sam13
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venerdì 22 gennaio 2016
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maestoso
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Premetto che avevo sentito molto sul film, soprattutto su come era stato girato, interamente all'aperto e con solo luce naturale, in ambiente incontaminato che veniva realmente raggiunto in 3-4 ore dalla troupe. E te ne rendi davvero conto quando lo guardi, crepuscolo e alba che avanzano durante la scena nel silenzio bianco ovattato della neve. Inarritu promosso a pieni voti, come per Birdman vuole portare alla nostra attenzione un film particolare nel suo modo di essere (anche qui il ricorso a lunghi piani sequenza, come nella lotta con l'orso o nella scena dei bisonti), lasciando largo spazio per le riflessioni sull'uomo ed in particolare, in questo caso, sul concetto di bene e male, contrapponendo protagonista ed antagonista non proprio buoni e cattivi in senso assoluto.
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Premetto che avevo sentito molto sul film, soprattutto su come era stato girato, interamente all'aperto e con solo luce naturale, in ambiente incontaminato che veniva realmente raggiunto in 3-4 ore dalla troupe. E te ne rendi davvero conto quando lo guardi, crepuscolo e alba che avanzano durante la scena nel silenzio bianco ovattato della neve. Inarritu promosso a pieni voti, come per Birdman vuole portare alla nostra attenzione un film particolare nel suo modo di essere (anche qui il ricorso a lunghi piani sequenza, come nella lotta con l'orso o nella scena dei bisonti), lasciando largo spazio per le riflessioni sull'uomo ed in particolare, in questo caso, sul concetto di bene e male, contrapponendo protagonista ed antagonista non proprio buoni e cattivi in senso assoluto. Tom Hardy, che a me piace tantissimo, qui impersona l'antagonista, o meglio, il rivale di Di Caprio, un cacciatore che guarda al materiale e all'interesse personale e vive, o meglio "sopravvive" alla giornata. Leo, che, nonostante sia sempre un gradino sopra tutti, qui non sfodera la sua migliore performance verbale, lasciando spazio alla capacità espressiva e gestuale durante quasi tutto il film: un vero camaleonte, quantomeno per il fatto che per calarsi nella parte, tra le altre cose, si è dovuto pappare carne di bisonte, pur essendo vegetariano. A mio parere, non ci sono buoni e cattivi assoluti, ci sono interessi contrapposti, uno spaccato della realta, tante persone, tanti obbiettivi, tanti bisogni diversi che si scontrano e che portano a contrasti, rivalità che sfociano in violenza, dato anche il temperamento caldo degli uomini di quel periodo storico (siamo attorno ai primi del 1800). Come per Birdman, Inarritu ti mette li una cosa strana, rivoluzionaria, bella da vedere e che ti fa pensare, che ti obbliga a contestualizzare nella vita reale. Ultimo plauso al direttore della fotografia, Emmanuel Lubezki, che riesce ovviamente a catturare l'essenza dei paesaggi dove è stato girato il film, regalandoci quasi una cartolina, anzi un documentario su luoghi reali mozzafiato, sicuramente molto più affascinanti delle solite location cittadine in cui sono ambientati il 90% dei film in generale.
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jaylee
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domenica 24 gennaio 2016
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1823 odissea negli spazi
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1823, regione del Missouri, Hugh Glass (L. di Caprio) cacciatore e scout, viene attaccato da un orso durante una spedizione e quindi lasciato indietro col figlio e altri due compagni, tra cui il cacciatore Fitzgerald (T. Hardy), fino alla sua morte o guarigione… o una via di mezzo. The Revenant racconta la sua estrema, inenarrabile e solitaria odissea per tornare in mezzo ai suoi simili, e per vendicarsi di chi lo ha tradito.
Cominciamo dai punti di forza che sono davvero molti: innanzitutto la fotografia, veramente splendida, anche grazie alla magnifica ambientazione negli infiniti spazi dell’Alberta Canadese, selvaggia e stupenda come un paradiso terrestre, e valorizzata in modo eccellente dal regista.
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1823, regione del Missouri, Hugh Glass (L. di Caprio) cacciatore e scout, viene attaccato da un orso durante una spedizione e quindi lasciato indietro col figlio e altri due compagni, tra cui il cacciatore Fitzgerald (T. Hardy), fino alla sua morte o guarigione… o una via di mezzo. The Revenant racconta la sua estrema, inenarrabile e solitaria odissea per tornare in mezzo ai suoi simili, e per vendicarsi di chi lo ha tradito.
