writer58
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martedì 26 gennaio 2016
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into the wild...
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Gli aggettivi che mi vengono in mente dopo la visione di “The revenant” sono: maestoso, epico, selvaggio, prometeico.
Il film di Iñárritu rimanda, come in un gioco di specchi, ad opere come “Into the wild”,”The new world”,”Grizzly man”, “Aguirre, furore di Dio”, sviluppando un percorso artistico originale a partire dalla spettacolarizzazione di una storia vera, ambientata nel grande nord americano all’inizio delllo stesso diciannovesimo secolo. The revenant recupera temi propri della frontiera americana (quando la frontiera era in realtà un gigantesco territorio inesplorato che iniziava a ridosso degli stati della costa atlantica, abitato da una pluralità di popolazioni indigene): le spedizioni di caccia, i combattimenti con tribù di indiani ostili, i vincoli famigliari e il tradimento, lo spirito di sopravvivenza e la vendetta e ne propone una scrittura tersa ed essenziale, in cui gli individui diventano minuscoli a fronte di una natura primordiale, implacabile e ferocemente bella.
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Gli aggettivi che mi vengono in mente dopo la visione di “The revenant” sono: maestoso, epico, selvaggio, prometeico.
Il film di Iñárritu rimanda, come in un gioco di specchi, ad opere come “Into the wild”,”The new world”,”Grizzly man”, “Aguirre, furore di Dio”, sviluppando un percorso artistico originale a partire dalla spettacolarizzazione di una storia vera, ambientata nel grande nord americano all’inizio delllo stesso diciannovesimo secolo. The revenant recupera temi propri della frontiera americana (quando la frontiera era in realtà un gigantesco territorio inesplorato che iniziava a ridosso degli stati della costa atlantica, abitato da una pluralità di popolazioni indigene): le spedizioni di caccia, i combattimenti con tribù di indiani ostili, i vincoli famigliari e il tradimento, lo spirito di sopravvivenza e la vendetta e ne propone una scrittura tersa ed essenziale, in cui gli individui diventano minuscoli a fronte di una natura primordiale, implacabile e ferocemente bella.
In questo contesto “The revenant” sviluppa la sua narrazione. Hugh Glass (interpretato da un formidabile Di Caprio) guida un gruppo di trapper, comandati dal capitano Henry, lungo il corso del Missouri. La missione del gruppo è la raccolta di pelli, ma la spedizione viene attaccata dagli indiani Arikara che decimano il gruppo. Lungo la strada del ritorno –passando per le montagne, poiché gli indiani controllano il corso del fiume- Glass viene attaccato da un’orsa che lo riduce in fin di vita. Il capitano decide di lasciare tre persone -tra cui il figlio- con Glass per dargli “onorevole sepoltura”, ma Il trapper non muore e viene abbandonato in mezzo a un territorio impervio, senza armi e senza cibo, mentre il figlio che cerca di proteggerlo viene assassinato a coltellate.
La situazione appare disperata, ma l’istinto di sopravvivenza e il desiderio di vendetta produrranno effetti sorprendenti…
E’ stato scritto che il film è asciutto ed essenziale: la neve, il fuoco, il gelo, il sangue, i boschi sconfinati, il fiume e le sue rapide, i branchi di bisonti, disegnano una coreografia solenne e maestosa. Non c’è bisogno di discorsi, le parole si perdono in quegli spazi immensi. Ma il film è essenziale anche nella descrizione dei legami e dei sentimenti: L’amore paterno, il senso del dovere, il tradimento, la ferocia dei vincitori, la solidarietà umana sono rappresentati in modo sobrio e senza enfasi, senza “effetti speciali”, al pari della magnifica fotografia che ha usato solo la luce naturale.
Questa ricerca di fondamenta, di radici, rende la pellicola particolarmente intensa; i piani sequenza a volte disegnano voli radenti sui paesaggi o inquadrano da sotto le cime di alberi secolari. La scena dell’attacco dell’orso, pur ricostruita in CGI, appare di un’efficacia impressionante. A volte la narrazione sfiora l’iperbole, soprattutto quando Glass, gravemente ferito, si trova ad affrontare situazioni estremamente pericolose e potenzialmente letali. Ma non è sul piano del realismo che va valutata l’opera di Iñárritu. “The Revenant” è un’opera che celebra la vocazione prometeica dell’uomo-Glass in un contesto molto più forte di lui. I risvolti leggendari sono temperati da una messa in scena rigorosa e affascinante e dall’ampiezza sconfinata dell’orizzonte. Come a dire che, per muoversi su un’estensione sterminata, occorre un impegno e uno spirito di sacrificio altrettanto illimitati.
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no_data
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sabato 2 gennaio 2016
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iñàrritu tra blockbuster e malick
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Circa un anno fa, ad ogni premio vinto da Birdman, ci toccava sentire la predica di Iñàrritu sull'ego e su quanto quest'ultimo fosse uno dei nostri più grandi nemici. Sembra, però, che il regista messicano non abbia ascoltato i suoi stessi consigli e l'ambizione di fare un capolavoro, quasi il film definitivo, lo hanno portato a fare un film poco più che discreto, di certo inferiore al precedente Birdman. Se ci sono molti aspetti lodevoli (la fotografia da applausi di Emmanuel Lubezki e le grandissime interpretazioni di Hardy e DiCaprio) ce ne sono altrettanti negativi, a partire dalla sceneggiatura. Quest'ultima, infatti, scritta dal regista con Mark L. Smith, non è particolarmente efficace nè nelle parti dei combattimenti in stile Blockbuster, nè nei momenti più lirici e filosofeggianti alla Malick.
