eceriz
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sabato 9 gennaio 2010
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dritto al cuore del problema
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Emozionante e commovente, un grande Clint Eastwood nel ruolo principale.
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g. romagna
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sabato 19 dicembre 2009
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gioiello dei nostri tempi
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Brillante, commovente -ma mai retorico- e costruito magistralmente nel delineare la personalità di un personaggio che gradualmente rompe il muro della sua chiusura e fa sì che in lui si possa riconoscere anche lo spettatore che, da subito, non poteva che provare repulsione per un individuo del genere: è proprio qui che scatta la magia del film, in quella simpatia che man mano si è portati a provare nei confronti di Walt pur essendo egli in realtà, nel corso della narrazione, cambiato ma sempre rimasto quello di prima -fulminanti nella loro ironia e significatività sono, in tal senso, le ultime parole del testamento alla fine del film.
L'unica differenza tra il prima ed il dopo, tra l'inizio e la fine -e non è poco- sta nell'esperienza quotidiana che rompe quella scorza xenofobica che, messa a nudo, si rivela in tutta la sua spietata ed inevitabile fragilità.
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Brillante, commovente -ma mai retorico- e costruito magistralmente nel delineare la personalità di un personaggio che gradualmente rompe il muro della sua chiusura e fa sì che in lui si possa riconoscere anche lo spettatore che, da subito, non poteva che provare repulsione per un individuo del genere: è proprio qui che scatta la magia del film, in quella simpatia che man mano si è portati a provare nei confronti di Walt pur essendo egli in realtà, nel corso della narrazione, cambiato ma sempre rimasto quello di prima -fulminanti nella loro ironia e significatività sono, in tal senso, le ultime parole del testamento alla fine del film.
L'unica differenza tra il prima ed il dopo, tra l'inizio e la fine -e non è poco- sta nell'esperienza quotidiana che rompe quella scorza xenofobica che, messa a nudo, si rivela in tutta la sua spietata ed inevitabile fragilità. Essa, ormai vinta, continua a persistere anche nel finale -e in maniera volutamente inutile, giacchè Walt stesso sa che mai Tao potrebbe tradirlo- solo nel simulacro della sua Gran Torino, a cui non devono essere apposti "spoiler da checca o fiamme da coatto bianco". Il vero Walt insomma è il Walt degli ultimi minuti, quello che percorre tutto il suo cammino e si depura da tutte quelle scorie che nella vita avevano dato a lui -e a tanti altri come lui- quelle sembianze negative che solo l'esperienza ha contribuito ad eliminare, facendone emergere la reale natura. Egli continua a vivere nella sua Gran Torino (il suo bene più grande e simbolo del suo pieno riscatto nell'essere donata a quel "muso giallo" che aveva persino tentato di rubargliela), nel suo cane, fido compagno, e, soprattutto, in Tao, suo erede -in tutti i sensi- e sua immagine, immagine reale ed ultima di quell'improbabile mentore che sicuramente è invece stato più alunno.
In sostanza, Gran Torino è un grande film, un film fiducioso e ottimista nel suo modo di affrontare il razzismo e le maniere possibili per sconfiggerlo. Di questi tempo ne abbiamo veramente tanto bisogno.
Ancora più bello poi è poter pensare che, in un'epoca in cui a dominare il cinema è sempre più una triste fucina di mediocri produzioni aventi come unico scopo lo sbancare i botteghini, esistano autori capaci di tenere così alto il nome della settima arte. Archiviata dalla storia -ma non certo dalla memoria- l'esperienza dei Rossellini, dei De Sica, dei Kubrick, degli Hitchcock, dei Chaplin, dei Fellini e di tutti gli altri maestri, non possiamo che essere contenti del fatto che -nell'epoca del mercato prima di tutto- ci siano ancora registi in grado di confezionare capolavori come questo che -a mio modestissimo avviso, e fatte le debite distanze e proporzioni- possono elevarsi considerevolmente fino a raggiungere quelle vette di cui da tempo il cinema era piuttosto immemore.
