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Torna al cinema Quarto potere, l'esordio titanico, folgorante, insuperabile di Orson Welles

Uscì nel 1941 uno dei film più venerati di sempre. Cosa ne pensano oggi alcuni cineasti italiani, da Marco Tullio Giordana a Roberto Andò. Fino ad Enzo Castellari che ci ha raccontato un aneddoto memorabile.
di Giovanni Bogani

Orson Welles (George Orson Wells) 6 maggio 1915, Kenosha (Wisconsin - USA) - 10 Ottobre 1985, Los Angeles (California - USA). Interpreta Charles Foster Kane nel film di Orson Welles Quarto potere.
domenica 24 marzo 2024 - Focus

Torna nelle sale il 24 marzo Quarto potere. Uno dei film più citati, più venerati, più analizzati, più rispettati della storia del cinema. La storia del “cittadino Kane”, interpretato da Orson Welles, che di quel film fu anche il regista, a venticinque anni soltanto. E che si portò sulle spalle, per tutta la vita, il peso, la gloria e la condanna di quell’esordio titanico, folgorante, insuperabile.

Quando uscì Quarto potere, era il 1941. Da allora, non c’è studente di Storia del cinema che non lo abbia sezionato, analizzato, guardato al microscopio delle sue categorie critiche. Ne hanno scritto i più grandi studiosi del cinema, come André Bazin, che riservò al film di Welles un saggio memorabile. Ne hanno scritto persino grandi scrittori, come Jorge Luis Borges, instancabile creatore di labirinti e di finzioni. Borges che, sulle pagine della rivista “Sur”, non fu per niente tenero col film: “È geniale, nel senso più notturno e tedesco di questa mala parola”, scrisse il poeta argentino. Ma ne colse anche l’intimo nocciolo: “Nulla è più terrificante di un labirinto senza centro. Questo film è esattamente quel labirinto”. E Borges, di labirinti, se ne intendeva.

Ma oggi? Che cosa ne è del film, del suo mito? Che cosa trova uno spettatore, oggi, se va in sala a vedere Quarto potere? Per quarant’anni, il film di Welles è stato designato come “miglior film di tutti i tempi” nella lista compilata dalla rivista “Sight and Sound”, sulla base di un sondaggio fra i più autorevoli critici cinematografici del mondo. Dal 1962 al 2002, Quarto potere è stato il film più votato. Più di ogni altro film al mondo. Poi ha ceduto lo scettro a La donna che visse due volte di Hitchcock e, nel 2022, a Jeanne Dielman, 23 quai du Commerce, 1080 Bruxelles di Chantal Akerman. Ma resiste sul podio, in un fiammeggiante terzo posto.

Sentiamo che cosa pensano, oggi, del film alcuni colleghi italiani di Orson Welles. Al telefono, raggiungiamo Marco Tullio Giordana, il regista de La meglio gioventù, vincitore a Cannes della sezione Un certain regard. “Welles ha cambiato tutto, con quel film. C’è un prima e un dopo Quarto potere. Ha avuto il coraggio di frantumare la compattezza del racconto cinematografico, di trasformare il film in un mosaico di flashback. Ha avuto il coraggio di scegliere posizioni nuove dalle quali inquadrare. Ha mostrato uno sguardo nuovo in ogni istante. Mi chiedi se lo amo o no? Penso sia impossibile non amarlo. No, non per cercare di assomigliargli: se uno pensa anche minimamente di assomigliargli, fa bene a chiamare un’ambulanza e farsi portare al più vicino pronto soccorso”. Poi ci ripensa, solo un po’, e dice: “Però ha dato coraggio, a me come a molti altri. Ci ha fatto pensare che si può osare, che si può mettere la camera dove nessuno la metterebbe. L’amore per le inquadrature ‘fuori asse’ credo di averlo preso da lui”.


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In foto Orson Welles in uno dei fotogrammi più famosi del film.

“Ci sono film che, col passare del tempo, hanno perso lo smalto: Quarto potere no”, ci dice in un vocale su Whatsapp Roan Johnson, il regista dei Delitti del BarLume (guarda la video recensione). “Anche visto oggi, lo segui con interesse, senza riuscire a carpire del tutto il suo segreto. Orson Welles ha mescolato linguaggi, stili, narrazioni: è il primo regista veramente moderno, o forse addirittura postmoderno. E poi, aveva intuito la centralità del tema che esplora nel suo film: lo strapotere dei media, della comunicazione. Quello che si è rivelato sempre più cruciale, nel nostro presente. Lui lo aveva capito più di ottant’anni fa”.