Cominciamo dai punti di forza che sono davvero molti: innanzitutto la fotografia, veramente splendida, anche grazie alla magnifica ambientazione negli infiniti spazi dell’Alberta Canadese, selvaggia e stupenda come un paradiso terrestre, e valorizzata in modo eccellente dal regista. Ci fa ricordare molto il Terence Malick di Nuovo Mondo, ambientato circa due secoli prima, eccezion fatta per la violenza, che qui è estremamente esplicita: in particolare, lo scontro con l’orso che debiliterà Glass è la scena di uno scontro con una belva la più feroce e realistica che si sia vista sullo schermo. Il che ci porta al secondo pregio del film: le interpretazioni di Di Caprio (probabilissimo il suo primo Oscar, fuor di dubbio) e di Hardy sono notevolissime, così come di tutto il cast che, per volere di Inarritu hanno davvero dovuto sottoporsi alle ordalie che si vedono nel film, il freddo, l’acqua gelida, il nutrirsi di carne cruda (Di Caprio è peraltro notoriamente vegetariano), dipingono come non mai l’estremo istinto di sopravvivenza di questi esseri umani, messi a repentaglio dalla natura e dai propri ferocissimi simili (con l’eccezione di una persona che però sarà ripagata nel peggiore dei modi. Ovviamente, i francesi sono dipinti malissimo in un film spagnolo-americano, anche in tempi di solidarietà occidentale). E se le scene di natura ci ricordano Malick, qui siamo nel regno di Into The Wild combinato al crudo realismo de La Passione di Cristo. Le ferite sono davvero impressionanti e per niente risparmiate al pubblico. Completa il tutto lo score musicale di Ryuichi Sakamoto, molto azzeccato e mai invadente, che si alterna perfettamente ai suoni della natura, combinandosi in modo davvero mirabile.
allora: è un bel film?
The Revenant è perfetto da quasi ogni punto di vista, immagini, musica, interpretazioni. Quello che vedi e senti è un’esperienza impressionante.
Ma se per “bello” si intende l’armonia della forma con quello della sostanza, la risposta è no, puro e semplice. La trama e lo sviluppo per oltre 2h30 di film è veramente ridotta al minimo, e dopo la sesta o la settima volta dove vedi Glass strisciare, cucirsi le ferite, cadere, rialzarsi, nell’acqua gelida, nella neve, a nutrirsi di quello che trova, allora la domanda sorge spontanea: “quando finisce?”. Ci spiace doverlo dire, ma un conto è la velocità del ritmo, un conto è la varietà del racconto. Nessuno si lamenta di 2001 Odissea nello Spazio, o La Sottile Linea Rossa o C’Era Una Volta In America, perché sono troppo lunghi e lenti, perché sono esperienze sensoriale E cerebrali fuori dal comune. Qui invece, diciamo la verità, succede molto poco (incredibile ma è così), e spesso ci si trova a sperare che Di Caprio si sbrighi ad arrivare in fondo per la più classica della resa dei conti (che non poteva essere diversamente), e per di più (vogliamo esser sinceri) un po’ scontata per come si risolverà.
Redivivo si, Rivedibile no. (www.versionekowalski.it)
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paolo salvaro
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domenica 24 gennaio 2016
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la furia della natura sconfitta dall'essere umano
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SPOILERS
Inarritu si ripresenta agli Oscar con l'ennesimo piccolo capolavoro, senza dubbio confezionato in modo imponente ed impossibile da guardare con indifferenza. Un ottimo film, che racconta una storia sulla quale era assai difficile riuscire a dire qualcosa di nuovo: un uomo viene lasciato in fin di vita dal cattivo di turno, riesce miracolosamente a sopravvivere e grazie alla propria straordinaria forza di volontà riesce a ritrovare il suo aguzzino e a vendicarsi di lui, per poi fissare lo spettatore negli occhi quasi a chiedere a noi stessi "e adesso cosa sarà di me?" Accanto a questo, una fotografia e delle ambientazioni da far paura che fanno guadagnare al film molti più punti di quanto forse effettivamente varrebbe di per sè, innalzandone vertiginosamente il livello: sulle prime pensavo vi fosse solo lo zampino di un'abbondante CGI, perchè era tutto davvero troppo bello per essere vero; viene quasi voglia di tuffarsi dentro lo schermo per toccare con mano l'ambiente circostante.
