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Moretti: «Il Papa? È l'ultimo dei miei problemi»

Presentato Habemus Papam, tra Cannes e il Vaticano.
di Ilaria Ravarino

Il cast di Habemus Papam al photocall del film.
Nanni Moretti (Giovanni Moretti) (71 anni) 19 agosto 1953, Brunico (Italia) - Leone. Regista del film Habemus Papam.

giovedì 14 aprile 2011 - Incontri

E chi c’è ancora? Posso saperlo? Qualcuno mi dice qualche altro nome? Non lo sapete? Malick? Almodovar? Chi altro? Non avete notizie fresche, voi?»: conferenza stampa con (mezza) sorpresa a Roma per Nanni Moretti, che ha appreso in diretta da un giornalista la notizia che il suo Habemus Papam sarà in concorso nella prossima edizione del Festival di Cannes. Un segreto di Pulcinella, già da tempo sussurrato nei corridoi della Sacher Film, diventato realtà e non senza una certa apprensione: «A Cannes sono stato tante volte, persino con Ecce Bombo, in concorso, 33 anni fa – ha detto a caldo il regista - Non so che dire, spero che il Festival aiuti il cammino internazionale del film». Già venduto in Polonia, dove è atteso da più di 37 milioni di fedeli come film-monumento al Papa che fu, Habemus Papam rappresenterà l’Italia a Cannes insieme a This Must Be The Place di Paolo Sorrentino.

Moretti, il suo film che immagine trasmetterà dell’Italia ai francesi?
I francesi possono pensare quello che vogliono dell’Italia. Non aspettano certo un mio film per sapere qualcosa del nostro paese.

Con Il Caimano portò a Cannes la politica italiana. Con Habemus Papam la Chiesa: perché?
Non è che io senta il dovere di raccontare ai francesi, attraverso i miei film, cosa stia succedendo da noi. Facendo pochi film, capita che il sentimento che provo nei confronti di quel che mi circonda prenda forma nei soggetti che scrivo, o nei personaggi, nelle atmosfere. Nessun ripensamento politico: dieci anni fa volevo raccontare una famiglia spezzata e ho fatto La stanza del figlio, cinque anni fa con Il Caimano volevo parlare di un produttore di film di serie B alle prese con un’esordiente, oggi voglio raccontare la storia di un Papa.

Secondo i fedeli polacchi, il suo film parlerebbe di Wojtyla…
Ci sono accenni a quel Papa, le immagini di repertorio durante i titoli si riferiscono al suo funerale. Ma non ci sono altri agganci alla cronaca vaticana, come non c’è alcun riferimento agli scandali che hanno travolto la Chiesa e di cui leggevamo sui giornali mentre scrivevamo il film.

Perché ha chiamato il suo Papa Melville?
Perché quando ho diretto il Festival di Torino c’era una retrospettiva su Melville. Sono affezionato a quel nome.

Che reazioni si aspetta dal Vaticano?
Non penso a nessun tipo di pubblico quando giro. Quando ho fatto La stanza del figlio non ho pensato al pubblico degli psicanalisti. Diciamo che il Vaticano non è tra i primi 500 problemi che ho in questi giorni.

Le piacerebbe che il Papa vedesse il suo film?
Se vuole, può farlo.

Qual è la sua opinione sul Papa attuale? Lo trova una guida adeguata?
Rispondo con il mio film: dico solo che nella scena in cui il mio Papa si affaccia al balcone, la folla dei fedeli è felice delle sue parole. Le condivide.

Le interessava più raccontare la fragilità di un uomo o quella della Chiesa?
La mia intenzione era quella di raccontare un personaggio fragile che si sente inadeguato di fronte al potere e al ruolo che deve ricoprire. Il tutto però all’interno di una commedia. E volevo raccontare anche altri personaggi, il mio per esempio, e altre situazioni come quella del teatro.

Il suo film però dà una lettura amara del rapporto tra Chiesa e fedeli.
È demagogico dirlo, ma quasi ogni lettura è lecita. Ogni spettatore è diverso dagli altri, e interpreterà il film in modo diverso. Penso che tutti quelli che vengono eletti Papa si sentano inadeguati di fronte all’enorme compito che li aspetta, e quel tipo di emozione al cinema va raccontata con misura. Non puoi essere troppo duro né troppo morbido.

A chi consiglierebbe un percorso interiore come quello affrontato dal suo Papa?
A tutti noi. La critica nei confronti di se stessi, se non diventa autodistruttiva, porta al miglioramento. D’altra parte, e io lo so bene, l’eccesso di critica conduce alla paralisi.

La psicanalisi non sembra aiutare molto…
No, però quello della psicoanalisi è un tema che torna spesso nei miei film. Prima o poi dovrò chiedermi perché.

A proposito del suo personaggio: quanto c’è di autobiografico?
C’è molto di me in tutti e due i personaggi, nello psicanalista e nel Papa. Fin dall’inizio sapevo che non avrei interpretato il Papa, nonostante tutti gli amici pensassero che avrei dovuto farlo io. Quello era un personaggio scritto per un altro attore, con un’altra età. Quando ho visto per la prima volta tutto il film per intero, mi sono accorto non solo di quanto fosse bravo Michel Piccoli in quel ruolo, ma anche quanto avesse regalato alla pellicola e al personaggio.

Vi siete serviti di consulenti ecclesiastici durante la scrittura del film?
Abbiamo avuto un consulente che ci ha aiutato per il giuramento delle guardie svizzere. Poi abbiamo letto alcuni libri e visto documentari sul conclave e sul Vaticano.

Vi siete sentiti molto vincolati alla verosimiglianza dei rituali vaticani?
Sui rituali ci siamo informati molto, la processione al conclave è piuttosto realistica, e abbiamo studiato le percentuali di vescovi e cardinali non europei in Vaticano. In fase di scrittura poi ci siamo fatti venire degli scrupoli da pazzi: i cardinali in conclave possono bersi un tè? Se sì, chi glielo porta? Come fa a entrare? Volevamo inoltre che anche tra le comparse ci fossero rappresentanti di più continenti, e con loro abbiamo lavorato moltissimo: molte delle figurazioni, soprattutto fra gli stranieri, sono attori non professionisti.

E le location? È vero che il Vaticano non ve le ha concesse?
Il Vaticano ci ha permesso di girare in Piazza San Pietro, previa lettura della sceneggiatura da parte dell’allora Ministro della Cultura vaticano. Chiedemmo di fare qualche ripresa nel Palazzo della Cancelleria ma non è stato possibile, quindi abbiamo ricostruito a Cinecittà la cappella Sistina e la sala règia, e abbiamo usato alcuni palazzi del ‘500 di Via Giulia e Villa Medici per la sala della colazione e la sala della conferenza stampa. Il giuramento delle guardie svizzere lo abbiamo fatto a Villa Lante a Bagnaia, mentre Palazzo Farnese l’abbiamo letteralmente occupato con comparse e troupe per più di tre settimane. Sono stati tutti molto disponibili, i francesi.

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