Circa un anno fa, ad ogni premio vinto da Birdman, ci toccava sentire la predica di Iñàrritu sull'ego e su quanto quest'ultimo fosse uno dei nostri più grandi nemici. Sembra, però, che il regista messicano non abbia ascoltato i suoi stessi consigli e l'ambizione di fare un capolavoro, quasi il film definitivo, lo hanno portato a fare un film poco più che discreto, di certo inferiore al precedente Birdman. Se ci sono molti aspetti lodevoli (la fotografia da applausi di Emmanuel Lubezki e le grandissime interpretazioni di Hardy e DiCaprio) ce ne sono altrettanti negativi, a partire dalla sceneggiatura. Quest'ultima, infatti, scritta dal regista con Mark L. Smith, non è particolarmente efficace nè nelle parti dei combattimenti in stile Blockbuster, nè nei momenti più lirici e filosofeggianti alla Malick. La storia (vera ma talmente romanzata che non si sia più cosa sia vero e cosa no) richiama molti film di avventura ad alto budget con effetti speciali strepitosi (spettacolare la scena dell'orso fotografata da Lubezki in un solo piano sequenza) tipici di Hollywood. Tuttavia Iñàrritu non ha in mente un semplice Blockbuster americano e perciò alterna dei momenti di azione pura ad alcuni più riflessivi ed aulici. Fa del protagonista il tipico eroe americano (deve badare al figlio amato dopo la morte della moglie) ed inserisce massime da biscotti della fortuna: "se c'è vento e vedi i rami di un albero pensi che cadrà, ma se vedi il tronco vedi la solidità".
Revenant è, quindi, un film tenuto in piedi da una fotografia eccezionale che conferma il genio di Lubezki, e da due interpretazioni magistrali, ma che fallisce nel creare un Blockbuster filosofico. Iñàrritu non è né George Miller né Malick e dovrebbe tornare ad essere se stesso e a fare film come Birdman o Amores Perros.
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arverso
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martedì 19 gennaio 2016
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recensione ineccepibile.
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(di gino64)
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_joe_
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giovedì 21 gennaio 2016
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come darti torto?!
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Sono stato attratto dal titolo e dopo dalle parole della tua recensione, proprio perché erano le stesse che mi balenavano in mente guardando il film, col senno di adesso più che mai, complimenti.
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doc malapaqt
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domenica 24 gennaio 2016
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jeremiah johnson
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D'accordo con chi ha scritto "Inarritu tra blockbuster e Malick". Vorrei ricordare il ben altro spessore che ha un film come "Corvo rosso non avrai il mio scalpo", Sydney Pollack (1972) [solo 102 minuti], sempre sui temi della wilderness. E del famoso rapporto tra "uomo e natura". Se "Revenant" lo si vuole fare rientrare nel genere "western", nel 2016, possiamo dire che, strada facendo, il regista si è perso diversi punti fermi del genere (anche da rivisitare), o no?. Ha introdotto qualcosa di nuovo sull'argomento?Curiosità: l'orso. Era vero? O era un trucchetto....e quello alle prese con l'orso, chi era?Qualcuno sa qualcosa?
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antonio montefalcone
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mercoledì 27 gennaio 2016
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nella voglia di vendetta la forza di riscattarsi
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"Revenant", storia vera tratta dal libro di Michael Burke, ci porta in una natura selvaggia e sconfinata e in una dura lotta fisica per la sopravvivenza per mostrarci gli indomabili effetti di sentimenti vitali, dall'amore genitoriale all'odio. Le atmosfere tragiche, i toni epici e una messinscena di crudo realismo e ruvida drammaticità, mirano al trionfo dello spettacolo, della tecnica e dello stile virtuosistico soprattutto di regia, fotografia (esalta la luce naturale dei paesaggi) e montaggio. Straordinario Di Caprio (finalmente molto papabile all’Oscar) che combatte contro tutto e tutti. Una pellicola di elevata qualità dunque che, però, al di là del notevole sforzo produttivo, della bellezza estetica e dell’esperienza visiva ipnotica, soffre di un mancato equilibrio tra “forma” e “contenuto” e non arriva mai veramente al cuore.
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"Revenant", storia vera tratta dal libro di Michael Burke, ci porta in una natura selvaggia e sconfinata e in una dura lotta fisica per la sopravvivenza per mostrarci gli indomabili effetti di sentimenti vitali, dall'amore genitoriale all'odio. Le atmosfere tragiche, i toni epici e una messinscena di crudo realismo e ruvida drammaticità, mirano al trionfo dello spettacolo, della tecnica e dello stile virtuosistico soprattutto di regia, fotografia (esalta la luce naturale dei paesaggi) e montaggio. Straordinario Di Caprio (finalmente molto papabile all’Oscar) che combatte contro tutto e tutti. Una pellicola di elevata qualità dunque che, però, al di là del notevole sforzo produttivo, della bellezza estetica e dell’esperienza visiva ipnotica, soffre di un mancato equilibrio tra “forma” e “contenuto” e non arriva mai veramente al cuore. La sceneggiatura è monocorde e limitata, ed è arida di scavi e appigli emotivi. E il film risulta così figurativamente raffinata, ma con un’anima fredda…
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pcologo
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mercoledì 3 febbraio 2016
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concordo
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Concordo, è un film spettacolare e ammirevole per la cura nell'ambientazione, tecnica di ripresa, ricostruzione d'ambiente, ma manca di pathos, non mi sono molto emozionato nel vederlo. Troppo monocorde, infatti il carattere più approfondito psicologicamente è quello del cattivo Tom Hardy; pieno di luoghi comuni sull'epopea western. Penso che Inarritu abbia dato il massimo con Birdman.
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redrose
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martedì 23 febbraio 2016
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di caprio senza speranza..
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Recensione perfetta...Complimenti! Le massime "da biscotto della fortuna"...filosofia cinese...ahah (me la rivendo subito). Verissimo tutto. E poi talmente anti-empatico che quasi quasi ti viene voglia di stare dalla parte di Tom Hardy...(sarà pure perché è un gran bel tipo). In ogni caso non per divagare, ma per me anche Birdman, molto sopravvalutato. Rimpiango film come 21 grammi o Babel.Di Caprio tra trucco e parrucco, al freddo e al gelo, se non vince stavolta..è meglio che va a vendere hot dog. Fotografia pazzesca. La natura è la vera protagonista e la fa da padrona. Sceneggiatura non pervenuta in Canada. Sarà per quello il lungo mutismo.
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