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SPOILERS
Inarritu si ripresenta agli Oscar con l'ennesimo piccolo capolavoro, senza dubbio confezionato in modo imponente ed impossibile da guardare con indifferenza. Un ottimo film, che racconta una storia sulla quale era assai difficile riuscire a dire qualcosa di nuovo: un uomo viene lasciato in fin di vita dal cattivo di turno, riesce miracolosamente a sopravvivere e grazie alla propria straordinaria forza di volontà riesce a ritrovare il suo aguzzino e a vendicarsi di lui, per poi fissare lo spettatore negli occhi quasi a chiedere a noi stessi "e adesso cosa sarà di me?" Accanto a questo, una fotografia e delle ambientazioni da far paura che fanno guadagnare al film molti più punti di quanto forse effettivamente varrebbe di per sè, innalzandone vertiginosamente il livello: sulle prime pensavo vi fosse solo lo zampino di un'abbondante CGI, perchè era tutto davvero troppo bello per essere vero; viene quasi voglia di tuffarsi dentro lo schermo per toccare con mano l'ambiente circostante. In realtà, il film è stato girato nella parte più occidentale del Canada proprio nei mesi invernali, quando la temperatura in quella zona del mondo si aggira intorno ai -30 gradi.
Elogiare la professionalità e gli sforzi fatti dalla troupe e dal cast per portare a termine questo progetto sarebbe riduttivo, così come è riduttivo encomiare lo straordinario senso di realismo che si avverte per tutto il tempo. Si riesce quasi a percepire palpabilmente la sofferenza di Glass, che pur non dicendo molto rimane sempre al centro dell'attenzione. Ricordo che un paio d'anni fa tra me e me pensai che nel Gravity di Cuaròn sarebbe stato quasi meglio non far dire una singola battuta ai vari attori, visto il contesto che vedeva troneggiare l'ambiente sull'uomo e qui in Revenant, pur pensando che forse qualche dialogo in più non sarebbe guastato vista la durata assai maggiore di questo film, si può applicare lo stesso ragionamento.
Per tutta la pellicola si assiste infatti al confronto tra la potenza furiosa ed inarrestabile della natura che domina costantemente la scena con i suoi meravigliosi ed incontaminati paesaggi e quella altrettanto furiosa di un essere umano che pur avendo già perso ogni cosa lotta strenuamente per sopravvivere. Un po' come infilare il Django di Corbucci (quello che si portava appresso la "cassa da morto") dentro Into The Wild (in cui la natura regna suprema), se ci si pensa. Una volta tanto però, ad avere la meglio sarà proprio l'uomo.
Con una fotografia eccellente, delle ambientazioni impressionanti, un ottimo casting e qualche tecnicismo di fondo da parte di Inarritu che non fa mai male, il quale dirige con la solita personalità, Revenant si candida a far man bassa di Oscar alla cerimonia di fine febbraio. E' dai tempi di Mankiewicz che vinse due oscar consecutivi per la miglior regia nel '50-'51 che ciò non succede: Inarritu potrebbe davvero eguagliare il suo record e quello di John Ford, anche perchè per il momento non ha degni avversari.
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fabiofeli
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lunedì 25 gennaio 2016
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"se respiri, continua a respirare"
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Attorno al 1820 nell’America del Nord Hugh Glass (Leonardo Di Caprio), vedovo di una donna Pawnee, con il figlio meticcio Hawk (Forrest Goodluck) guida un gruppo di cacciatori pelli. I guerrieri Arikara, vedendo minacciato il loro territorio, attaccano il campo dei “trapper” e i cacciatori sono costretti ad abbandonare le pelli già lavorate seppellendole e ad allontanarsi su una barca lungo il Missouri. Glass, esperto dei luoghi, durante l’avanscoperta per la via più sicura da percorrere per tornare al forte ha un incontro ravvicinato con un’orsa grizzly, una montagna che teme per i suoi cuccioli: incredibilmente soccombe alla lama di Glass dopo avergli inflitto ferite terribili.
