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I grandi musicisti da cinema (Parte prima)

Molti capolavori che fanno la storia del cinema non sarebbero tali senza indimenticabili colonne sonore. Di Pino Farinotti.
di Pino Farinotti

venerdì 29 novembre 2024 - Focus

Nel mio pezzo su Ladri di biciclette (guarda la video recensione) ho dedicato uno spazio a Alessandro Cicognini.
Il musicista che ha dato a quel film alcune identità decisive. Cicognini, come molti compositori di colonne sonore è “indispensabile”. 
Citerò un modello esemplare, Ennio Morricone. Non occorre essere dei cinefili puri per sapere quanto Sergio Leone debba al compositore per i suoi film. Morricone ci ha messo una potenza che non è blasfemo affermare che in quel film, soprattutto nei western, la musica equivale alla regia. 
Credo sia opportuno dedicare a questi musicisti un racconto. Lo meritano, perché molti capolavori che fanno la storia del cinema, non sarebbero tali senza di loro. 
Gli assoluti sono sempre impropri, ma credo che i Bernstein, occupino un posto privilegiato nel cartello regia-musica. Comincio con loro.  


BERNSTEIN + BERNSTEIN

Il cognome è uno, Bernstein, i nomi sono due, Elmer e Leonard. Leonard (1918-1990) è un maestro, musica nobile. C’è un dato indiscutibile ad avallare: un sondaggio del magazine Classic Voice, che fa testo, lo ha collocato al secondo posto fra i più grandi direttori d’orchestra di tutti i tempi, dopo Carlos Kleiber. Grande la sua fama internazionale accreditata dai ruoli che ha coperto, i più alti, come la direzione dell’Orchestra filarmonica di Israele o di quella di New York. E’ stato anche “italiano”: presidente e direttore onorario dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma. Ha diretto in tutti i più importanti teatri del mondo. 

Rai 5, che privilegia l’arte, la qualità e la cultura, propone spesso Leonard sia nei concerti che nelle prove. "West Side Story" è stato trasmesso nel suo percorso e attraverso orchestrazioni dissimili. Il maestro ha creato quella musica e poi l’ha organizzata secondo partiture diverse. Il registro romantico, di immediata assunzione del cinema, diventava sinfonia alta, con arrangiamenti che privilegiavano strumenti diversi. E poi c’era l’aspetto, il fascino personale. Il suo gesto, le sue espressioni secondo il momento musicale, l’ammiccamento ai membri dell’orchestra e al pubblico, portavano una partecipazione diversa all’esecuzione. La classifica detta sopra era stilata dai maestri colleghi. Un elemento in più di verità. La vocazione classica non ha impedito al maestro di misurarsi in altre esplorazioni, una delle quali è la chiave “romantica” del teatro. "West Side Story" ne è un’espressione. Decisamente importante. 

I produttori Robert E. Griffith e  Harold Prince chiamarono Bernstein per le canzoni del musical che stavano montando ispirato al "Romeo e Giulietta" di Shakespeare. La “prima” avvenne 19 agosto del 1957 al National Theatre di Washington. Fu l’inizio di una leggenda dello spettacolo.  "West Side Story" è il musical più rappresentato della storia. Il film relativo andò persino oltre. Basta una notizia: ha vinto ben 10 Oscar, occupa il quarto posto assoluto in quella classifica, dopo Titanic (guarda la video recensione), Ben Hur e Il signore degli anelli. La regia era di Robert Wise (Oscar al film e alla regia), Richard Beymer e Natalie Wood erano Romeo e Giulietta. Tutte le canzoni di Bernstein sono diventate dei classici: Le più popolari: Somewhere, Maria, Tonight, America, I Feel Pretty, e Something's Coming.            

Elmer Bernstein (1922-2004) è un musicista che appartiene, quasi in esclusiva, ai film. Ha firmato le colonne sonore di titoli che fanno parte del corpo del cinema. Possedeva una gamma creativa al livello più alto. Scenari, sentimenti, tensioni, epica, dramma, risolti dal musicista in film del tutto diversi. Di getto emerge un tema che merita la copertina, la colonna di Via col vento

Di getto merge il tema dei Dieci comandamenti (De Mille 1956).  Charlton Heston-Mosé che apre le acque del mar rosso sostenuta da quella sinfonia, potente, di violenza estetica, è una delle immagini simbolo di tutto il cinema. Così come l’impatto quando appare il monte Sinai, con tutto ciò che rappresenta nella storia, nella tradizione e nella mistica umana. E poi I magnifici sette (1960) di John Sturges, con Yul Brinner protagonista,  con quel motivo western irresistibile, riaffermato nei vari sequel, che ricorre continuamente, nelle sigle, negli spot, che evoca un’avventura che non è solo epica ma si evolve a esprimere una parte in più di attesa e di evasione. Il 1962 è un anno importante e impegnativo per il compositore. Firma le colonne di due classici diversi: L’uomo di Alcatraz, di John Frankenheimer con Burt Lancaster, sostenendo il dramma di un uomo recluso in prigione per gran parte della sua vita e Il buio oltre la siepe, di Robert Mulligan, con Gregory Peck premio Oscar, dove deve risolvere il tema del razzismo negli anni più drammatici e violenti. Nel 1963 compone per quello che è considerato il film di evasione più popolare e divertente, La grande fuga, di Sturges, con l’indimenticabile Steve Mc Queen. Del 1964 è L’uomo che non sapeva amare, di Edward Dmytryk, con George Peppard. Dove Bernstein oltre alla colonna scrisse anche la canzone, rapinosa, ricordabile, con milioni di dischi venduti. Elmer si impose in un classico del musical che creò un precedente che diede una scossa al genere, I Blues Brothers (1980), di John Landis con John Belushi e Dan Aykroyd. Nel 1983 venne chiamato per la musica dell’Aereo più pazzo del mondo di Zucker-Abrahams-Zucker, che inaugurava il filone demenziale-fuoriditesta. Non era un registro facile da inventare e risolvere. Ma per Elmer tutti i registri erano buoni. 

L’età dell’innocenza del 1993, di Scorsese, con Michelle Pfeiffer e Daniel Day-Lewis, è la summa del talento del musicista. Doveva evocare la grande letteratura, il romanzo di Edith Wharton, una storia d’amore struggente in uno scenario sfarzoso e sofisticato, e le indicazioni di un regista ultraesigente. 

Infine l’Oscar. Bernstein ha ottenuto 14 nomination e un solo Oscar per Millie, del 1967 per la regia di George Roy Hill, con Julie Andrews. Una composizione certo di qualità, ma niente a che vedere con le citazioni fatte. Una delle tante stranezze degli Oscar.
Elmer Bernstein ha composto oltre duecento colonne. Significa selezione e omissioni. Purtroppo.

CONTINUA...


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