Tous les hommes son sauvages", tutti gli uomini sono selvaggi, che sembra quasi parodiare in qualche modo il sillogismo socratico "Tutti gli uomini sono mortali[...]", è uno dei messaggi chiave del film.
È il rumore di fondo della pellicola, è la legge naturale dei mercanti di pelli e degli Arikara della Louisiana del Nord. È la perdita dell'umanità che condanna Fitzgerald e Toussaint, uomini avidi e senza scrupoli.
Per Fitzgerald, Dio è uno scottaiaolo, un "figlio di puttana" a cui sparare per aver salva la pelle. Ogni principio, ogni moralità è sacrificabile sull'altare della cupidigia, della più bieca sopravvivenza, di un pezzo di terra texana al sicuro dagli indiani che ti fanno lo scalpo e da ogni rimorso di coscienza.
È questo il contrasto fondamentale su cui ruota tutto il film. È la lotta fra l'uomo e l'orso. Glass e Bridger si salvano perché riescono a preservare quell'umanità, quei principi, quei sentimenti che che la gelida Louisiana del Nord cerca in tutti in modi di sopprimere. È il vento che scuote i rami, ma non riesce a muovere il tronco. Quel vento che non può nulla contro radici profonde.
Le radici profonde dell'altruismo del protagonista che salva Powaqa dalle lussuriose grinfie dei francesi, la coscienza del giovane volontario che evita la "sepoltura prematura" del compagno consentono ai due di respirare oltre l'ultimo fotogramma del film.
Nel panteismo molto malickiano di Iñárritu, la natura è una forza soggiogatrice, alla quale si sopravvive "facendo i morti con l'orso", nascondendosi nei suoi numerosi ventri, dove la vendetta è nelle mani di Dio e giace nei ruscelli gelati della Louisiana del Nord.
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[+] marianna cappi non sa scrivere il nome del regista
(di danko188)
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enzo70
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sabato 6 febbraio 2016
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la forza della vendetta
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Glass è uno scout di una compagnia di cacciatori di pelli; la moglie pawnee è stata uccisa in un attacco dell’esercito americano e gli è rimasto il figlio da accudire. Ferito gravemente da un’orsa viene tradito da un collega che gli uccide anche il figlio. Il lungo silenzio che segue è il preludio ad una necessaria vendetta.
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Glass è uno scout di una compagnia di cacciatori di pelli; la moglie pawnee è stata uccisa in un attacco dell’esercito americano e gli è rimasto il figlio da accudire. Ferito gravemente da un’orsa viene tradito da un collega che gli uccide anche il figlio. Il lungo silenzio che segue è il preludio ad una necessaria vendetta. Il lungo viaggio di Di Caprio condotto da Inarritu è una sorta di odissea nel dolore psicologico più che fisico. Le ferito ed il freddo fanno meno male dell’impiccagione da parte di mercanti di pelle francesi del pawnee che gli ha salvato la vita, impiccato ad un albero senza ragioni. E la carezza alla carcassa del cavallo che gli ha offerto caldo per una notte è una scena di grande impatto emotivo. Inarittu si cimenta così in un mondo per lui nuovo, un western per molto profili classico, ci sono gli indiani cattivi e quelli buoni, i mercanti buoni e quelli cattivi. In mezzo, anzi sopra, Di Caprio in un film che lo vede indiscusso, ottimo, protagonista. La qualità del film è indiscussa, non so se finalmente Di Caprio potrà ottenere la famosa statuina, ottima interpretazione, ma forse da un regista innovativo come Innaritu mi aspettavo di più con un progetto così ambizioso e con un attore come Leonardo. Ecco la differenza tra Birdman e The revenant è che mentre il primo è, semplicemente, geniale, il secondo è un gran bel film, ma non esci dalla sala confuso e felice come per il film dell’attore che era un super eroe. Ottima, chiaramente, la fotografia, anche se la bellezza dei luoghi fa la sua parte. Insomma un film da vedere assolutamente, ed al cinema, ma senza eccessive aspettative; altrimenti si rischia la delusione: il rischio della grandezza.
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raysugark
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sabato 6 febbraio 2016
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the revenant
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Le pellicole sulla sopravvivenza hanno sempre affascinato il pubblico, per il quale vengono mostrate come uno o più protagonisti sono riusciti a sopravvivere nel cuore della profonda natura. Mostrando scene cruenti come la mutilazione degli animali, oppure di dover amputare arti inferiori o superiori da certe infezioni non curabili. Seguendo la pellicola rilascia sempre di più tantissime domande, per attendere con tanta ansia se uno o più personaggi riusciranno a sopravvivere. Arrivando al finale che lascia una profonda riflessione al pubblico, per comprendere su come è fatta la natura. Allo stesso modo anche le pellicole sulla vendetta affascinano tanto, facendosi riconoscere un stile unico, filosofico, grottesco e infine sanguinario.
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Le pellicole sulla sopravvivenza hanno sempre affascinato il pubblico, per il quale vengono mostrate come uno o più protagonisti sono riusciti a sopravvivere nel cuore della profonda natura. Mostrando scene cruenti come la mutilazione degli animali, oppure di dover amputare arti inferiori o superiori da certe infezioni non curabili. Seguendo la pellicola rilascia sempre di più tantissime domande, per attendere con tanta ansia se uno o più personaggi riusciranno a sopravvivere. Arrivando al finale che lascia una profonda riflessione al pubblico, per comprendere su come è fatta la natura. Allo stesso modo anche le pellicole sulla vendetta affascinano tanto, facendosi riconoscere un stile unico, filosofico, grottesco e infine sanguinario. The Revenant ispirato alla storia vera di Hugh Glass, colui che è stato attaccato da un orso e poi abbandonato dai suoi compagni della spedizione credendo che non c'è l'avrebbe fatta. Invece riesce a sopravvivere e striscia con tutte le sue forze per 320 chilometri, fino a Fort Kiowa nel South Dakota. The Revenant di Alejandro González Iñárritu con protagonista Leonardo DiCaprio, riesce a miscelare sia il genere della sopravvivenza che della vendetta, con un stile fortemente influenzato dal maestro Terrence Malick, visivo e poetico accompagnato dalla bellezza della natura. Leonardo DiCaprio regala una performance diversa rispetto alle altre pellicole precedenti, ovvero di esprimere le sue emozione di rabbia, disperazione e sofferenza attraverso il linguaggio del corpo e dello sguardo, usando pochissime parole. Dato che la pellicola è stata realmente girata fuori nella natura, con un clima estremamente gelido. Gli attori si sono messi alla prova, come gli stessi personaggi realmente esisti, cercando di mostrare al pubblico come i personaggi di quel periodo vivevano nel profondo gelo. La sequenza dell'attacco del orso femmina, che cercava di proteggere i suoi cuccioli da Hugh Glass, si presenta particolarmente forte ma accurata a come la natura è aggressiva contro a chiunque cerchi di intromettersi nel suo territorio. The Revenant poteva essere ancora più grandiosa, se potevano aggiungere 30 minuti in più per cercare di aggiungere un po' di accuratezza alla storia sugli indiani e sul commercio delle pelli. Comunque The Revenant di Alejandro González Iñárritu si presenta un'ottima pellicola poetica e filosofica sulla sopravvivenza e sulla vendetta, più che una pellicola storica.
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