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Attorno al 1820 nell’America del Nord Hugh Glass (Leonardo Di Caprio), vedovo di una donna Pawnee, con il figlio meticcio Hawk (Forrest Goodluck) guida un gruppo di cacciatori pelli. I guerrieri Arikara, vedendo minacciato il loro territorio, attaccano il campo dei “trapper” e i cacciatori sono costretti ad abbandonare le pelli già lavorate seppellendole e ad allontanarsi su una barca lungo il Missouri. Glass, esperto dei luoghi, durante l’avanscoperta per la via più sicura da percorrere per tornare al forte ha un incontro ravvicinato con un’orsa grizzly, una montagna che teme per i suoi cuccioli: incredibilmente soccombe alla lama di Glass dopo avergli inflitto ferite terribili. I compagni sono riluttanti a lasciare la loro guida e lo trascinano penosamente in barella lungo impervi sentieri di montagna. Ma le difficoltà del territorio gelato li costringe ad affidare la guida in gravi condizioni, Hawk ed un altro ragazzo a John Fitzgerald (Tom Hardy), con la promessa di una ricompensa di 300 dollari, se li riporterà indietro. John, col miraggio della somma, ingente a quell’epoca, uccide Hawk e convince l’altro ragazzo a seguirlo abbandonando Glass al suo destino. Ma Glass sopravvive; nei sogni la moglie gli ripete: “Se respiri, continua a respirare”. E Glass resiste alle sofferenze e al gelo notturno, infilandosi nella carcassa calda del cavallo che si è procurato ed è appena morto per una caduta vertiginosa. Cauterizza le ferite e si ciba di carne cruda di animali o di pesci. La sua forza d’animo fa balenare che tornerà ed avrà la sua vendetta su John, se le ferite infette o “indiani “ ostili non lo uccideranno prima …
Inarritu racconta in chiave realistica un periodo di storia americana non molto noto: le tribù indigene ostili e i traffici che con loro svolgevano avventurieri di ogni risma erano un ostacolo che si sommava alle difficoltà ambientali. Il lungo piano-sequenza iniziale dell’assalto degli Arikara è una sarabanda infernale, degna dei film di John Ford, che la cinepresa, vigile, coglie tra volare di frecce da ogni lato e rapidissimi duelli all’arma bianca. Lo stratagemma per sopravvivere alla notte di gelo incombente ricorda la concitazione di Dersu Uzala, il cacciatore siberiano di Kurosawa, con la tempesta in arrivo che rischia di ucciderlo e cosi il rapporto simbiotico con la natura, ostile se non la conosci, amica se interpreti i suoi segni e i suoi segreti. Ma le ispirazioni e le suggestioni sono tante non solo nel cinema, ma anche nella letteratura di Jack London. Di Caprio da tempo ha imparato a recitare e scolpisce un personaggio epico. Il paesaggio, stupendo (l’Alberta nel Canada e i monti dell’Argentina), è fotografato con luce naturale ed è a suo modo un personaggio importante. Un film da vedere.
Valutazione ***e 1/2
FabioFeli
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mediatouro
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lunedì 18 gennaio 2016
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revenant è una bomba.
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Revenant è una bomba.
Oggi essere originali è difficile, quasi impossibile nel cinema. Ogni storia è già vista e rivista.
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Revenant è una bomba.
Oggi essere originali è difficile, quasi impossibile nel cinema. Ogni storia è già vista e rivista.
Allora la soluzione, per gente cazzuta come Inarritu, sta nella forma. Sta nel mescolare immagini e suoni nel modo più intenso e coinvolgente possibile.
Sia chiaro, una certa predisposizione ci vuole. Fin da subito ti viene messo in chiaro che la violenza, più o meno celata, pervade tutto il film.
Una sanguinosa storia di vendetta, che più classica non si può, con il Buono pieno di valori, che tradito nel corpo e nell'onore, dà la caccia al Cattivo per eccellenza, quello stronzo bastardo e vigliacco (così tutti speriamo che venga preso).
Le luci sono incredibili, i paesaggi indescrivibili, le scene di combattimento iper-realistiche (non ci sono arti marziali, non ci sono mosse spettacolari, solo pura violenza), Di Caprio parla praticamente con gli occhi e Tom Hardy incarna alla perfezione l'infame più infame che c'è.
E poi c'è la Natura, quella vera, crudele, imparziale (tranne col protagonista), che assorbe ogni respiro, ogni schizzo di sangue, ogni passo e ogni pugno. Il valore aggiunto di due ore e mezzo di film.