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liuk©
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venerdì 18 dicembre 2009
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buon film
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Gran Torino non è un capolavoro ma è ben fatto, con una trama semplice e diretta che in parte emoziona. Clint è sempre immenso.
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il figo
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venerdì 11 dicembre 2009
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ancora e sempre eastwood
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E' stupefacente e memorabile come Clint Eastwood riesca a far emergere una lunga serie di temi da una storia ambientata in un'anonima periferia e in un classico e apparentemente quieto clima di un sobborgo americano.
Walt Kowalski è un uomo ormai vedovo e vekkio, chiuso in sè stesso, nelle mura della sua casa, nel suo giardinetto ben curato, nell'abitudine di bere qualke birra e nella sua unica passione ke riscontra nella devozione alla sua cara Gran Torino, simbolo della sua vita lavorativa passata da meccanico della Ford. Inizialmente il resto è visto tutto con odio dal nostro protagonita: rifiuta le frequenti visite del giovane prete (molto legato alla moglie prima della sua morte), disprezza il comportamento dei figli e dei nipoti con cui nn ha un buon rapporto, vive nella solitudine, nel pentimento e nel ricordo ben inciso dentro della guerra in Corea, e infine giudica in modo "razziale" i suoi vicini di casa, appartenenti all'etnie asiatica dei Hmong.
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E' stupefacente e memorabile come Clint Eastwood riesca a far emergere una lunga serie di temi da una storia ambientata in un'anonima periferia e in un classico e apparentemente quieto clima di un sobborgo americano.
Walt Kowalski è un uomo ormai vedovo e vekkio, chiuso in sè stesso, nelle mura della sua casa, nel suo giardinetto ben curato, nell'abitudine di bere qualke birra e nella sua unica passione ke riscontra nella devozione alla sua cara Gran Torino, simbolo della sua vita lavorativa passata da meccanico della Ford. Inizialmente il resto è visto tutto con odio dal nostro protagonita: rifiuta le frequenti visite del giovane prete (molto legato alla moglie prima della sua morte), disprezza il comportamento dei figli e dei nipoti con cui nn ha un buon rapporto, vive nella solitudine, nel pentimento e nel ricordo ben inciso dentro della guerra in Corea, e infine giudica in modo "razziale" i suoi vicini di casa, appartenenti all'etnie asiatica dei Hmong. Ma proprio da questi, e in particolar modo dalla giovane Sue e dal fratello più piccolo Thao, troverà una nuova ragione di sentirsi vivo e utile per la società a cui crede di nn appartenere +. Infatti dopo aver cacciato la band del cugino Spider dal suo giardino mentre stavano cercando di portar via Thao con la forza, la famiglia Hmong inizierà ad aprirsi al vecchio Kowalski, che instaurerà un forte legame sia con la ragazza ke con il ragazzo, ke oltre a farlo sentire vivo gli fanno conoscere la loro cultura e le loro usanze, una volta viste come sbagliate dal protagonista.
In questo quadro Eastwood inserisce quindi uno svariato numero di temi e contenuti molto attuali e ke rappresentano ancora problemi nella nostra attuale società. Il primo di tutti è il contatto tra la cultura di casa (americana) con quella ospitata (Hmong), il vekkio Walt guarda con disprezzo i suoi vicino pensando ke ogni loro usanza sia sbagliata, solo xké diversa da quella americani. Solo qnd entreràcdirettamente nel loro ambiente capirà ke le sue idee erano errate, e il primo elemento a confermarlo è il cibo. Altri temi sn il rapporto tra gli anziani e i giovani, tra i padri tradizionalisti e i figli materialisti, gente ke nn accetta il prossimo sl perkè diverso, la crescita della nuova gioventù e il perdersi dei vekki in una mentalità troppo chiusa e ombraggieta dalla solitudine, anke perkè nessuno li sostiene a dovere e con il giusto affetto.