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Circa un anno fa, ad ogni premio vinto da Birdman, ci toccava sentire la predica di Iñàrritu sull'ego e su quanto quest'ultimo fosse uno dei nostri più grandi nemici. Sembra, però, che il regista messicano non abbia ascoltato i suoi stessi consigli e l'ambizione di fare un capolavoro, quasi il film definitivo, lo hanno portato a fare un film poco più che discreto, di certo inferiore al precedente Birdman. Se ci sono molti aspetti lodevoli (la fotografia da applausi di Emmanuel Lubezki e le grandissime interpretazioni di Hardy e DiCaprio) ce ne sono altrettanti negativi, a partire dalla sceneggiatura. Quest'ultima, infatti, scritta dal regista con Mark L. Smith, non è particolarmente efficace nè nelle parti dei combattimenti in stile Blockbuster, nè nei momenti più lirici e filosofeggianti alla Malick. La storia (vera ma talmente romanzata che non si sia più cosa sia vero e cosa no) richiama molti film di avventura ad alto budget con effetti speciali strepitosi (spettacolare la scena dell'orso fotografata da Lubezki in un solo piano sequenza) tipici di Hollywood. Tuttavia Iñàrritu non ha in mente un semplice Blockbuster americano e perciò alterna dei momenti di azione pura ad alcuni più riflessivi ed aulici. Fa del protagonista il tipico eroe americano (deve badare al figlio amato dopo la morte della moglie) ed inserisce massime da biscotti della fortuna: "se c'è vento e vedi i rami di un albero pensi che cadrà, ma se vedi il tronco vedi la solidità".
Revenant è, quindi, un film tenuto in piedi da una fotografia eccezionale che conferma il genio di Lubezki, e da due interpretazioni magistrali, ma che fallisce nel creare un Blockbuster filosofico. Iñàrritu non è né George Miller né Malick e dovrebbe tornare ad essere se stesso e a fare film come Birdman o Amores Perros.
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(di arverso)
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elpanez
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mercoledì 13 gennaio 2016
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un film difficile da "digerire", vogliate capirmi!
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NO SPOILER: Sarà perché adoro la regia di Iñàrritu oppure le prestazioni di DiCaprio che mi hanno portato ad amare questa pellicola? Assolutamente NO, Revenant è un film maestoso che trasmette ogni tipo d’emozione, che scava dentro il proprio io e ti perfora come un pugnale facendoti riflettere sulla natura umana e il suo comportamento.
La regia è pulita, mantiene sempre lo stesso ritmo, i piani sequenza sono lunghi, dettagliati e paurosamente efficaci sullo spettatore.
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NO SPOILER: Sarà perché adoro la regia di Iñàrritu oppure le prestazioni di DiCaprio che mi hanno portato ad amare questa pellicola? Assolutamente NO, Revenant è un film maestoso che trasmette ogni tipo d’emozione, che scava dentro il proprio io e ti perfora come un pugnale facendoti riflettere sulla natura umana e il suo comportamento.
La regia è pulita, mantiene sempre lo stesso ritmo, i piani sequenza sono lunghi, dettagliati e paurosamente efficaci sullo spettatore. La cinepresa riprende l’azione in modo originale, spostandosi dinamicamente mantenendo un primo piano eccellente immergendoti nel film.
La sceneggiatura l’ho trovata pazzesca, pochi dialoghi fan si che il film venga interpretato da solo, lasciando spazio alla potenza fotografica e della regia. Essa permette di leggere il pensiero degli attori con una pulizia incredibile sia nei movimenti che nei dialoghi in modo incredibilmente spontaneo.
La fotografia non poteva essere migliore, tutto naturale, grazie ad una luce del sole incantevole della zona in cui hanno girato, che rende il film estremamente reale e immersivo. Inoltre i panorami ripresi dall’alto sono letteralmente mozzafiato.
L’interpretazione di DiCaprio parla da sola, l’attore non dice una parola per 40 minuti, con una espressione trasmette mille emozioni riuscendo a farti entrare dentro il personaggio, in tutti i sensi, da brivido. Tutto il resto del cast, stellare, un Tom Hardy motivato e incalzante.
La colonna sonora è composta da sinfonie di prima categoria messe al posto giusto e al momento giusto.
Se devo proprio trovare un difetto è forse l’eccessività di alcune scene, alcune molto surreali, ma non prendiamoci in giro, è soltanto una mossa per dare più spettacolo, e sinceramente non mi ha dato poi così tanto fastidio.
Infine, durante la visione ci si ritrova in un tripudio di emozioni fortissime, il film ti trascina nel suo mondo per 2 ore e 36 minuti, e vogliate credermi, starete incollati davanti alla proiezione senza voltarvi, distrarvi e chiudere occhio fino alla fine dei titoli di coda. Un capolavoro a tutti gli effetti come non se ne vedevano da molto, molto tempo. Un film potente maestoso e colossale da risultare difficile da “digerire”, vogliate capirmi, ho ancora il cuore in gola dopo che sia passata un’ ora dall’uscita dalla sala.
Per maggiori dettagli, Youtube: elpanez.
Buona serata.
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jacopo b98
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domenica 17 gennaio 2016
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un'opera brutale sull'essenza dell'uomo.
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Nel 1823 il trapper Hugh Glass (DiCaprio) è guida di una spedizione di cacciatori di pellicce, fiaccata e decimata dagli attacchi degli indiani Arikara. Sulla via del ritorno Glass incappa in una femmina di orso grizzly che lo massacra. Il capitano (Gleeson) della spedizione, conscio della situazione disperata, decide di lasciare indietro Glass moribondo, assieme a tre uomini che gli diano degna sepoltura, Fitzgerald (Hardy), Bridger (Poulter) e Hawk (Goodluck), il figlio mezzo indiano di Glass. Ma il primo deciderà di abbandonarlo, credendolo ormai finito, e dopo averne ucciso il figlio se ne andrà assieme a Bridger. Ma Glass è tutt’altro che morto e inizia un lungo viaggio in cerca di vendetta.
