danilodac
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martedì 6 aprile 2010
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gran torino- il mondo in un quartiere
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Sopravvissuto alla guerra di Corea, Walt Kowalski ha fatto dell’odio verso i “diversi” la sua ragione di vita e vive ormai isolato dal mondo, pronto a scagliarsi contro chiunque oltrepassi il suo territorio. I suoi unici interessi sono: il suo cane, la birra e una Ford Gran Torino del 1972 che custodisce con una cura maniacale. Dopo aver salvato Thao, un giovane ragazzo della famiglia dei suoi vicini di casa Hmong, dalle mani di un branco di teppisti fannulloni, sarà costretto (ironia della sorte) a fare i conti con la propria coscienza e ad accettare il confronto, le differenze e le tradizioni degli “altri”, simili ad esso più di quanto egli creda.
Il 30° lungometraggio di Eastwood regista mette in scena la crisi esistenziale di un uomo e il suo tragico, tormentato rapporto con la propria anima, evidenziando i demoni di quella che è forse la componente americana più intrisa di sangue in assoluto: l’orgoglio.
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Sopravvissuto alla guerra di Corea, Walt Kowalski ha fatto dell’odio verso i “diversi” la sua ragione di vita e vive ormai isolato dal mondo, pronto a scagliarsi contro chiunque oltrepassi il suo territorio. I suoi unici interessi sono: il suo cane, la birra e una Ford Gran Torino del 1972 che custodisce con una cura maniacale. Dopo aver salvato Thao, un giovane ragazzo della famiglia dei suoi vicini di casa Hmong, dalle mani di un branco di teppisti fannulloni, sarà costretto (ironia della sorte) a fare i conti con la propria coscienza e ad accettare il confronto, le differenze e le tradizioni degli “altri”, simili ad esso più di quanto egli creda.
Il 30° lungometraggio di Eastwood regista mette in scena la crisi esistenziale di un uomo e il suo tragico, tormentato rapporto con la propria anima, evidenziando i demoni di quella che è forse la componente americana più intrisa di sangue in assoluto: l’orgoglio. E’ l’orgoglio di essere un americano che spinge Walt Kowalski a rannicchiarsi nel suo habitat, insultando ed inveendo contro qualsiasi individuo che non gli appartenga. La sua, infatti, è una guerra ancora aperta; una ferita che non vuole rimarginarsi neanche quando, in prossimità della vecchiaia, la sua vita non ha ancora un significato e il suo mondo si riduce ai confini di un prato ben curato ma deserto.
Illuminato splendidamente dalla fotografia di Tom Stern, si respira l’aria di una felicità soffocata nel film, in bilico tra la speranza di un futuro migliore e la rassegnazione al proprio stile di vita. Ancora una volta nei film del regista americano, è il passato a condizionare la vita di un uomo e le sue azioni. E’, infatti, sotto le mentite spoglie di un thriller, un’amara parabola sull’America di ieri, animata da tribolazioni, dalla cui bandiera gronda ancora del sangue, e su quella di oggi, spiazzata e annichilita dal sangue di ieri, il cui futuro è ancora incerto, costantemente sull’orlo di un insondabile abisso. In questo film dove l’America è composta da tutti (polacchi, italiani, asiatici), si dà l’idea di una nazione dal cuore di tenebra contaminato da più razze, tradizioni, ideologie.
Attraverso lo sguardo disincantato del protagonista, Eastwood costruisce, grazie al funzionale apporto di una semplice, asciutta, spoglia eppur efficace struttura stilistico-narrativa, un film ricco di simmetrie e antinomie, tutte rivolte verso la riuscita caratterizzazione di un mondo alla deriva, senza una vera e propria guida morale che ne stabilisca i toni e il carattere, instaurando la consapevolezza di abitare in un universo dominato dall’odio e dal dolore.