Estwood interpreta con esperienza la parte del vekkio ke odia e viene odiato, rendendo un film cmq lento e ke potrebbe essere pesante piacevole da seguire grazie al suo senso ironico mai assente. Qst film insegna quindi molto, soprattutto il rapporto con i diversi con cui si possono instaturare legami ke possono essere + forti rispetto a ki appartiene ad una propria etnia o addirittura alla propria famiglia. Voto 7,5/10
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catafalco
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domenica 6 dicembre 2009
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semplicita
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Gran Torino è un capolavoro"SEMPLICE",questo è l'aggettivo giusto per descrivere questo film.Nella semplicita risiede la bellezza,niente fronzoli ne giri di parole nessun ammiccamento,ma la storia della redenzione di un uomo divenuto razzista a causa della guerra.Di uomini come Walt ce ne sono a milioni,non solo negli USA e pochissimi riescono a liberarsi dalla prigionia dell'odio verso i "diversi"da lui. Eastwood non èmai stato un regista compiacente e questo lo porta a fare film scomodi e "non corretti" come Gran Torino.Viva Clint eviva il suo coraggio di essere fuori dal coro.
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dian71cinema
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giovedì 5 novembre 2009
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un film ben confezionato difficile da dimenticare
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PREMETTENDO CHE IL FILM E' GRANTORINO E NON GRAN TORINO (INFATTI CON LA CITTA' DEL MISTO FRITTO PIEMONTESE NON C'ENTRA ASSOLUTAMENTE NULLA).. QUESTO LAVORO DI EASTWOOD E' A DIR POCO SORPRENDENTE. DIMOSTRA INFATTI UNA CAPACITA' REGISTICA CHE VA OLTRE LE SUE CAPACITA' DI RECITAZIONE. IN EFFETTI COME CITO' SERGIO LEONE IN UNO DEI SUOI CAPOLAVORI DOVE CLINT EASTWOOD FU PROTAGONISTA, "NELLE SUE INTERPRETAZIONI AVEVA DUE ESPRESSIONI: UNA CON IL CAPPELLO ED UNA SENZA".. NON SI PUO' INVECE DIRE CHE LE RIPRESE MANCHINO DI CREATIVITA' E CAPACITA' TECNICA. LA STORIA E' INTRICATA E PIENA DI SENTIMENTI PROFONDI CHE RENDONO QUESTO FILM COSTRUTTIVO E MEMORABILE. BUONA L'INTERPRETAZIONE (ANCHE DELLO STESSO EASTWOOD NONOSTANTE LA SUA FACCIA DI MARMO).
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PREMETTENDO CHE IL FILM E' GRANTORINO E NON GRAN TORINO (INFATTI CON LA CITTA' DEL MISTO FRITTO PIEMONTESE NON C'ENTRA ASSOLUTAMENTE NULLA).. QUESTO LAVORO DI EASTWOOD E' A DIR POCO SORPRENDENTE. DIMOSTRA INFATTI UNA CAPACITA' REGISTICA CHE VA OLTRE LE SUE CAPACITA' DI RECITAZIONE. IN EFFETTI COME CITO' SERGIO LEONE IN UNO DEI SUOI CAPOLAVORI DOVE CLINT EASTWOOD FU PROTAGONISTA, "NELLE SUE INTERPRETAZIONI AVEVA DUE ESPRESSIONI: UNA CON IL CAPPELLO ED UNA SENZA".. NON SI PUO' INVECE DIRE CHE LE RIPRESE MANCHINO DI CREATIVITA' E CAPACITA' TECNICA. LA STORIA E' INTRICATA E PIENA DI SENTIMENTI PROFONDI CHE RENDONO QUESTO FILM COSTRUTTIVO E MEMORABILE. BUONA L'INTERPRETAZIONE (ANCHE DELLO STESSO EASTWOOD NONOSTANTE LA SUA FACCIA DI MARMO).. COLONNA SONORA ACCURATA E DISCRETE LE AMBIENTAZIONI SEPPUR RACCOLTE; ALCUNE SCENE SONO UN PO' BANALI E POCO REALISTICHE, COME GLI INCONTRI FORTUITI E "CASUALI" DOVE IL SALVATORE EASTWOOD RISOLVE LE SITUAZIONI CON SGUARDO E VOCE DA DURO E UN FUCILE PUNTATO; E A VOLTE BASTANO DUE DITA PUNTATE PER CREARE LA GIUSTA TENSIONE. IL FINALE E' TOCCANTE E CON UNA MORALE INTROSPETTIVA EFFICACE. VOTO 9
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dead man
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domenica 25 ottobre 2009