Una semplice storia di vendetta. Ma come ho detto, a volte la bellezza della messa in scena batte l'originalità della storia. E in questa storia, ogni singolo fotogramma parla da sé. Spettacolare.
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volkrovi
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domenica 24 gennaio 2016
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revenant: non sono redivivo, ma pure determinato
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Ho visto il film da sola, il che mi ha dato una visione più completa, d'insieme.
La lentezza, forse, delle prime sequenze, sono utili a ciò che verrà dopo. L'azione c'è, presente, e si fa valere per quelo che le condizioni climatiche e di ripresa hanno concesso. Ben strutturato, non perde colpi se non, probabilmente a causa delle ripetitività di alcune situazioni di pericolo e certamente indispensabili allo sviluppo della storia, un poco dopo la metà del film stesso.
Ma Leonardo, a dispetto del mangiare pesce crudo, della febbre e polmonite veri, dell'infilarsi nella carcassa di un cavallo, è stato a mio parere insuperabile.
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Ho visto il film da sola, il che mi ha dato una visione più completa, d'insieme.
La lentezza, forse, delle prime sequenze, sono utili a ciò che verrà dopo. L'azione c'è, presente, e si fa valere per quelo che le condizioni climatiche e di ripresa hanno concesso. Ben strutturato, non perde colpi se non, probabilmente a causa delle ripetitività di alcune situazioni di pericolo e certamente indispensabili allo sviluppo della storia, un poco dopo la metà del film stesso.
Ma Leonardo, a dispetto del mangiare pesce crudo, della febbre e polmonite veri, dell'infilarsi nella carcassa di un cavallo, è stato a mio parere insuperabile.
La sua è interpretazione pura, un coinvolgimento che ti prende sin dalle sue prime battute, dai flashback di vita insieme al figlio e alla moglie, dal legame di profondo affetto con il figlio sul cui cadavere giura vendetta. Glass non vuole solo tornare alla civiltà dopo interminabili pericoli affrontati nel gelo della frontiera americana/canadese, Glass vuole vendicare il figlio ucciso, vuol far capire che pure abbandonato ormai prossimo alla morte non si arrende, non si arrenderà mai finchè non avrà ottenuto cià che vuole.
A dispetto delle cinque ore al giorno per applicare il trucco da ferita, dell'essere strapazzato da uno stuntman con il costume di un orso, delle basse temperature delle location, questo film vale tantissimo. Forse sarà di parte, alla fine, dicendo di aver amato la splendida regia dell'emergente ma ormai conosciuto, la fotografia, la scenografia e la colonna sonora, davvero significativa.
Il finale è forse quello che lascia un poco di amaro in bocca: una vendetta non ottenuta davvero se non per mezzo degli indiani, a lasciargli ancora il ricordo della moglie nel cuore e nella mente, la sua presenza che sino all'ultimo istante lo salva. Lo sguardo ultimo di un uomo distrutto dalla perdita e dagli eventi, quello riflesso negli occhi azzurri e vividi, così espressivi di Leonardo.
Così, per concludere, dopo Titanic, Il Grande Gatsby e The wolf of Wall Street, Di Caprio merita, questa volta davvero, il tanto agognato Oscar.
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gabrykeegan
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lunedì 25 gennaio 2016
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la volta buona per leo
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Quando un film è tratto da dei fatti realmente accaduti parte già con una marcia in più, soprattutto quando quello che si racconta è fatto di rivalsa e voglia di vivere.Il protagonista è intelligente e buono d'animo, è tanto americano quanto rispettoso delle comunità indigene, tanto da aver avuto un figlio proprio da una donna del posto e averlo difeso a costo di uccidere un ufficiale del suo paese.