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Nel 1823 il trapper Hugh Glass (DiCaprio) è guida di una spedizione di cacciatori di pellicce, fiaccata e decimata dagli attacchi degli indiani Arikara. Sulla via del ritorno Glass incappa in una femmina di orso grizzly che lo massacra. Il capitano (Gleeson) della spedizione, conscio della situazione disperata, decide di lasciare indietro Glass moribondo, assieme a tre uomini che gli diano degna sepoltura, Fitzgerald (Hardy), Bridger (Poulter) e Hawk (Goodluck), il figlio mezzo indiano di Glass. Ma il primo deciderà di abbandonarlo, credendolo ormai finito, e dopo averne ucciso il figlio se ne andrà assieme a Bridger. Ma Glass è tutt’altro che morto e inizia un lungo viaggio in cerca di vendetta. Tratto da una storia vera, raccontata nel romanzo di Michael Punke, adattato con libertà dal regista e Mark L. Smith, Revenant è il punto d’arrivo del percorso autoriale di Iñàrritu, la cui carriera a questo punto è nettamente divisibile in due parti: da una parte c’è la Trilogia del dolore, sceneggiata da Guillermo Arriaga, dall’altra c’è questa nuova fase, attualmente composta da tre film (Biutiful, Birdman e questo, appunto), in cui il regista si è promosso a co-sceneggiatore ed autore. Per quanto chi scrive sia un apprezzatore del percorso cinematografico di Iñarritu in generale, questo film e il precedente Birdman mi paiono davvero i risultati migliori e più maturi raggiunti da questo straordinario artista. Revenant è un percorso ascetico alla ricerca di risposte, all’interno di una Natura che non ne offre e si limita a mostrare la propria grandezza ed indifferenza insormontabili. È un film “evoluzionista” che afferma come raramente prima d’ora l’essenza animalesca dell’uomo. Non ha caso è narrativamente semplice (è un’azione continua, simile a Birdman per certi versi), è un calvario di sofferenza in cui l’uomo accetta di diventare un tutt’uno con la natura, in questo senso significativa è la sequenza in cui Glass dorme all’interno di un cavallo morto, entrando dentro la Natura, diventando realmente parte di essa. Solo così Glass sopravvive: tornando allo stato animalesco. Mangia carne cruda, dorme dentro i cavalli, pesca con le mani, si disseta con la neve che cade dal cielo. La sua sopravvivenza è dispensata dalla Natura, alla quale sopravvive entrando in simbiosi assoluta con essa. Ma se da una parte c’è la simbiosi uomo-natura, dall’altra c’è la differenzazione rispetto ad una Natura violenta (i lupi che sbranano i bisonti, o l’orsa che attacca Glass per difendere i suoi cuccioli) per necessità e l’uomo, violento perché essenzialmente malvagio (Fitzgerald è un mostro, ma anche Glass alla fine riceve la sua condanna: niente gli ridarà suo figlio, la sua vendetta è inutile poiché la vera vendetta è nelle mani di Dio): l’uomo è l’animale crudele della Natura, è animale per i comportamenti, umano per le motivazioni che li inducono. La Natura è attiva e passiva allo stesso tempo: vera protagonista dell’azione, pur sempre nella sua impassività di fronte all’orrore. Ella si fa sentire tramite il vento, una pioggia di meteoriti, una valanga, che fanno apparire l’uomo davvero una nullità di fronte all’immensità del creato che lo circonda. Tutto questo è espresso sostanzialmente solo tramite una eccezionale capacità nell’uso dell’immagine: non sono riflessioni che passano tramite le parole, ma tramite i gesti. In questo senso è simile al suo rivale ai prossimi Oscar, Mad Max: Fury Road, altro film in cui la riflessione passava attraverso l’azione e non tramite inutili, fluviali dialoghi. Questo è cinema: un film in cui l’azione, la gestualità torna ad essere protagonista, in cui ogni movimento di macchina diviene significativo. Non manca nemmeno una riflessione sul legame tra padre e figlio, che passa soprattutto tramite una serie di poetiche scene oniriche, talvolta più riuscite (la sequenza nella chiesa in rovina), talvolta meno, che comunque contribuiscono non poco alla innegabile spiritualità del film. La regia di Iñàrritu è una delle più belle prove mai viste nella storia: è di ambizione concettuale (la scelta coraggiosa di girare esclusivamente in ambienti reali ricorda i folli sogni di Herzog e Coppola) e tecnica assoluta, oltre che libera da ogni schematicità: la sua telecamera pare fluttuare nell’aria, percorrendo altopiani, boschi e fiumi in lunghi e articolati piani sequenza. Altro grande autore del film è senza dubbio il divino Emmanuel Lubezki, che si supera ancora una volta, regalandoci una fotografia a luce naturale che è forse la più bella e complessa che si sia mai vista sullo schermo, immagini di bellezza e purezza mai viste prima, che contrastano bene con la brutalità dell’azione (anche la fotografia assume dunque un ruolo essenziale nella narrazione e nella ricchezza tematica del film: così come deve essere in tutti i film che ambiscono ad essere “totali”). Indimeticabili infine le performance attoriali: DiCaprio ancora una volta si supera, in un’interpretazione assoluta e mastodontica, muta per buona parte del tempo scenico a lui riservato, capace di esprimere solo tramite le espressioni del volto (si veda il finale, uno degli sguardi più sublimi e forti che si siano mai visti al cinema), i grugniti e una fisicità dirompente tutta la lotta per la sopravvivenza, la non-comprensione della natura e l’incomunicabilità del suo intimo dramma, Tom Hardy è suo degno antagonista, la sua interpretazione è piena di sfumature, sguardi significativi e ha una potenza davvero rara. Revenant non è un film che capita di vedere spesso: è un’opera lunga, impegnativa, tematicamente molto complessa, tutta da riflettere e ragionare, è un film d’altri tempi forse, e proprio per questo è uno dei più significativi di questi anni: rimarrà scolpito nella nostra memoria. VOTO 9,5
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[+] inarritu e lubezki di nuovo da oscar
(di filippotognoli)
[ - ] inarritu e lubezki di nuovo da oscar
[+] ottima recensione...
(di writer58)
[ - ] ottima recensione...
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maurizio meres
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domenica 17 gennaio 2016
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vero cinema
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Straordinario film tratto da una storia vera,viene rappresentata la grande forza fisico spirituale dell'essere umano in una lotta infernale con tutta la forza della natura in un ambiente ostile per l'essere,dove la sopravvivenza dei singoli elementi può non lasciare scampo a nessuno.
Siamo agli inizi del novecento dove la conoscenza è la scoperta dei luoghi più remoti del mondo erano esclusiva solo di uomini senza scrupoli e con una grande capacità di essere se stessi in ogni situazione senza fermarsi mai.