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è un paese per vecchi
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che palle nonno clint. vuole fare il fustigatore dell'america viziata e molliccia, la nipotina col piercing, i figli grassocci, il giovane alla eminem ma sa solo contrapporre la solita solfa del duro con il fucile, pure se ultrasettantenne. il peggio è di un film che vorrebbe essere antirazzista ma negli stereotipi che usa, le gang di colore, gli asiatici visti come macchiette con le offerte di cibo e il nonnetto indovino, lo è ancora di più che nelle battute di nonno walt. eastwood fa dei buon film quando dispone di una buona sceneggiatura se no è la solita storia del buono contro i cattivi che siano pistoleros del west o giovani delinquenti
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micetto
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venerdì 23 ottobre 2009
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rettifico
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Ho passato la notte e ci ho riflettuto. E tolgo una stella perchè in effetti tutto il film è costruito ad hoc attorno al personaggio del reduce scorbutico e per arrivare al finale che non t'aspetti. Sceneggiatura e trama presentano evidenti lacune, ma il film resta godibile e piacevole, dall'inizio alla fine.
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micetto
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venerdì 23 ottobre 2009
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eroico!!
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Magnetico, come sempre, Clint Eastwood riesce a catturarti anche questa volta con una storia toccante e cruda, in cui un reduce della guerra in Corea, rimasto vedovo, si scioglie lentamente grazie ai vicini Hmong ed ad un prete rompi..... Prima burbero, rude e scontroso, impara ad amare grazie ai ragazzi confinanti, Sue e Thao (bravissimi anche loro), fino a rinunciare a tutto ciò ha (medaglia, auto, cane, casa, vita stessa) pur di vendicare Sue e salvare Thao da un futuro criminale.
Ovviamente Clint resterà sempre Clint. Vincente, burbero ma buono, giusto. E qui anche eroico. In fondo questo è ciò che la gente si aspetta (ed il produttore vuole) da lui. Non credo Clint farà mai il comico, come Sean Connery non interpreterà mai un travestito.
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Magnetico, come sempre, Clint Eastwood riesce a catturarti anche questa volta con una storia toccante e cruda, in cui un reduce della guerra in Corea, rimasto vedovo, si scioglie lentamente grazie ai vicini Hmong ed ad un prete rompi..... Prima burbero, rude e scontroso, impara ad amare grazie ai ragazzi confinanti, Sue e Thao (bravissimi anche loro), fino a rinunciare a tutto ciò ha (medaglia, auto, cane, casa, vita stessa) pur di vendicare Sue e salvare Thao da un futuro criminale.
Ovviamente Clint resterà sempre Clint. Vincente, burbero ma buono, giusto. E qui anche eroico. In fondo questo è ciò che la gente si aspetta (ed il produttore vuole) da lui. Non credo Clint farà mai il comico, come Sean Connery non interpreterà mai un travestito.
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lisbeth
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sabato 3 ottobre 2009
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non chiamarmi walt, io sono il signor kowalski!
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Clint riempie la scena per tutta la durata del film, personaggio e interprete gigantesco, rinnova i fasti di un genere epico/tragico in cui l’eroe, solitario, attraversa lo spazio scenico dominandolo e plasmandolo a sua misura.