Sorretto da un tono sarcastico, dissacrante e blasfemo nella sua pacata furia ribelle, opta per certi codici filmici classici e moderni al tempo stesso, frutto di un’esperienza registica qui portata ad un livello di veterana abilità, capace di integrare perfettamente il genere del thriller americano con l’approfondimento psicologico dei personaggi. Eastwood non altera il suo inconfondibile stile; con il suo ritmo disteso, l’affetto per i personaggi, la complessa semplicità, lascia allo spettatore il tempo e lo “spazio” di commuoversi, arrabbiarsi, rifiutare e immaginare; ne cava, così, un dramma di dolente intensità e risalto figurativo, che adotta, sotto la duplice insegna di vita e morte, una stratificata poetica dei contrasti che trova il suo apice nel memorabile finale. Racconto di formazione o tragedia morale? Forse tutti e due.
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elenã²
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venerdì 2 aprile 2010
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carico di significati
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Insegna tanto senza essere banale. Da vedere per imparare cosa significhi vivere tra culture diverse.
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annalinagrasso
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giovedì 25 marzo 2010
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dramma della vita e della morte.
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Gran Torino è semplicemente un capolavoro, capace di fare emozionare, commuovere e allo stesso tempo riflettere lo spettatore senza facili sentimentalismi e dialoghi strappalacrime, in quanto assume come polo di riferimento l’essere umano,la sua vulnerabilità,la sua precarietà e la revocabilità,connesso alla sfera della responsabilità: l’uomo non è in nulla superiore agli altri esseri viventi e ai suoi simili,eccetto che per poter essere solo lui il responsabile per la salvaguardia del loro essere fini a sé stessi;l’archetipo di ogni responsabilità è quello dell’uomo per l’uomo intesa come un valore unilaterale (per citare la teoria sulla responsabilità del filosofo Jonas) E Kowalski si sacrifica per garantire la felicità a Thao e alla sua famiglia, ma la garanzia per il raggiungimento della felicità, richiede la presenza di un diritto in grado di tutelare la libertà dell’uomo che la garantisce.
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Gran Torino è semplicemente un capolavoro, capace di fare emozionare, commuovere e allo stesso tempo riflettere lo spettatore senza facili sentimentalismi e dialoghi strappalacrime, in quanto assume come polo di riferimento l’essere umano,la sua vulnerabilità,la sua precarietà e la revocabilità,connesso alla sfera della responsabilità: l’uomo non è in nulla superiore agli altri esseri viventi e ai suoi simili,eccetto che per poter essere solo lui il responsabile per la salvaguardia del loro essere fini a sé stessi;l’archetipo di ogni responsabilità è quello dell’uomo per l’uomo intesa come un valore unilaterale (per citare la teoria sulla responsabilità del filosofo Jonas) E Kowalski si sacrifica per garantire la felicità a Thao e alla sua famiglia, ma la garanzia per il raggiungimento della felicità, richiede la presenza di un diritto in grado di tutelare la libertà dell’uomo che la garantisce. La massima libertà umana quindi deve essere fondata su leggi e valori morali in grado di tutelare questa stessa libertà che costituisce un limite alla libertà del singolo a favore degli altri. E nel caso di Kowalski la libertà è fondata in primis dal valore e dal senso di giustizia molto forte in lui, (ed ovviamente è in relazione al sincero affetto che nutre per Thao),dal quale restano fuori la legge e i precetti cristiani (rappresentati da Padre Janovich).
Il tutto raccontato in maniera immediata, senza retorica, violenza gratuita e con coerenza stilistica che rispecchia perfettamente la coerenza morale del protagonista; quello stile ormai
inconfondibile, lo stile eastwoodiano.
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g_andrini
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venerdì 12 marzo 2010
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ironico, quasi comico, ma...
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...con risvolti drammatici. Potrebbe apparire come la solita presa in giro dei repubblicani, ma si spinge al di là. Violenza porta violenza, non si può scappare da questa legge più o meno scritta. Il finale è bello, pieno di poesia, anche se sa di retorica compassionevole. Questa pellicola non fa altro che fotografare il mondo per quello che è...