Inarritu racconta una storia in una situazione surreale,inimmaginabile per come è il mondo oggi,in uno scenario naturalistico bellissimo,coglie ogni attimo di sofferenza umana,riesce nel dare ai vari personaggi una collocazione ben precisa attraverso riprese suggestive e realistiche,con il sonoro della natura,tutto diventa semplice ed essenziale,in un mondo sconosciuto,vera arte cinematografica non c'è un set,tranne forse il fortino,e tutto naturale e si vede.
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Straordinario film tratto da una storia vera,viene rappresentata la grande forza fisico spirituale dell'essere umano in una lotta infernale con tutta la forza della natura in un ambiente ostile per l'essere,dove la sopravvivenza dei singoli elementi può non lasciare scampo a nessuno.
Siamo agli inizi del novecento dove la conoscenza è la scoperta dei luoghi più remoti del mondo erano esclusiva solo di uomini senza scrupoli e con una grande capacità di essere se stessi in ogni situazione senza fermarsi mai.
Inarritu racconta una storia in una situazione surreale,inimmaginabile per come è il mondo oggi,in uno scenario naturalistico bellissimo,coglie ogni attimo di sofferenza umana,riesce nel dare ai vari personaggi una collocazione ben precisa attraverso riprese suggestive e realistiche,con il sonoro della natura,tutto diventa semplice ed essenziale,in un mondo sconosciuto,vera arte cinematografica non c'è un set,tranne forse il fortino,e tutto naturale e si vede.
In questo film Inarritu sprigiona tutto se stesso nella più ampia libertà espressiva,è il suo mondo o perlomeno sognato,nel suo immaginario riesce nel dare allo spettatore un quadro completo in quella cornice magica di quel periodo,le quasi due ore e trenta diventano un battito d'ali.
Di Caprio è grandissimo,si vede dalla sua interpretazione che da tutto se stesso,in un copione che calza a misura alla sua personalità,duttile all'inverosimile,da grande attore l'espressività diventa fondamentale anche perché nel film recita pochissimo,la sua presenza è fondamentale in tutte le scene,grandissima maturità artistica,entra nella mente del regista,una simbiosi perfetta.
Film assolutamente da vedere,questo è vero cinema.
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zarar
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lunedì 18 gennaio 2016
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una ragione per sopravvivere ad ogni costo
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Sostiene Iñárritu che il percorso interiore di un individuo gli interessa di più di ogni realismo. E non è la prima volta che il regista ricostruisce un percorso interiore doloroso, che comincia con una disperazione, qualcosa che avverti come un’ingiustizia radicale, che diventa un’ossessione divorante fino a portarti in una dimensione altra, dove puoi l’impossibile, e diventi tutt’uno con il tuo obiettivo: pareggiare i conti, rivendicare la giustizia che ti è stata negata. Era già in ‘Birdman’, assume una dimensione titanica in questo ‘The Revenant’. La vicenda è ispirata a una storia vera, quella dell’esploratore e cacciatore di pelli Hugh Glass che, nel 1823, durante una spedizione commerciale nell’alta valle del Missouri, fu abbandonato morente per l’aggressione di un’orsa da due compagni lasciati a custodirlo e riuscì incredibilmente a sopravvivere, a percorrere quasi 400 km, a raggiungere il luogo dove pensava di trovare chi lo aveva abbandonato.
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Sostiene Iñárritu che il percorso interiore di un individuo gli interessa di più di ogni realismo. E non è la prima volta che il regista ricostruisce un percorso interiore doloroso, che comincia con una disperazione, qualcosa che avverti come un’ingiustizia radicale, che diventa un’ossessione divorante fino a portarti in una dimensione altra, dove puoi l’impossibile, e diventi tutt’uno con il tuo obiettivo: pareggiare i conti, rivendicare la giustizia che ti è stata negata. Era già in ‘Birdman’, assume una dimensione titanica in questo ‘The Revenant’. La vicenda è ispirata a una storia vera, quella dell’esploratore e cacciatore di pelli Hugh Glass che, nel 1823, durante una spedizione commerciale nell’alta valle del Missouri, fu abbandonato morente per l’aggressione di un’orsa da due compagni lasciati a custodirlo e riuscì incredibilmente a sopravvivere, a percorrere quasi 400 km, a raggiungere il luogo dove pensava di trovare chi lo aveva abbandonato. Frustrato più volte nel suo tentativo di vendicarsi, accettò alla fine un’ingente risarcimento in denaro. La fiction esaspera il dramma in questa storia straordinaria, romanzata da M. Punke nel 2002: si immagina che Glass abbia avuto, da una moglie indiana amata e perduta, un figlio che lo segue nelle sue peregrinazioni. Quando è abbandonato moribondo in mezzo al nulla, gli uccidono anche il figlio, che ha tentato di fermare i fuggitivi. Colpito a morte due volte, nel corpo e negli affetti, il personaggio impegna se stesso in una lotta sovrumana, al di là di ogni realismo o verosimiglianza, per sopravvivere alle ferite, alla fame e a mille insidie e tornare alla base, e così vendicare se stesso ma soprattutto il figlio perduto. Ce la farà. E quando chi l’ha tradito sarà morto, la visione della moglie serena finalmente scioglierà l’enorme fardello, il nodo di tensione violenta che l’ha tenuto in piedi; tutto è finito, e sulla sua faccia spossata leggeremo che vita o morte a quel punto sono del tutto indifferenti. Il teatro forniva lo scenario – reale e metaforico - al dramma di Birdman; lo squallore grigio e minaccioso, alla Eisenstein, di un desolato paesaggio invernale riporta alle radici dell’esistenza e assolutizza l’odissea del Revenant. Liberatosi dal simbolismo insistito e teatrale di Birdman, Iñárritu disegna un mondo gelido e feroce, in cui alla violenza inconsapevole della natura si aggiunge quella consapevole degli uomini, appena rischiarata qua e là da barlumi di umanità. Non c’è fine alla guerra di tutti contro tutti, americani e francesi, soldati e civili, indiani di diverse tribù, sotto un cielo indifferente che appare lontanissimo tra le cime degli alberi, irraggiungibile. Di fronte a questo c’è – rappresentato da un grande Di Caprio - il titanismo di chi ha una forte sostanza umana e non si arrende finché ha un attimo di respiro, per vivere, se ha ragioni per vivere, per rivendicare la giustizia, l’umanità e l’amore violati anche quando non ha più ragioni per vivere. E’ questo – non tanto la vendetta in sé - che dà un senso all’impresa sovrumana di Glass e alle più sfumate ma non meno importanti storie parallele dei pochissimi che lo aiutano. Non è un caso che alla fine il protagonista, dopo aver sopraffatto l’avversario, deleghi la vendetta a un’altra mano, dopo aver superato l’impensabile proprio per arrivare a quel momento. Film da vedere, anche se la violenza delle immagini è quasi intollerabile e se una maggiore brevità avrebbe giovato.
