Molti capolavori che fanno la storia del cinema non sarebbero tali senza indimenticabili colonne sonore. Di Pino Farinotti.
di Pino Farinotti
André Previn
Andreas Ludwig Priwin, nome d’arte André Previn (1929-2019) era un ebreo russo nato a Berlino e morto a New York. E’ quasi un percorso classico che ha portato qualità a Hollywood. Ci fu un vero esodo dall’ Europa, da parte di artisti, scrittori, musicisti di lingua tedesca, dopo 1933 con l’avvento del nazismo. C’era grande qualità in quella gente, che veniva da scuole importanti, come Weimar, e vennero accolti come veri profeti dagli americani, sempre capaci di cogliere le diversità, magari le superiorità, della cultura europea e di applicarla alla straordinaria vocazione allo spettacolo, caratteristica della città del cinema. La famiglia Prewin raggiunse Los Angeles nel 1939, per via della guerra. Andreas aveva dieci anni ma era già considerato un piccolo Mozart per il suo virtuosismo al piano. A perfezionare il suo talento si iscrisse alla Beverly Hills High School. Aveva vent’anni e già si era sparsa la voce sulla sua duttilità e i produttori cominciarono a chiamarlo per degli aggiornamenti. Un compito troppo “stretto” per lui, che ben presto si vide affidare colonne di film importanti. L’applicazione di Previn però viveva due volte, soprattutto attraverso concerti e direzioni di orchestre. La radice europea prevaleva. Era una costante degli “emigrati”, che apparteneva a musicisti come Steiner, Williams e Leonard Bernstein. Negli anni il berlinese-americano avrebbe diretto l’Orchestra Sinfonica di Houston, la London Sinphony Orchestra e la Pittsburg Sinphony Orchestra. Dirigeva ma continuava a stare al piano, accompagnando voci come Ella Fitzgerald e Julie Andrews.
Previn ha sempre ricordato, come uno dei momenti topici della sua carriera, l’ esecuzione, la prima assoluta, alla Carnagie Hall di New York, del Concerto per viola e orchestra di Miklòs Ròzsa, che considerava il suo mentore: Ròzsa è stato, “inventore” della musica del Medioevo e della Roma antica. E’ stato il musicista che ha inaugurato la serie dei compositori di colonne.
E poi naturalmente il cinema, che lo ha fatto ricco e popolare. Previn ha sempre privilegiato la qualità, il suo metodo era di accettare solo incarichi del massimo livello. Per questa ragione la “redmption” rispetto ai riconoscimenti è molto alta. Il musicista vanta 4 premi Oscar su 13 nomination. E i film sono sempre tratti da musical superclassici, che tenevano il cartello a Broadway per mesi o per anni. Inoltre Previn si è trovato a lavorare con alcuni dei più grandi compositori americani. Aveva il compito di essere complementare, di aderire a sinfonie nobili, firmate da George Gershwin (Porgy and Bess), a canzoni mitologiche di Cole Porter (Kiss Me Cate), o a brani strumentali di Frederick Loewe (My Fair Lady e Gigi).
Se My Fair Lady ha vinto 8 Oscar e Gigi 9, c’entra certamente il contributo di Previn, che in Irma la dolce ebbe l’Oscar firmando in esclusiva la musica. Nomination importante fu quella per Jesus Christ Superstar, grande musical e grande film in assoluto, dove il compositore collaborò col britannico Andrew Lloyd Webber. Quell’anno c’era un antagonista forte: il doppio Oscar alla canzone e alla musica, andò a Marvin Hamlisch, per Come eravamo. Lo meritava.
A mio parere André Previn ha dato il meglio di sé in E’ sempre bel tempo (1955 di Stanley Donen) dove dovette accontentarsi della nomination. E’ un musical completo, con tanto di trama, e non era un dettaglio: Frank Sinatra, definendo il musical diceva “lui e lei si incontrano, si innamorano, litigano alla fine fanno pace cantando.” Il film di Donen (genio riconosciuto: Cantando sotto la pioggia, 7 spose per 7 fratelli) era la storia di tre compagni che hanno fatto la guerra, si salutano in un bar di Manhattan e scommettono col barista che fra dieci anni, nel 1955, si ritroveranno in quello stesso bar, qualsiasi cosa succeda. Si ritrovano, ma ... non sono più gli stessi. Protagonisti erano due leggende, Cyd Charisse e Gene Kelly, uno dei tre amici era un ragazzo, piccoletto, tutta energia, Michael Kidd, che l’anno prima in 7 spose per 7 fratelli aveva letteralmente stravolto il ballo da musical, introducendo la danza acrobatica. Come sempre evoco una sequenza mia personale: Gene Kelly che in E’ sempre bel tempo, balla il tip tap su una strada di Manhattan. Niente di speciale sembrerebbe, solo che ai piedi aveva i pattini a rotelle.