Walt Kowalski (citazione da Brando del Tram che si chiama Desiderio) prende le distanze da tutti (“non chiamarmi Walt, io sono il signor Kowalski”), vive da vecchio misantropo reduce dagli incubi della guerra in Corea, di cui conserva cimeli e angosce non rimosse, dove “ti danno una medaglia per aver ucciso un uomo” e la cosa peggiore che fai “non è quella che ti hanno ordinato di fare”.
Emblematico quel gesto, ripetuto, di sparare solo con la mano. Walt guarda con odio i vicini vietnamiti (“musi gialli”), membri di un’etnia Hmong trascinata lì dalla guerra del Vietnam in cui erano stati alleati degli americani, osserva con malcelato fastidio i nipoti deficienti con piercing, i figli, grossi e ottusi borghesi, il pretino infervorato che vorrebbe ricondurlo all’ovile e che sopporta solo per il ricordo dell’adorata Dorothy (il suo funerale apre il film sommessamente).
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Clint riempie la scena per tutta la durata del film, personaggio e interprete gigantesco, rinnova i fasti di un genere epico/tragico in cui l’eroe, solitario, attraversa lo spazio scenico dominandolo e plasmandolo a sua misura.
Walt Kowalski (citazione da Brando del Tram che si chiama Desiderio) prende le distanze da tutti (“non chiamarmi Walt, io sono il signor Kowalski”), vive da vecchio misantropo reduce dagli incubi della guerra in Corea, di cui conserva cimeli e angosce non rimosse, dove “ti danno una medaglia per aver ucciso un uomo” e la cosa peggiore che fai “non è quella che ti hanno ordinato di fare”.
Emblematico quel gesto, ripetuto, di sparare solo con la mano. Walt guarda con odio i vicini vietnamiti (“musi gialli”), membri di un’etnia Hmong trascinata lì dalla guerra del Vietnam in cui erano stati alleati degli americani, osserva con malcelato fastidio i nipoti deficienti con piercing, i figli, grossi e ottusi borghesi, il pretino infervorato che vorrebbe ricondurlo all’ovile e che sopporta solo per il ricordo dell’adorata Dorothy (il suo funerale apre il film sommessamente).
Kowalski fuma una sigaretta dopo l’altra, sputa sangue, beve birra e ama solo due cose: la vecchia cagna e la sua Gran Torino del ‘72, lucida come appena uscita dal concessionario, unici affetti buoni a scalfire con un ricordo di sorriso quella faccia rugosa, dura come una pietra. Eppure siamo tutti subito dalla sua parte, le battutacce al vetriolo vorremmo essere capaci di dirle noi e sorridiamo, tifiamo per lui e alla fine scopriamo perché.
Walt è un uomo a tutto tondo, uno che ha vissuto ed è arrivato al capolinea del suo lungo viaggio al termine della notte. Qui troverà ancora ad aspettarlo quella necessità che costringe ogni uomo vero a misurarsi con sé stesso.
Ammetterà, brontolando, di somigliare più ai vicini asiatici che ai suoi figli, la piccola Hmong continuerà a chiamarlo allegramente Wally e a fargli cuocere bistecche sul suo barbecue (“bistecche di cane!” ringhia Walt e gli occhi gli brillano), e Thao, il timido e irresoluto, sarà preso sotto la sua ala protettrice di vecchio cane ringhioso.
Contro il mondo, là, per le strade di una specie di Bronx, dove rischi la pelle ogni volta che passi. Il senso di tutta la sua vita convergerà nella scena finale, di lirismo estremo, per sciogliersi poi nella visione di una distesa d’acqua (un lago, il mare?) inaspettata, dopo tanto claustrofobico sviluppo in brevi spazi interni o in esterni fortemente chiaroscurati. Poca luce nei film di Clint, ma quando arriva fa chiudere gli occhi dallo splendore.
E mentre scorrono i titoli di coda sulle note di una magnifica canzone, passano rare automobili su quel lungolago/mare che la macchina riprende dall’alto, e magari prima o poi passerà anche la Gran Torino, sempre fiammante, guidata da Thao.
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