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luigi chierico
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domenica 31 gennaio 2016
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spettacolare
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Talora è difficile scindere un giudizio soggettivo da uno oggettivo,tuttavia pur riconoscendo che una donna non risponde ai canoni della bellezza,la si può definire bellissima.Personalmente,pur riconoscendo alcuni limiti in questo Redivivo,devo dire che a me è piaciuto molto.Non lo consiglierei comunque a tutti indistintamente,occorre conoscere cosa si va a vedere e con chi si devono trascorrere oltre due ore.Non credo che ci si possa andare ad assistere ad un’opera lirica o ad una tragedia senza avere una minima cognizione dei due generi di spettacolo di indubbio grandissimo valore.Per rimanere in tema,il regista, veramente eccezionale,per la scenografia si è rivolto al Creatore,quel Dio che solo per i traditori invece“è uno scoiattolo che compare quando ne hai più bisogno,e va divorato in fretta,senza pensarci su”,che attraverso la Natura offre paesaggi fantastici,inimmaginabili,ma veri:incantevoli boschi con alberi ad alto fusto le cui cime rivolte al cielo sembrano essere in preghiera,cascate,fiumi e laghi,ghiacciai,albe e tramonti,cieli notturni;tantissima acqua che fa scrivere a Bontempelli in L’amante fedele:“La superficie dell’acqua in un tremolio d’ombra e luci era diventata una pelle viva,i raggi del mattino, passando liberamente tra i rami nudi degli alberi,andavano a pungerla un po’dappertutto”,tutto un susseguirsi di fotografie bellissime.
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Talora è difficile scindere un giudizio soggettivo da uno oggettivo,tuttavia pur riconoscendo che una donna non risponde ai canoni della bellezza,la si può definire bellissima.Personalmente,pur riconoscendo alcuni limiti in questo Redivivo,devo dire che a me è piaciuto molto.Non lo consiglierei comunque a tutti indistintamente,occorre conoscere cosa si va a vedere e con chi si devono trascorrere oltre due ore.Non credo che ci si possa andare ad assistere ad un’opera lirica o ad una tragedia senza avere una minima cognizione dei due generi di spettacolo di indubbio grandissimo valore.Per rimanere in tema,il regista, veramente eccezionale,per la scenografia si è rivolto al Creatore,quel Dio che solo per i traditori invece“è uno scoiattolo che compare quando ne hai più bisogno,e va divorato in fretta,senza pensarci su”,che attraverso la Natura offre paesaggi fantastici,inimmaginabili,ma veri:incantevoli boschi con alberi ad alto fusto le cui cime rivolte al cielo sembrano essere in preghiera,cascate,fiumi e laghi,ghiacciai,albe e tramonti,cieli notturni;tantissima acqua che fa scrivere a Bontempelli in L’amante fedele:“La superficie dell’acqua in un tremolio d’ombra e luci era diventata una pelle viva,i raggi del mattino, passando liberamente tra i rami nudi degli alberi,andavano a pungerla un po’dappertutto”,tutto un susseguirsi di fotografie bellissime.
Il film si può dire che sia stato girato interamente in esterni a luce solare.Ed i rami che sono presenti quasi sempre spogli o carichi di neve,sono un punto di riferimento per la vita”Perché nel mezzo di una tempesta,se guardi i rami di un albero, giureresti che stia per cadere.Ma se guardi il suo tronco ti accorgerai ti quanto sia stabile!"
Doppiaggio ottimo,il finale è accompagnato da una musica vigorosa come si conviene nel momento drammatico alla conclusione di questa vicenda che ha visto tanti cacciatori di pelli perdere a poco a poco non sole le pelli raccolte ma anche la propria di pelle.Quanti i superstiti? Forse neanche il Redivivo.L’interpretazione è ottima soprattutto di DiCaprio chiamato a dare di sé solo il volto,qui non gigioneggia,non è romantico,tuttavia le sue espressioni sono tutte da ricordare anche nel silenzio e nel dolore al cospetto con la morte.Lascia a desiderare la chiarezza dei rapporti conflittuali,ma soprattutto almeno due episodi talmente inverosimili,per una storia presa dal vero,che finiscono con l’essere poco seri,una caduta incredibile per un film del genere.Un Appaloosa trasformato in una specie di cavallo di Troia,un enorme orso che soccombe nella lotta con l’uomo,con la guida dei cacciatori Hugh Glass,ovviamente in arte Leonardo DiCaprio. Una scena ottenuta con i mezzi di cui oggi dispone il regista perfetta dal punto di vista tecnico ma sa troppo poco di realistico.Il racconto nella sostanza coglie gli aspetti positivi e negativi che accompagnano da sempre i rapporti umani. Magnifico l’attaccamento di Hugh al figlio Hawk (Forrest Goodluck),a cui si contrappone quello di traditore di Tom Fitzgerald,interpretato ottimamente da Tom Hardy.
La fedeltà di Jim Bridger(Will Paulter),l’odio ed amicizia con i pellerossa a cui tutto è stato portato via,od a cui la figlia è stata salvata.Sentimenti grandi, forti in un film forte, sconsigliato quindi alle persone delicate e facilmente impressionabili dinanzi al sangue che macchia di rosso la bianca neve.
p.s.Le didascalie non piacciono mai e per diverse ragioni andrebbero posizionate in alto e non in basso
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alex2044
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lunedì 25 gennaio 2016
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perplesso : capolavoro o no ?