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Quando un film è tratto da dei fatti realmente accaduti parte già con una marcia in più, soprattutto quando quello che si racconta è fatto di rivalsa e voglia di vivere.Il protagonista è intelligente e buono d'animo, è tanto americano quanto rispettoso delle comunità indigene, tanto da aver avuto un figlio proprio da una donna del posto e averlo difeso a costo di uccidere un ufficiale del suo paese. Allo stesso tempo è un uomo coraggioso e con una forza d'animo incredibile, tanto da resistere a qualsiasi tipo di vessazione, sia umana, che animale, che naturale. Una natura impervia che è protagonista a sua volta. Lande desolate fatte di terra bruta, neve incessante e torrenti dalla potenza straripante. La scenografia (del grande Jack Fisk) è infatti uno dei fiori all'occhiello di quest'opera in cui c'è la storia statunitense agli albori della sua unificazione - ma ancora piena di scontri e accordi con le diverse tribù pellerossa - e in cui le foreste ricoprono ancora gran parte del territorio. La telecamera di Iñárritu riprende sentieri nascosti, alberi maestosi e corsi d'acqua a volte impervi e a volte vie di salvezza. La presenza del regista è costante. È come se fosse sempre attaccato agli attori. Diventa protagonista stesso quando segue chi scappa, quando si sposta se arriva una freccia, quando si appanna l'obiettivo se Di Caprio respira affannosamente o quando si sporca di sangue se qualcuno viene ferito. Il montaggio sonoro dà il ritmo alla narrazione, con le amate percussioni del regista messicano a scandire l'arrivo di un pericolo, il soffio potente del vento che spazza via qualsiasi sensazione o il sibilo delle frecce e dei proiettili. Tutto accompagnato dalla musica mai esagerata della coppia giappo-tedesca Nicolai-Sakamoto.Una sceneggiatura scritta bene e perfettamente sviluppata in due ore e mezzo lunghe ma sempre (redi)vive, dove la tensione non cala mai e se lo fa è per far godere lo spettatore della meraviglia della natura o per focalizzarsi sul protagonista, sempre in lotta tra vita e morte.Ecco, proprio Leonardo Di Caprio è ciò su cui poi converge non solo l'attenzione mediatica esterna al film, ma anche tutto ciò che ruota intorno a lui nella storia. Barbona incolta, capelli lunghi e gli occhi azzurri messi in risalto rispetto a una fisicità quasi sempre nascosta da ingombranti pelli animali.Hugh Glass viene quasi ucciso dall'orso e si trova in un limbo fatto di sofferenza, sangue e sudore. Il freddo lo accompagna per tutto il film, ma con un obiettivo ben preciso, la forza dell'affetto per i cari e un mix di coraggio americano e saggezza indiana che gli permettono di compiere un'impresa assurda.La prova di Di Caprio è stata possibile grazie ad anni di esperienza attoriale, a una caparbietà fuori dal comune e soprattutto a una determinazione fisica che gli ha quasi fatto provare le stesse sensazioni del personaggio reale.Pur parlando poco - ha già parlato tanto in tutti i film precedenti - riesce a far provare emozioni anche solo spalancando gli occhi o allargando le narici per respirare meglio. La sofferenza del freddo e delle ferite gravi è resa in maniera impressionante tramite una precisione maniacale del trucco, a dei movimenti precisi e alla costruzione del personaggio fatta insieme alle disposizioni di Iñárritu. In giro con pellicce pesanti decine di chili, in mezzo alla neve, bagnandosi, correndo, strisciando, cavalcando, saltando, sporcandosi da capo a piedi di qualsiasi cosa, mangiando carne cruda e addirittura dormendo dentro la carcassa di un cavallo, non poteva fare niente di più per dimostrare ancora una volta che è uno dei più grandi attori di sempre.Un vero e proprio capolavoro che va vissuto come se si fosse di fianco agli operatori che hanno ripreso il tutto, che mescola sensazioni in un vortice di rude sofferenza, tecnica cinematografica sublime e poesia di natura e umanità che si tengono per mano e corrono verso l'olimpo della storia filmica.
Ps: menzione speciale anche per Tom Hardy, fantastico antagonista e meritevole dei migliori elogi per una performance messa in secondo piano solo dalla straordinaria prova fisica di Di Caprio. Ancora una volta mostruoso nel recitare perfettamente la parte del cattivo, con espressività unica e movenze che in pochi si possono permettere con quella carica espressiva.
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il monco
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domenica 31 gennaio 2016
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tous les hommes son sauvages
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Mi trovo sempre molto in disaccordo con le recensioni di Marianna Cappi che questa volta non è in grado di scrivere nemmeno correttamente il nome del regista.
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Mi trovo sempre molto in disaccordo con le recensioni di Marianna Cappi che questa volta non è in grado di scrivere nemmeno correttamente il nome del regista. Ma questo penso sia un problema mio.
Parliamo del film. Ho letto molte recensioni che tacciano il film di blockbusterismo, passatemi il termine, e non posso che essere più in disaccordo.