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el tronco
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lunedì 8 marzo 2010
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old cowboy, young heart
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Il vecchio Clint si conferma, dopo averci regalato pellicole del calibro di “Mystic River” e “Million Dollar Baby”, tanto per citarne alcune, uno dei più grandi registi (e interpreti) viventi.“Gran Torino”, segna il proseguimento della sua cine-meditazione sociologica/filosofica/metafisica sulla civiltà odierna. Una meditazione che oggi, con questa sua nuova uscita, si è fatta sociologica in primis, dato che il film comincia a strutturarsi trattando della diffidenza e del pregiudizio verso ciò che (apparentemente) non fa parte di noi, incarnato qua nel vicino dagli occhi a mandorla. Ma dire che il regista si è fermato a questo punto, sarebbe riduttivo, e non possiamo ignorare i continui riferimenti alla solitudine senile e allo scetticismo religioso, per non parlare della psicologia da reduce di guerra, che offrono interessanti spunti dell' Eastwood-pensiero.
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Il vecchio Clint si conferma, dopo averci regalato pellicole del calibro di “Mystic River” e “Million Dollar Baby”, tanto per citarne alcune, uno dei più grandi registi (e interpreti) viventi.“Gran Torino”, segna il proseguimento della sua cine-meditazione sociologica/filosofica/metafisica sulla civiltà odierna. Una meditazione che oggi, con questa sua nuova uscita, si è fatta sociologica in primis, dato che il film comincia a strutturarsi trattando della diffidenza e del pregiudizio verso ciò che (apparentemente) non fa parte di noi, incarnato qua nel vicino dagli occhi a mandorla. Ma dire che il regista si è fermato a questo punto, sarebbe riduttivo, e non possiamo ignorare i continui riferimenti alla solitudine senile e allo scetticismo religioso, per non parlare della psicologia da reduce di guerra, che offrono interessanti spunti dell' Eastwood-pensiero. Temi “pesanti”, temi che il protagonista affronta inizialmente con un atteggiamento chiuso,ombroso, ma che, come in un romanzo di formazione in versione terza età, progressivamente ha modo di comprender meglio, per così giungere a una posizione agli antipodi da quella di partenza. Senza tediar troppo lo spettatore, grazie a parentesi ironiche sparse qua e là (Eastwood pare faccia il verso a numerosi personaggi che ha interpretato quando fa il gesto della pistola con la mano), ma non riuscendo a evitare di scivolare in qualche grossolana forzatura, vedi i figli di Kowalsky: così cinici e occasionasti, ai limiti delle caricature familiari de “I Simpson”. Da buon cowboy, Eastwood sa bene come aggiungere pepe alla sceneggiatura, e lo si avverte bene nell'ultima, cavalcante, mezz'ora, e il disattendere una conclusione alla “Gli Spietati”, nella forma ma non nella morale, gli rende onore. Forse è un film più “facile” di altri che ha fatto, ma il messaggio di speranza che ci lascia quando scorrono i titoli di coda è fortissimo, come poche altre volte nella sua filmografia .
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soles
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domenica 28 febbraio 2010
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gran torino - grande clint
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Le cose da dire sarebbero un fiume.
Dico solo che Clint si conferma il miglior attore-regista vivente.
La sua capacità di scavare nell'animo alle prese col dolore della vita (e le sue gioie, pure) è rarissima (unica el suo genere: é Clint).
Il film è splendido, sotto ogni punto di vista.
La tensione cresce dall'inizio alla fine, senza pause.
Le battute sono da antologia (Clint fa il verso a se stesso: quanti attori o registi hanno potuto farlo?).
E, sorpresa, in questo film il sacrificio genera vita, dà speranza di vivere.
Il rapporto paterno con Tao è condizione irrinunciabile perchè quest'ultimo impari a stare al mondo, e perché impari che la vita è una cosa seria (si notino a tal riguardo i contrasti luce-tenebre quasi caravaggeschi, tipici del cinema di Clint).