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Perplesso . Quando il film è finito mi sono alzato e ,senza guardare , come faccio abitualmente , i titoli di coda mi sono avviato versi l'uscita ., perche ? Il film ha tutto per essere un grande film . Il regista è bravissimo , gli attori altrettanto naturalmente con Di Caprio ed i suoi silenzi sopra tutti . I paesaggi fantastici , le musiche ammalianti , la storia intrigante . Perfino l'idea geniale di non tradurre le altre lingue parlate nel film è un plus non indifferente . Bene , ho guardato il film con attenzione e malgrado la lunghezza inusitata non ho avuto alcuna sensazione di stanca ed allora da cosa nasce la mia perplessità ? C'ho pensato un po' anche perchè l'impegno del regista e degli attori lo merita e mi sono dato questa risposta : Il film mi è sembrato costruito in modo un po' meccanico forse con una stella polare : vincere l'Oscar e farlo vincere a Di Caprio , perdendo così la freschezza della semplicità prediligendo i toni enfatici ed in alcuni casi onestamente un po' esagerati e poco credibili .
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Perplesso . Quando il film è finito mi sono alzato e ,senza guardare , come faccio abitualmente , i titoli di coda mi sono avviato versi l'uscita ., perche ? Il film ha tutto per essere un grande film . Il regista è bravissimo , gli attori altrettanto naturalmente con Di Caprio ed i suoi silenzi sopra tutti . I paesaggi fantastici , le musiche ammalianti , la storia intrigante . Perfino l'idea geniale di non tradurre le altre lingue parlate nel film è un plus non indifferente . Bene , ho guardato il film con attenzione e malgrado la lunghezza inusitata non ho avuto alcuna sensazione di stanca ed allora da cosa nasce la mia perplessità ? C'ho pensato un po' anche perchè l'impegno del regista e degli attori lo merita e mi sono dato questa risposta : Il film mi è sembrato costruito in modo un po' meccanico forse con una stella polare : vincere l'Oscar e farlo vincere a Di Caprio , perdendo così la freschezza della semplicità prediligendo i toni enfatici ed in alcuni casi onestamente un po' esagerati e poco credibili . Il fatto che la storia parli di un fatto veramente accaduto non spiega queste necessità . Perchè normalmente queste avventure vengono esagerate nel racconto dai suoi protagonisti per renderle più mirabolanti . Sta a chi le interpreta il riportarle alla loro consistenza reale senza eccedere nel fantastico . Insomma , parliamoci chiaro , Di Caprio non può trascinarsi e claudicare per tutto il film e poi , improvvisamente mettersi a correre a perdifiato negli ultimi cinque minuti . Gli unguenti indiani possono fare miracoli ma non esageriamo . Peccato poteva essere un capolavoro ma non lo è stato . Qualche volta il di più , quando è eccessivo , diventa un di meno . Ciò non toglie che il film meriti di essere visto perchè , malgrado i suoi difetti , rimane un meraviglioso messaggio visivo .
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parieaa
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martedì 9 febbraio 2016
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silenzio, parlano le immagini
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Ammetto che forse 5 stelle sono un pelino troppe, ma non vedo come non si possano premiare anche i soli sforzi produttivi e le infinite tribolazioni che hanno rischiato più e più volte di affossare l'intero progetto. Girare a temperature estreme, usare solo la luce naturale, girare solo all'aperto e curare maniacalmente ogni minimo dettaglio dovrebbero esssere, secondo me, gli ingredienti della maggior parte dei film (anche se capisco che il budget spesso e volentieri lo impedisca). Alla fine lo sforzo produttivo, non da tutti, e la caparbietà del regista sono stati ampiamente ripagati e il risultato più che positivo è innegabile. L'intera sequenza di apertura è già qualcosa che si avvicina alla perfezione, con dei lunghi piano sequenza stupendi, e che ,per ora, solo il regista messicano (e forse Fukunaga) sanno usare così bene.
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Ammetto che forse 5 stelle sono un pelino troppe, ma non vedo come non si possano premiare anche i soli sforzi produttivi e le infinite tribolazioni che hanno rischiato più e più volte di affossare l'intero progetto. Girare a temperature estreme, usare solo la luce naturale, girare solo all'aperto e curare maniacalmente ogni minimo dettaglio dovrebbero esssere, secondo me, gli ingredienti della maggior parte dei film (anche se capisco che il budget spesso e volentieri lo impedisca). Alla fine lo sforzo produttivo, non da tutti, e la caparbietà del regista sono stati ampiamente ripagati e il risultato più che positivo è innegabile. L'intera sequenza di apertura è già qualcosa che si avvicina alla perfezione, con dei lunghi piano sequenza stupendi, e che ,per ora, solo il regista messicano (e forse Fukunaga) sanno usare così bene. La scena dell'attacco all'orso è tecnicamente da rimaner a bocca aperta (anche se per sfuggire ad un orso sembra "basti" fingersi morti). Inutile parlare della fotografia, della regia in toto e della scelta delle ambientazioni, tutte perfette. Il cast è in grandissima forma (perfino il capo indiano, che presumo non sia un vero attore, risulta molto convincente). Ottima la scelta di lasciare più lingue possibile non tradotte. Il messaggio naturalista e anti sfruttamento della natura permea l'intera pellicola, senza mai però divenire didattico e pedantesco. Le mie sequenze preferite però rimangono quelle in cui regna sovrana la natura e soprattutto il silenzio. Certo comunque non mancano (poche) note dolenti, come la scena della caduta dal dirupo (peraltro ben poco utile, visto che la scena poteva essere risolta in qualsiasi altro modo) o la scena finale con gli indiani, di cui non ho ben capito bene il significato. Si tratta di un film profondamente esteta, non per tutti i gusti, crudo al punto giusto, che racconta una storia di vendetta, senza in realtà alcuna vendetta. Vince solo la natura, contro la quale non ha senso lottare, nemmeno contro quella umana.
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claudiofedele93
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lunedì 4 gennaio 2016
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un altro grande film di iñárritu.