Partiamo da un punto fermo: la regia di Iñarritu e la fotografia di Lubienski sono ineccepibili e portano il film a livelli altissimi. E qui penso possiamo essere tutti d'accordo, perfino la Cappi.
La sceneggiatura allora è il punto debole? Potremmo dire di sì. Sicuramente non è la parte più innovativa, ma ciò non priva il film della sua liricità, di una profondità - forse non riesce ad arrivare a tutti - che sublima l'intreccio narrativo, che preso da solo è un inutile distillato.
"Tous les hommes son sauvages", tutti gli uomini sono selvaggi, che sembra quasi parodiare in qualche modo il sillogismo socratico "Tutti gli uomini sono mortali[...]", è uno dei messaggi chiave del film.
È il rumore di fondo della pellicola, è la legge naturale dei mercanti di pelli e degli Arakari della Louisiana del Nord. È la perdita dell'umanità che condanna Fitzgerald e Toussaint, uomini avidi e senza scrupoli.
Per Fitzgerald, Dio è uno scottaiaolo, un "figlio di puttana" a cui sparare per aver salva la pelle. Ogni principio, ogni moralità è sacrificabile sull'altare della cupidigia, della più bieca sopravvivenza, di un pezzo di terra texana al sicuro dagli indiani che ti fanno lo scalpo e da ogni rimorso di coscienza.
È questo il contrasto fondamentale su cui ruota tutto il film. È la lotta fra l'uomo e l'orso. Glass e Bridger si salvano perché riescono a preservare quell'umanità, quei principi, quei sentimenti che che la gelida Louisiana del Nord cerca in tutti in modi di sopprimere. È il vento che scuote i rami, ma non riesce a muovere il tronco. Quel vento che non può nulla contro radici profonde.
Le radici profonde dell'altruismo del protagonista che salva Powaka dalle lussuriose grinfie dei francesi, la coscienza del giovane volontario che evita la "sepoltura prematura" del compagno consentono ai due di respirare oltre l'ultimo fotogramma del film.
Nel panteismo molto malickiano di Iñarritu, la natura è una forza soggiogatrice, alla quale si sopravvive "facendo i morti con l'orso", nascondendosi nei suoi numerosi ventri, dove la vendetta è nelle mani di Dio e giace nei ruscelli gelati della Louisiana del Nord.
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[+] c'è un refuso nella recensione
(di il monco)
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[+] prima di criticare...
(di writer58)
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(di writer58)
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polpietromicale
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martedì 19 gennaio 2016
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il coraggio sta nel silenzio.
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Il coraggio sta nel silenzio. Oltre all'incredibile interpretazione di Leonardo di Caprio, Tom Hardy e tutto il resto del cast anno fatto un lavoro incredibile, soprattutto se si scopre la mole di lavoro durante le riprese. Ma detto questo l'importante è il contenuto finale e il contenuto finale dice che piace o non piace. Perchè è puro e dove c'è purezza molto spesso c'è incomprensione. Perchè questo film è pura arte e tocca il profondo, obbliga a chi lo guarda ad una riflessione continua, stimolando il pensiero e una profonda meditazione sul film e su se stessi grazie ai pochi dialoghi ma forti, accompagnati da una colonna sonora che respira, che si muove, che palpita e fa breccia dentro di noi.
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Il coraggio sta nel silenzio. Oltre all'incredibile interpretazione di Leonardo di Caprio, Tom Hardy e tutto il resto del cast anno fatto un lavoro incredibile, soprattutto se si scopre la mole di lavoro durante le riprese. Ma detto questo l'importante è il contenuto finale e il contenuto finale dice che piace o non piace. Perchè è puro e dove c'è purezza molto spesso c'è incomprensione. Perchè questo film è pura arte e tocca il profondo, obbliga a chi lo guarda ad una riflessione continua, stimolando il pensiero e una profonda meditazione sul film e su se stessi grazie ai pochi dialoghi ma forti, accompagnati da una colonna sonora che respira, che si muove, che palpita e fa breccia dentro di noi. Grazie alla regia formidabile e alla fotografia del film siamo trasportati in una terra desolata, soli con noi stessi e ci porta a non poter fare a meno di essere scossi da tanta bellezza. E' uno di quei film che lascia perplessi dall'inizio alla fine. E che scopre la sua vera importanza soprattutto quando esso è finito e il suo riverbero continua a tracciare qualcosa di forte nella nostra persona.