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Le cose da dire sarebbero un fiume.
Dico solo che Clint si conferma il miglior attore-regista vivente.
La sua capacità di scavare nell'animo alle prese col dolore della vita (e le sue gioie, pure) è rarissima (unica el suo genere: é Clint).
Il film è splendido, sotto ogni punto di vista.
La tensione cresce dall'inizio alla fine, senza pause.
Le battute sono da antologia (Clint fa il verso a se stesso: quanti attori o registi hanno potuto farlo?).
E, sorpresa, in questo film il sacrificio genera vita, dà speranza di vivere.
Il rapporto paterno con Tao è condizione irrinunciabile perchè quest'ultimo impari a stare al mondo, e perché impari che la vita è una cosa seria (si notino a tal riguardo i contrasti luce-tenebre quasi caravaggeschi, tipici del cinema di Clint).
Grazie, Clint
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tomwaits
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sabato 13 febbraio 2010
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piccolo grande capolavoro
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due funerali e in mezzo una lezione di vita. eastwood ci regalo il suo ennesimo capolavoro. un film sul razzismo e sulla violenza sull'amore e l'amicizia. un capolavoro da vedere e rivedere
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chriss
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martedì 2 febbraio 2010
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sotto il segno di clint...
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" Dio Santo, ho più cose in comune con questi musi gialli che con quei depravati della mia famiglia...Cristo Santo." Clint Eastwood, da sempre il mio idolo già dai tempi di " Per un pugno di dollari ", è un tipo tosto e con questo film ha fatto di nuovo centro. Di lui si può dire che non sia stato un attore di primissimo livello come Al Pacino o Robert De Niro. Ma, non si può, di certo, discutere il suo talento di regista. In questa pellicola interpreta lo scontroso e razzista Walt Kowalsky, un reduce di guerra di Corea che ha appena perduto la moglie. Vive da solo in periferia assieme al suo cane Dasy, occupandosi della casa e del giardino, come ogni buon americano.
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" Dio Santo, ho più cose in comune con questi musi gialli che con quei depravati della mia famiglia...Cristo Santo." Clint Eastwood, da sempre il mio idolo già dai tempi di " Per un pugno di dollari ", è un tipo tosto e con questo film ha fatto di nuovo centro. Di lui si può dire che non sia stato un attore di primissimo livello come Al Pacino o Robert De Niro. Ma, non si può, di certo, discutere il suo talento di regista. In questa pellicola interpreta lo scontroso e razzista Walt Kowalsky, un reduce di guerra di Corea che ha appena perduto la moglie. Vive da solo in periferia assieme al suo cane Dasy, occupandosi della casa e del giardino, come ogni buon americano. Possiede una Ford Gran Torino che custodisce con gran cura in garage. Ha un pessimo rapporto coi suoi due figli, spece con Mitch, che sembra più interessato alla casa o ai beni del padre. Quello che caratterizza maggiormente Walt Kowalsky è il suo astio per i musi gialli ( come li chiama lui ), che aveva, tanti anni prima, combattuto in Corea. Sarà proprio una famiglia Hmong a cambiargli la vita, in particolare Sue e Thao, che diventeranno inverosimilmente suoi amici. Walt cercherà di salvare la pelle di Thao da una banda di teppisti locali, ma il prezzo che pagherà sarà altissimo...Questo film tocca dei tasti dolenti della società americana: l' odio, il razzismo, la diversità in genere. Il buon vecchio Clint Eastwood non è mai stato banale quando ha personalmente girato una sua creatura cinematografica: gli ultimi successi al botteghino ( e di critica) lo dimostrano. Non a caso ha vinto diversi premi, sia in patria che all' estero. La bellezza di questa opera sta nella redenzione di Walt, il quale sotterrerà l' ascia di guerra in nome della pace e dell' amicizia coi giovani fratelli coreani. Ottimo film davvero: sotto il segno di Clint, il mio idolo di sempre...