“Per me, Quarto potere è un film sull’arroganza”, ci scrive Edoardo De Angelis, regista di Comandante,  film a suo modo titanico, che ha aperto l’ultima Mostra del cinema di Venezia. “...è un film sull’arroganza del potere, ed è più importante per un regista e per uno spettatori oggi di quanto non lo fosse all’epoca, ovvero molto prima che la mannaia della Storia si abbattesse sull’arroganza degli Stati Uniti d’America, l’11 settembre 2001, rendendola più incerta, colpevole, vergognosa. All’epoca invece era fulgida, impunita, in panfocale”.

De Angelis si riferisce all’obiettivo che Welles usava, un grandangolo che permetteva la messa a fuoco di tutto ciò che era nell’inquadratura: la famosa profondità di campo, che permetteva agli attori di spostarsi nell’inquadratura, rimanendo sempre a fuoco. E che permetteva allo spettatore di scegliere su quali dettagli concentrare lo sguardo: la figura in primo piano, quelle vicino alla parete, o persino un bimbo inquadrato nel rettangolo di una finestra, che gioca con una slitta. Riguardo alla sua valutazione politica, De Angelis si riferisce alla figura che Orson Welles racconta: un padrone dell’informazione, ricchissimo, accumulatore seriale di oggetti vani. All’epoca, si celava dietro il personaggio la figura del magnate dell’informazione William Randolph Hearst. Che difatti, usò tutto il suo potere per boicottare il film.

“È il più grande film della storia del cinema”, afferma Giulio Base, regista di Margherita delle stelle, il biopic su Margherita Hack da poco passato in tv, e direttore artistico del Torino Film Festival. “Perché? Per l’accorto mescolare documentario – finto – e scene di finzione, una finzione tanto ben recitata da sembrare vera. Per l’incredibile interpretazione di un giovanissimo ragazzo, Orson Welles allora venticinquenne, che riesce a interpretare il cittadino Kane in varie fasi della vita. Ma soprattutto, è un film imperdibile perché, oltre alla maestria tecnica, oltre allo sconvolgente livello artistico di ogni inquadratura, ti fa capire che ciò che è di più bello nella vita, quello che non devi sprecare, è la tua giovinezza. La famosa parola scritta sulla slitta. Ecco, quella parola io, nella vita, non l’ho dimenticata mai più”.

Roberto Andò, regista de La stranezza e della miniserie Solo per passione – Letizia Battaglia fotografa, dice: “È uno dei film che ancora oggi fanno venir la voglia di fare i registi. È il prototipo del grande racconto sul potere, ed è un modello cinematografico potente, con una forma smagliante”.

Fra tutti i commenti pieni di entusiasmo, qualcuno si discosta dal coro. O meglio, ne riconosce la grandezza. Ma aggiunge un episodio personale. È Enzo G. Castellari, il regista di Quel maledetto treno blindato, che Quentin Tarantino ha preso come modello per Bastardi senza gloria. Tarantino che ha organizzato una “personale” dei film di Castellari nella sua saletta di proiezione personale, invitando alcuni dei più importanti attori e registi di Hollywood. “Welles era un regista geniale, dalle inquadrature fantasiose, molto artistiche”, dice Castellari. “Aveva una interpretazione della luce particolarissima, sempre funzionale alla sua maniera di raccontare. Lo stimavo moltissimo come regista. Ma quando l’ho incontrato, non è stato un incontro felice”.

Gli chiedo di spiegarsi meglio. Dopo qualche minuto mi manda un lungo messaggio su Whatsapp. “Era il 1968, ero a Toledo per girare un western, e andai alla corrida. Lui era sulla piazza, all’entrata dell’arena; mantellone nero e cappellone, a fumare un enorme sigaro, con la moglie italiana. Quando lo vidi fui preso dall’entusiasmo e dall’ammirazione: gli corsi incontro e mi inginocchiai al suo cospetto. Gli dissi tutto d’un fiato chi ero e che cosa facevo a Toledo. Lui, indifferente, continuò a fumare e mi sbuffò il fumo in faccia. Rimasi bloccato da questo atteggiamento, poi reagii. ‘Ah Orson Welles… ma vaffanculo!’. Lui non fece nessun movimento. La moglie mi inveì contro: ‘Ma come si permette, ignorante maleducato!’. Io ‘salutai’ anche lei, e li lasciai sulla piazza. Rimango sempre un suo fan, ma quella volta lo mandai a farsi fottere”.  


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