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Accostarsi al cinema di Alejandro González Iñárritu non è semplice, specialmente dopo la sua totale consacrazione alla cerimonia degli Oscar del 2015 che l’ha visto trionfare con una pellicola tanto grottesca quanto realistica, che catapultava, con un piano sequenza ininterrotto di ben due ore, gli spettatori in una storia affascinante, sebbene simile a tante, ambientata all’interno di un teatro a Broadway, nella città di New York. Interni maestosi, seppur scarni nel decoro, virtuosismi mostrati senza remore, capaci di rivelarsi ad ogni nuova messa a fuoco dando una continuità come mai non si era vista prima grazie ad un montaggio certosino, protagonisti tanto sopra le righe da mostrarsi, in fine, specchio umano di tutta una vasta gamma di attori e personalità che affollano uno specifico ambiente, quello del Musical e dei palchi teatrali, il tutto contaminato da una forte critica verso un cinema moderno che innalza paladini ogni giorno in difesa di ideali troppo lontani da quella che in molti configurano come settima arte, questo e molto altro è stato “L’imprevedibile Virtù dell’Ignoranza”.
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Accostarsi al cinema di Alejandro González Iñárritu non è semplice, specialmente dopo la sua totale consacrazione alla cerimonia degli Oscar del 2015 che l’ha visto trionfare con una pellicola tanto grottesca quanto realistica, che catapultava, con un piano sequenza ininterrotto di ben due ore, gli spettatori in una storia affascinante, sebbene simile a tante, ambientata all’interno di un teatro a Broadway, nella città di New York. Interni maestosi, seppur scarni nel decoro, virtuosismi mostrati senza remore, capaci di rivelarsi ad ogni nuova messa a fuoco dando una continuità come mai non si era vista prima grazie ad un montaggio certosino, protagonisti tanto sopra le righe da mostrarsi, in fine, specchio umano di tutta una vasta gamma di attori e personalità che affollano uno specifico ambiente, quello del Musical e dei palchi teatrali, il tutto contaminato da una forte critica verso un cinema moderno che innalza paladini ogni giorno in difesa di ideali troppo lontani da quella che in molti configurano come settima arte, questo e molto altro è stato “L’imprevedibile Virtù dell’Ignoranza”.
Birdman era tutto ciò, e molto altro: erano i dubbi, gli errori, il distacco dal mondo, l’immateriale orrore umano, l’animo distrutto e sensibile di un uomo, interpretato da un Michael Keaton da favola, finalmente tornato alla ribalta dopo anni passato a fare da spalla in lavori di certo non alla sua altezza; ogni cinefilo che si rispetti è rimasto travolto dinnanzi a questo prodotto tanto affine alla commedia quanto tragico nella sua messa in scena, sopra i propri limiti sia nell’impostazione che nei contenuti, sebbene ancorato ad un universo che fin dal primo movimento di macchina ogni uomo o donna sente affine con quel che lo circonda.
Accantonato, dopo nemmeno un anno, l’uomo comune disperato, a causa di una carriera in totale discesa e per via di una notorietà sempre più indirizzata al passato, quando sul grande schermo prendeva il volto di uno dei molti supereroi che affollano i cinema, oggi il regista messicano torna a far parlare di se con una pellicola disarmante, crudele, cinica, spietata, spettacolare, umana e delicata nella sua più oscura bellezza.
The Revenant - Redivivo è, di fatto, l’opposto, in tutto e per tutto, del suo precedessore, ed i cambiamenti sono percepibili sin dalla prima inquadratura, oltre che dalla storia che Inarritu decide, stavolta, di raccontare. Lasciati camerini putridi e sporchi della New York odierna, per far spazio ad innevati quanto suggestivi paesaggi montani dell’America del Nord (o dello stato del Canada e dell’Argentina, addirittura) dei primi anni del XXsecolo, l’azione, stavolta, vede protagonista Hugh Glass ed un manipolo di soldati destinati a cacciare alci e altri animali grazie ai quali ricavare il più alto numero di pelli pregiate, da rivendere poi ai giusti acquirenti. Tuttavia il Nord Dakota è un territorio ostile, pieno di pericoli e trappole, provenienti non solo dalla natura, ma in primis dall’uomo. Glass ed i suoi compagni, sfuggiti ad un’incursione delle tribù indiane native del luogo, dovranno tornare a casa ed attraversare gran parte dell’interno Stato nel bel mezzo dell’inverno. A peggiorare, infine, la situazione, saranno le mortali ferite che Hugh riporterà dopo essere stato attaccato da un orso. Menomato, in fin di vita, lasciato alla mercé di se stesso e delle bestie che popolano i boschi selvaggi, l’uomo, ormai orfano del proprio figlio, ucciso brutalmente da John Fitzgerald, uno dei tanti cacciatori appartenenti al gruppo di fuggiaschi, troverà il coraggio e la forza per vendicarsi di chi l’ha lasciato agonizzante al gelo, intento a reclamare a tutti i costi la propria vendetta.
Redivivo è un lavoro complesso ed ambizioso, che, come scritto poc’anzi, molto intelligentemente prende le distanze da Birdman per aprire scenari e situazioni inedite, che pur tuttavia conservano, ancora intatto, l’animo e la verve artistica di chi ha diretto entrambi i lungometraggi. La mano di Iñárritu è tangibile in ogni momento, si avverte e si riconosce in una qualunque sequenza a cui siamo messi davanti e siamo testimoni, concretizzandosi in toto quando a farla da padrone è il realismo a dir poco estremo e le situazioni spettacolari, e corali, che l’autore di Amores Perros, analizza e studia fin nel minimo dettaglio, graziato anche dalle scelte estetiche del direttore della fotografia, il due volte premio Oscar Emmanuel Lubezky, con il quale il film-maker ha deciso di utilizzare una particolare cinepresa che permettesse di sfruttare, come unica fonte di illuminazione, quella naturale. Una prova, sotto il profilo puramente visivo, veramente notevole, che per l’ennesima volta mette agli atti il talento innato del noto direttore della fotografia che, proprio come fece Kubrick in Barry Lyndon, cerca di cogliere la bellezza dei paesaggi ed il pathos del racconto senza l’ausilio o il compromesso, di luce artificiale.