The Way We Were (Come eravamo) film e canzone, nobilitano il suo autore, Marvin Hamlisch (1944-2012), un gigante della musica, che sia applicata ai film o che viva di luce propria. Quel titolo merita un racconto. La regia è di Sidney Pollack, i protagonisti Barbra Streisand e Robert Redford. In un college di New York ci sono Hubbel, bello, ricco, talentuoso, qualunquista e Kathy, ebrea e militante comunista. Lei vorrebbe scrivere ma quello bravo è lui, che pubblica un racconto. L’America entra in guerra e Hubbel va in marina. Durante una licenza ritrova Kathy che lo ospita a casa sua. Nasce la relazione. Certo, sono diversissimi, lui borghese convinto, lei sempre in cerca di una buona causa cui dedicarsi anima e corpo. Si sposano. Lui vende un suo libro al cinema. Vanno a Hollywood. Sono passati gli anni, siamo nella stagione della caccia alle streghe. Lei naturalmente è in prima linea, lui non vorrebbe. Nasce una bambina, ma i due sono sempre più diversi e lontani. Si separano. Si ritrovano casualmente a New York, entrambi risposati. Lui lavora per la televisione, lei manifesta contro la bomba H. Prima di separarsi, per un momento, si stringono nel più intenso abbraccio del cinema. Un film dalle misure perfette: contenuti importanti come la politica, le prese di posizione sociali e l’ideologia della vita, detti spettacolarmente, con divi, budget, sentimento e suggestione.
E poi Hamlisch, che con la sua canzone, la sua musica, e la voce della Streisand, sostiene, accompagna tutti quei contenuti come un film nel film: musica-immagine. La canzone, è notorio, è una delle più belle e divulgate da quasi cinquant’anni. E poi, la colonna, che si allinea ai fatti e ai sentimenti. C’è un momento in cui il docente legge il racconto di Hubbel, Il vero americano sorride. L’incipit: “In un certo senso egli era come la nazione in cui viveva, aveva tutto troppo facilmente, però lui lo sapeva almeno. Circa una volta al mese gli veniva il dubbio di essere un ipocrita, ma poi pensava che anche tutti gli altri lo erano...” Da quel momento la voce sfuma, il docente muove la bocca ma le parole non si sentono. Entra “Hamlisch”, e la musica sembra proseguire “parlando”. Trasmette comunque il senso del racconto. Alla fine la parola ritorna “... e concludeva dicendosi, in fondo non c’è nessuna ragione per cambiare, ma forse questo dipendeva dal fatto che era troppo pigro. Tutto era sempre stato troppo facile per lui...”
Grazie alla chimica musica&parola, non c’è stata soluzione di continuità. Il compositore ha risolto, da fuoriclasse, il momento.
Hamlisch ebbe l’Oscar doppio – canzone e musica - una combinazione molto rara. Era il 1973, anno magico per il musicista che, come molti degli omologhi raccontati nella rubrica, veniva da una famiglia ebrea, di lingua tedesca. Anche a lui non mancano segnali di precocità straordinaria, tanto che la prestigiosa scuola di musica Juillard lo accoglie a soli sette anni. Accompagnare al piano grandi artisti, come Ann Margret, Joel Grey e Barbra Streisand è un passaggio obbligatorio. Viene notato da Woody Allen, grande esperto di musica, che gli affida le colonne di Prendi i soldi e scappa e de Il dittatore dello stato libero di Bananas. E poi la consacrazione con Come eravamo.
Ma l’anno d’oro avrebbe prodotto un’altra performance eccezionale, nel film La stangata, di Roy Hill, con Redford e Newman. Hamlisch adattò il magnifico regtime di Scott Joplin del 1902 e lo rese irresistibile. Tanto da assumerne l’identità (quasi) alla pari dell’inventore. Quel tema della “Stangata” è diventato una colonna sonora universale, proposta e riproposta in centinaia di citazioni, dovunque e comunque. E altro Oscar.