Quindi, risulta chiaramente difficile da apprezzare fino in fondo da chi ha fretta di giudicare, da chi non sopporta l'idea di sedersi e riflettere, da chi soprattutto ha bisogno del rumore continuo invece che della profonda calma. Ma per chi invece, e possono farlo tutti, riesce a vederci dentro, esso diventa per l'appunto un punto fermo, che smuove e che, dopo lo shock iniziale ti manca, perchè ti ha preso, e ha rubato per qualche momento una parte di te con l'incredibile silenzio di quelle scene condite dai bellissimi paesaggi, dalle grandi scene, dalla forte espressività dei personaggi. Tutto ha un significato, ogni fotogramma, dagli alberi, alle montagne, al fiume, alle parole minuziosamente diffuse. Te ne innamori conoscendolo, esplorandolo e esplorandoti.
In ogni film c'è un difetto, e cercarne a tutti i costi uno è la sintesi del mondo cinico di oggi. Molti diffetti raccontati non sono altro che il volere del regista nel raccontare una storia scarna raccontandola così come vuole essere. Senza troppo o troppo poco.
Inàrritu non ha bisogno di dare altro in questo film che non sia l'essenziale, in un periodo cinematografico costellato da miriadi di film belli ma anche da una miriade di film che appaiono superficiali, costuiti da dialoghi forzati, combattimenti continui, in una disperata ricerca dell'epico col minimo sforzo. Questo film tenta il distacco da essi e ci riesce. Va oltre il meglio, e il bello. Va oltre al voler apparire.
Forse, si è dimenticato che la semplicità può essere la chiave di tutto. Questo film merita di essere considerato un capolavoro per le scelte coraggiose su qui è basato. Per l'intimo legame che forma con lo spettatore. Non è forse questo lo scopo del cinema? Al di là dei soldi, al di là del consumismo il cinema non è forse nato per essere arte? Per Comunicare? Perchè questo film, per fare un eufenismo, lo fa piuttosto bene.
Perchè in fondo il Cinema è ancora vivo, benchè delle volte possa sembrare in crisi. Perchè nel mezzo di una tempesta, se guardi i rami di una albero giureresti che stia per cadere, ma se guardi il suo tronco ti accorgerai di quanto sia stabile.
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corazzata potiomkin
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giovedì 21 gennaio 2016
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l'oscar va solo a madre natura
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Il film è tutto, e direi anche troppo, costruito intorno alla figura del protagonista, interpretato dallo straordinario Leonardo Di Caprio. Se posso osare, direi che l'operazione mi ricorda in qualche modo le ultime partite di campionato delle squadre che, non avendo più obbiettivi di classifica, scendono in campo al solo scopo di far segnare il proprio centravanti per fargli vincere la calssifica capo-cannonieri.
Nella fattispecie questo film mi sembra pensato, progettato e girato con l'unico obbiettivo di far vincere l'oscar a Di Caprio. Il risultato è l'ennesinma grande prova del "centravanti", ma questa volta al servizio di una "partita" modetsa, cioè di un film, a mio parere, davvero povero di idee e di spunti.
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Il film è tutto, e direi anche troppo, costruito intorno alla figura del protagonista, interpretato dallo straordinario Leonardo Di Caprio. Se posso osare, direi che l'operazione mi ricorda in qualche modo le ultime partite di campionato delle squadre che, non avendo più obbiettivi di classifica, scendono in campo al solo scopo di far segnare il proprio centravanti per fargli vincere la calssifica capo-cannonieri.
Nella fattispecie questo film mi sembra pensato, progettato e girato con l'unico obbiettivo di far vincere l'oscar a Di Caprio. Il risultato è l'ennesinma grande prova del "centravanti", ma questa volta al servizio di una "partita" modetsa, cioè di un film, a mio parere, davvero povero di idee e di spunti.
Meritevoli la scena iniziale dell'agguato dei Kirikawa e quella successiva dell'attacco dell'orso, poi solo tanti sbadigli.
Di Caprio l'Oscar lo avrebbe stra-meritato per Shuutter Island, per The Wolf of Wall Street e soprattutto, secondo me, per "Il Grande Gatsby". Ma ogni volta glielo hanno negato e queto è stato un errore. Questo film, a mio parere scadente, è un po' il frutto avvelenato di quell'errore
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