Se, infatti, sul piano tecnico siamo di fronte ad un lauto banchetto di virtuosismi e movimenti eleganti contrapposti ad una macchina da presa sempre presente ed invasiva quel che basta da rimarcare la personalità dell’autore, sotto il profilo degli attori ancora una volta González Iñárritu sottolinea la sua grande padronanza nel saper sfruttare al meglio i talenti di cui dispone. Leonardo DiCaprio, che spesso vediamo in ruoli che lo portano ad essere costantemente sopra le righe, vuoi per le situazioni assurde, per gli eccessi o per un modus operandi che fa della propria versatile presenza e graffiante voce un vero e proprio marchio di fabbrica, ci regala una performance a dir poco perfetta, moderata e delicata, che parte, per certi aspetti, pienamente nelle sue corde, rispettando in toto i parametri a cui l’inaffondabile Jack ci ha abituato, per poi adagiarsi in un sottofondo di malinconia e umanità che raramente era fuori uscito dal fuori classe di origini italiane. Se infatti, il talento di DiCaprio non è mai stato messo in dubbio, qualcuno poteva, però, contestare una certa ripetitività in alcune produzione nei riguardi di un approccio fin troppo simile tra una pellicola ad un altra, sempre, ad ogni modo, sorretto da un impegno costante e duraturo. Oggi, sembra proprio il caso di dirlo, Leonardo DiCaprio assurge ad essere un attore completo, poiché non affascina né colpisce più lo spettatore per la sua bellezza o per la sua bravura, ma semplicemente per l’umanità e la pietas che riesce a cogliere e restituire al suo alter ego di celluloide, lasciandosi guidare dalla mano di un regista che ha potuto plasmare un attore a suo piacimento affinché questi potesse dar alla luce un’interpretazione che, nelle due ore e mezzo necessarie ad arrivare ai titoli di coda, costituisse l’ossatura stessa dell’intera pellicola.
Ad affiancare DiCaprio troviamo un cast di tutto rispetto, se non addirittura all’altezza del pupillo preferito dall’ultimo Scorsese. Domnhall Gleesonsi conferma una spalla efficace e matura, capace di saper dare spessore ai tanti ruoli che l’annata precedente l’hanno visto chiamato in causa, dimostrando quanto quest’attore sappia tener conto delle molte sfumature che i suoi personaggi godono da pellicola a pellicola. Tom Hardy in alcuni momenti ruba persino la scena ad ogni altra persona presente sullo schermo, il suo cacciatore è un uomo proveniente dal Texas, avido e egoista, che porta il volto sfigurato dopo uno scalpo riuscito solo a metà. L’accento e la trasformazione dovuta al trucco conferiscono all’attore inglese un’occasione perfetta per mettere in mostra, per l’ennesima volta, il grande talento di cui questi dispone. Hardy si cuce addosso un antagonista dilaniato nella sua crudeltà, tanto cinico quanto umano nel suo essere spietato, che si adagia perfettamente in un mondo lontano anni luce da quello che intendiamo noi adesso con il quale interagiamo, sebbene, di quei tempi, tavolta, anche il nostro ne conservi l’essenza in più di un’occasione. Jon Fitzgerald sarà il grande motore narrativo che porterà alla rinascita di Hugh Glass, alla sua odissea disperata e tormentata condizionata da un senso di vendetta costantemente controbilanciato da un tanfo di morte che aleggia attorno al protagonista, quasi sempre agonizzante per le ferite infertegli da un orso e dalle condizione atmosferiche.
Redivivo è un lavoro che riesce a toccare molti aspetti di una storia dal grande impatto visivo, seducente dietro ai suoi piccoli piani sequenza che in ogni secondo sembrano spiccare il volo esattamente come Birdman faceva grazie ad una regia continuamente spronata ad andare ben oltre l’inverosimile. Eppure, al di là dei molti voli pindarici, The Revenant rimane continuamente ben saldo a terra, esso, infatti, è un affresco che con grinta vuole parlare degli uomini, dei loro vizi, così come delle loro virtù, del senso di colpa, del dolore, dell’incidere del tempo sull’animo umano e di come l’uomo, a sua volta, condizioni quel che lo circonda, che si parli di natura o di suoi confratelli. Inarritu crea un palco dove il dramma personale entra in pieno contrasto con una società in cambiamento, ove gli indiani ed i pellerossa devono vedersela con i francesi, gli inglesi e coloro che saranno identificati un giorno come i “comuni americani”; quanto detto, poi, fa da collante ad un percorso umano che non guida il pubblico ad un pentimento, bensì ad una pace interiore che, in fin dei conti, si mostra come la scelta più logica da adottare nei confronti di una storia che, fa della violenza, dal retrogusto incredibilmente realistico, uno dei suoi punti di forza e di maggiore impatto pur non rivelandosi mai gratuita o scontata.
The Revenant - Redivivo è una storia appassionante, nella sua brutale bellezza, che stona continuamente con un cinema ormai indirizzato ad una narrazione enfatica e spettacolare, pur riprendendo molto di essa in alcuni frangenti senza mai andare oltre il buon gusto. Iñárritu gioca con l’occhio della telecamera esattamente come un bambino esperto pone per terra i giocattoli con cui, a breve, inizierà a giocare, già deciso a dar vita a tutta una serie di avventure che solo lui è consapevole di saper narrare. Per questo motivo, al di là del solito marchio di fabbrica, sotto il lato tecnico, di un regista ormai pienamente consacrato, The Revenant si mostra un film importante, un western toccante ed umano, che grazie all’ausilio delle immagini riesce a trasmettere quanto di bello oggi è possibile vedere su un grande schermo, perché la magia del cinema non la si fa con le parole o con altri strampalati codici di comunicazione, né la si deve cercare in una superficiale sensibilità, ma unicamente con quel che si decide di riprendere, ed a parlare, dall’inizio fino all’ultima emblematica scena, non sono i personaggi con i loro dialoghi, ma gli scorci e le sequenze, le inquadrature ed i silenzi che Iñárritu colleziona ed inserisce in uno dei più bei film degli ultimi anni.
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