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"Mi sono affidato all'istinto". DiCaprio a Roma presenta Revenant

L'attore e il regista Iñárritu commentano il film, "un lavoro grandioso, qualcosa di mai realizzato prima". Candidato a 12 premi Oscar, è dal 16 gennaio al cinema.
di Marianna Cappi

Leonardo DiCaprio (Leonardo Wilhelm DiCaprio) (49 anni) 11 novembre 1974, Los Angeles (California - USA) - Scorpione. Interpreta Hugh Glass nel film di Alejandro G. Iñárritu Revenant - Redivivo.

domenica 17 gennaio 2016 - Incontri

La cornice è quella degli incontri importanti: fan alla porta, check-in per il pass stampa, ritardi inevitabili. D'altronde, Alejandro González Iñárritu e Leonardo DiCaprio non sono due ospiti qualunque, tanto meno oggi, freschi di Golden Globes e di nomination per la conquista delle statuette auree. Nella hall, i giornalisti si scambiano pensieri e pareri, ancora a caldo, perché tra l'incontro di questa tarda mattinata e l'anteprima romana di Revenant - Redivivo si è frapposta solo la notte. Il tempo è poco, ma regista e interprete si mostrano disponibili.

Visivamente il film si caratterizza fortemente come un film di Lubezki. Quanto è stata determinante l'influenza della sua idea di fotografia nel decidere il look del film?
Iñárritu: Fare un film è un processo complesso e interattivo, che coinvolge tantissimi elementi e tutti i reparti. Con "Chivo" lavoriamo insieme da tanto, da quando avevamo vent'anni: abbiamo girato insieme vari corti e poi Birdman, e sono un suo grande fan fin dal primo giorno della nostra conoscenza. Quando lo invito a partecipare ad un mio progetto, la sua collaborazione comincia dalle fondamenta del film, dai miei obiettivi, da cosa cerco di dire emotivamente e narrativamente.
Per entrambi si è trattato, prima di tutto, di un lungo processo di esecuzione di un'idea filosofica, solo in seguito sono intervenute le questioni tecniche e logistiche. Quando abbiamo avuto a disposizione i mezzi tecnici, non abbiamo fatto uno storyboard o dei provini, ma siamo andati a cercare il luogo e abbiamo cercato di coreografare il tutto, di progettare il disegno generale del film. Il suo modo di decidere l'esposizione, la sua conoscenza delle luci e il modo che ha di danzare con gli attori nei suoi movimenti di macchina sono assolutamente eccezionali, ma tutto quello che vedete è stato deciso almeno sei mesi prima delle riprese.

Sull'obiettivo della camera s'imprimono tracce di alito, di neve, di sangue. È un modo per far scavalcare allo spettatore la barriera dello schermo?
DiCaprio: Non voglio sostituirmi ad Alejandro, ma credo che l'intenzione fosse quella di creare un'esperienza estremamente interattiva con il pubblico, viscerale. Le capacità di Alejandro e di "Chivo" hanno dato vita ad un'opera quasi neorealista: ci si fonde con le sensazioni più profonde dei personaggi e col paesaggio come in un docudrama. Non avevo mai preso parte ad un film con tale padronanza del mestiere e con una visione registica così intimamente connessa con il personaggio e l'ambiente.
Iñárritu: Volevo creare la sensazione del documentario, volevo che animali e paesaggi apparissero in tempo reale. Se avessi girato il film cinque anni fa, come avrei dovuto fare, e non avessi girato Birdman e imparato quello che ho imparato, e la tecnologia fosse stata quella disponibile allora, non avrei potuto fare questo film come l'ho fatto adesso. L'importante per me era portare il pubblico lì sul posto e dare l'idea della fisicità, che è centrale. Ho letto un titolo di un articolo che mi piace: "National Leografic". Lo trovo appropriato.

Un Oscar potrebbe aggiungere qualcosa ad una carriera come la sua?
DiCaprio: Siamo stati felici che il nostro film abbia ricevuto in vari settori il riconoscimento delle candidature all'Oscar. Lavorare insieme per un periodo così lungo è stato come fare un viaggio più che un film, è un capitolo della vita, in cui ci siamo impegnati a fondo. L'Oscar non è il motivo per cui faccio film, non ci penso mentro lavoro. Oltretutto, a questo punto è al di là dei nostri sforzi: noi abbiamo fatto il lavoro, sta agli altri, ora, capirlo o meno. Tutto quello che possiamo fare è cercare di far capire al pubblico che un film come questo, un'epopea artistica su larga scala, non è certo facile da finanziare, ma è un lavoro grandioso, qualcosa di mai realizzato prima.

Cosa le ha hanno lasciato questo personaggio e quest'immersione nella natura?
DiCaprio: Siamo partiti con un atteggiamento aperto: la storia di Hugh Glass veniva raccontata attorno al fuoco, parla degli uomini della nuova frontiera, della relazione della specie umana con la natura, come la dominiamo e quali sacrifici ha richiesto, ma anche dell'avidità dell'umanità, che vuole appropriarsi delle risorse a scapito di chi abita la natura.
Stavo facendo un film sul cambiamento climatico, contemporaneamente, e vedere gli effetti di questo cambiamento di prima mano mi ha impressionato: lontano dagli insediamenti urbani, anche un grado di temperatura fa la differenza e trasforma l'ambiente. Credo che il 2015, l'anno più caldo in assoluto, ma anche l'anno in cui finalmente a Parigi le nazioni si sono messe insieme per cercare di fare qualcosa di proattivo riguardo all'ambiente, sia stato un anno simbolico in questo senso. Ora staremo a vedere.

Quali western l'hanno influenzata nel progettare Revenant - Redivivo?
Iñárritu: Più che al western, ideando questo film, pensavo a film come Andrej Rublëv, Dersu Uzala, il piccolo uomo delle grandi pianure, Fitzcarraldo, Aguirre, furore di Dio e Apocalypse Now. Sono queste le opere che mi hanno ispirato: film su larga scala che presentano però un aspetto intimo del personaggio e hanno una dimensione spirituale. Il mio è un film che ha a che vedere con un viaggio fisico e spirituale in un tempo in cui il west non esisteva ancora.

Da dove viene il suo personaggio? Come lo ha preparato?
DiCaprio: Non c'erano storici, a quel tempo, che documentassero quello che avveniva in quelle aeree incontaminate, nonostante l'epoca non sia così remota. A disposizione avevo solo le storie dei nativi americani o il diario di qualche esploratore, per cui è stato quasi come fare della fantascienza. In questo genere di diari ho trovato una forte nostalgia per quel mondo feroce ma incontaminato e tanta spiritualità. Poi, sul posto, il personaggio è diventato l'esperienza diretta di tentare di rifare e ripercorrere quello che aveva vissuto il vero Hugh Glass: c'è stata poca preproduzione e tanto affidamento all'istinto.

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