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annalinagrasso
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mercoledì 27 gennaio 2010
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semplice capolavoro sul dramma della vita
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Come vive un uomo vecchio,solo,dopo la morte di sua moglie,che ha combattuto nella guerra in Corea,in un quartiere del Middle West abitato da una famiglia asiatica?Quale potrebbe essere il suo pensiero sulla vita e sulla morte,la sua concezione del bene e del male?
Sembra quasi che Walt Kowalski (Eastwood) sappia più della morte che della vita;è un uomo strano,burbero,scontroso,spavaldo,
razzista,non ha rapporti con i membri della sua famiglia,che considera dei depravati(lo allontanano dai suoi figli persino i gusti automobilistici,il modo di vestire e i comportamenti impertinenti dei suoi nipoti),rifiuta l’aiuto di un prete che vorrebbe confessarlo e odia
i suoi vicini di casa,un gruppo di Hmong che egli chiama con disprezzo e indistintamente “musi gialli”.
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Come vive un uomo vecchio,solo,dopo la morte di sua moglie,che ha combattuto nella guerra in Corea,in un quartiere del Middle West abitato da una famiglia asiatica?Quale potrebbe essere il suo pensiero sulla vita e sulla morte,la sua concezione del bene e del male?
Sembra quasi che Walt Kowalski (Eastwood) sappia più della morte che della vita;è un uomo strano,burbero,scontroso,spavaldo,
razzista,non ha rapporti con i membri della sua famiglia,che considera dei depravati(lo allontanano dai suoi figli persino i gusti automobilistici,il modo di vestire e i comportamenti impertinenti dei suoi nipoti),rifiuta l’aiuto di un prete che vorrebbe confessarlo e odia
i suoi vicini di casa,un gruppo di Hmong che egli chiama con disprezzo e indistintamente “musi gialli”.Le uniche sue passioni sono il suo labrador Daisy,la birra e soprattutto la sua auto Gran
Torino 1972 che ammira compiaciuto dalla sua veranda. Ma proprio
quando sorprende il timido e impacciato figlio dei suoi vicini,Thao,intento a rubare l’auto( come prova di rito di iniziazione voluto da una banda di teppisti,anch’essi asiatici,capeggiata da suo cugino),la rabbia e il disprezzo,lasciano il posto,prima all’indifferenza,poi alla curiosità per il “diverso”ed infine ad un sentimento di protezione nei confronti di Thao.Tutto ciò avviene anche grazie all’affabile Sue,sorella di Thao,più intraprendente e sveglia rispetto al fratello, la quale spiega a Kowalski che gli Hmong
sono emigrati in massa negli Stati Uniti proprio in seguito all’appoggio dato a questi durante la guerra del Vietnam e che in realtà conosce poco la loro popolazione e le sue origini.
Gran Torino è semplicemente un capolavoro, capace di fare emozionare, commuovere e allo stesso tempo riflettere lo spettatore senza facili sentimentalismi e dialoghi strappalacrime, in quanto assume come polo di riferimento l’essere umano,la sua vulnerabilità,la sua precarietà e la revocabilità,connesso alla sfera della responsabilità: l’uomo non è in nulla superiore agli altri esseri viventi e ai suoi simili,eccetto che per poter essere solo lui il responsabile per la salvaguardia del loro essere fini a sé stessi;l’archetipo di ogni responsabilità è quello dell’uomo per l’uomo intesa come un valore unilaterale (per citare la teoria sulla responsabilità del filosofo Jonas).
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giaky
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martedì 26 gennaio 2010
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clint eastwood ritorna con un capolavoro
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Dopo Million Dollar Baby, Clint torna a lavorare dietro e davanti la macchina da presa, tornando sul grande schermo con un capolavoro forte, intenso ed emozionante come pochi. Nient'altro daaggiungere: Clint è nato per il ruolo che interpreta in questo gioiello del cinema. Gran film. Il migliore tra quelli che ha fatto, a parer mio.
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