Come eravamo e La stangata sono i titoli apicali e identitari del musicista da colonne che ha avuto, per i tre Oscar, dodici nomination, fra cui La scelta di Sophie con Meryl Streep e La spia che mi amava con Bond-Connery. Ma Hamlisch ha toccato altri generi, a modo suo, al livello più alto. Basta ricordare A Chorus Line (1975), il musical che tenne Broadway per seimila repliche in dieci anni e che divenne film nel 1985, diretto da Richard Attenborough, con Michael Douglas.
L’ultimo segmento della sua vita artistica, ancora una volta, è comune ad altri grandi musicisti: la direzione di complessi, come la Pittsburgh Symphony Orchestra, la National Symphony Orchestra e la San Diego Symphony. Sempre adattandole ai suoi, personali, potenti registri.
Bing Crosby, Frank Sinatra, Dean Martin, Elvis Presley, Nat King Cole, Julio Iglesias, Michael Jackson, Michael Bublé, Robert Downey jr, Judy Garland, Dalida, Barbra Streisand, Diana Ross, Céline Dion: sono solo alcuni, fra i mille, degli artisti che hanno cantato Smile, la canzone di Charlie Chaplin, il genio che rientra in tutte le categorie del cinema, compresa la musica.
Chaplin (1889-1977) compose il brano, strumentale, nel 1936 per Tempi moderni, un film dove ancora il grande mimo non parlava. Il cinema muto era superato da nove anni, grazie al “Cantante di Jazz”, di cui abbiamo raccontato nella rubrica. Ma Chaplin legato all’immagine pura e alle pure espressioni, rimase in silenzio ancora per quattro anni, fino a quando, nel 1940 si decise a parlare nel “Grande dittatore”. "Smile" identificava dunque Tempi moderni, come colonna, con grande suggestione, e divenne, seppure solo strumentale, un tema di enorme successo. Anche perché l’autore aveva fatto le cose in grande, aveva affittato gli studi di registrazione della Fox con 64 elementi dell’orchestra. Assumendo come direttore Alfred Newman, il primatista assoluto di Oscar delle colonne sonore, con 11 statuette. Tuttavia in quel film Charlot fece sentire, per la prima volta la sua voce, cantando la famosa "Titina", con parole inventate all’istante.
Poi, nel 1954, arrivò Nat King Cole che ottenne di poter cantare "Smile". Dopo di lui... tutti quelli delle prime righe.
E’ notorio che in assenza della parola, la musica assumesse in quegli anni un ruolo decisivo e Chaplin era il primo a saperlo e intervenne personalmente in quel senso, e da quel genio completo che era compose melodie che fanno parte dell’antologia più preziosa del cinema.
Nel 1931, sempre in regime di Charlot-muto, Chaplin scrisse, produsse e diresse, tutto come suo costume, Luci della città. Considerato uno dei suoi titoli di vertice. Protagonista è una fioraia cieca che Charlot, nel suo piccolo, cerca di aiutare. Chaplin adottò la celebre "Violetera" di José Padilla ma creò un suo adattamento, tale da accreditarsi la paternità della musica quasi come l’ autore.
Il Circo, del 1928 è un altro “muto” ma musicalmente importante. Chaplin compose il tema che accompagna tutto il film. Molti anni dopo, quasi ottantenne, scrisse le parole e inserì la canzone nei titoli di testa. E’ lui a cantare, con una voce che non è quella di Sinatra, ma con una passione e un sentimento da pelle d’oca.
Luci della ribalta (Limelight), del 1952 è uno straordinario contenitore di musiche. Chaplin non era più Charlot. Parlava come tutti gli attori. Il tema portante, "Limelight Opening – Terry’s Thema", è una delle più belle musiche del novecento. Ma l’autore, ancora una volta ... ancora legato al suo grande amore “muto”, non volle che fosse che fosse contaminata da parole. Invece canta molte canzoni che fanno parte del repertorio di Calvero, il personaggio protagonista. Charlie ha così modo di riproporre certe performance che facevano parte del suo antico repertorio, prima di diventare il massimo del cinema. E’ la storia di un grande artista in declino che sogna di avere un’ultima occasione. Ce l’ha in una irresistibile sequenza con Buster Keaton. Cade malamente alla fine del numero, ha un infarto. Morente, chiede di vedere la sua protetta Terry, danzatrice, che sta incantando il pubblico.