giovedì 12 marzo 2020 - Focus
L'idea nasce da un mio editoriale per i cento anni dalla nascita di Federico Fellini, dove definivo il regista "l' artista italiano del novecento". Una leadership emersa da ragionamenti e confronti di generi e di influenze. Occorre un dato e una definizione che riguarda l'arte. Sto alla classicità e alla sostanza: le Arti intellettuali - narrativa, poesia, saggistica -, le Belle Arti - pittura, scultura, architettura. Arti serie, nobili. Poi c'è il cinema, che nella mia percezione era figlio di un dio minore. In realtà, nelle ultime epoche, ha scalato qualità e definizione, il dio da minore è diventato diverso. Dal modello italiano intendo estendere ricerca e risultato nei Paesi che dominano l'arte nel mondo. Per decifrarne il trend.
Nella scelta delle nomination ho inserito artisti delle "arti" dette sopra e la ricerca non è stata semplice. Chi mi conosce sa quale sia la mia idea dominante, che ho espresso in vari testi: la letteratura è arte nobile, il cinema segue, con relativo assunto "non esistono, salvo rare anomalie, libri tratti da film, ma solo film tratti da libri". In realtà, proprio dopo una speculazione partita da Fellini, mi sono reso conto che il cinema, nei vari decenni del Novecento, ha guadagnato posizioni. Dovunque. Ha cominciato il "recupero" da quel 1907 quando Picasso ha spaccato e oltrepassato l'arte figurativa con la sua intuizione cubista. Da allora, il testimone figurativo è passato al cinema assumendo un ruolo rilevante, decisivo.
Il cinema ha poi acquisito valori di estetica e di contenuto attraverso grandi autori che lo hanno portato, epoca dopo epoca, a scalare categorie fino a sfiorare quella finale: il film diventava arte, i registi, artisti. Cito alcuni fra i non-molti titoli che hanno guidato la mutazione, a salire secondo i decenni: Il cantante di Jazz, La corazzata Potëmkin, L'Atalante (guarda la video recensione), La grande illusione, Quarto potere, Ladri di biciclette (guarda la video recensione), Rashomon, Il posto delle fragole, Vertigo, 8½, 2001: Odissea nello spazio (guarda la video recensione).
Opere d'arte del Novecento, appunto. Dico anche che mentre il cinema progrediva, la letteratura regrediva. Dovunque, da noi come in tutti i continenti. Mi avvalgo sempre di un'opinione preziosa, quella di Cesare Pavese: quando gli chiesero chi fossero i suoi narratori preferiti, disse Thomas Mann e Vittorio De Sica. Un bell'avallo. Il nostro è, per definizione, ma anche per verità, il Paese dell'arte. Ma va detto che... lo era, non siamo più quelli del Rinascimento. Il nostro Novecento non si allinea all'azione delle potenze culturali che hanno dominato il secolo. Siamo rimasti indietro, sta nelle opere, nelle proposte e nella Storia.
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Regressione
La "regressione" della letteratura è nei fatti, le ragioni sono complesse e occorrerebbe lo spazio di una Treccani per metterlo a fuoco. Ma posso dare due indicazioni semplici e inconfutabili: l'attacco della televisione con le infinite offerte di canali. E sappiamo quale sia l'offerta culturale del piccolo schermo: vogliamo dire, generosamente, pensiero debole, oppure, trash? E poi, e l'attacco è ancora più violento, quasi mortale, del web. E dunque qual'è lo spazio lasciato alla tradizionale élite culturale? Lo spazio lasciato al libro? Basta guardare ai numeri del mercato dei libri e dei giornali. Lo sappiamo: la carta è agonizzante e fra non molto anche l'agonia finirà. In questo nuovo corso "culturale" (virgolette pesanti), il cinema si è salvato, anzi è stato favorito nel suo percorso di superamento delle categorie. In alcuni film, non molti, trovi ancora segnali di qualità élitaria. I libri certo continuano a essere pubblicati, ma sono oggetti dimenticati, quasi intonsi e passati di moda. Così come "quella" cultura. Fa male al cuore, ma è così.
Dunque Fellini, da dove è emerso? All'inizio del secolo l'Italia propose un movimento artistico - scrittura, pittura, musica - che voleva stravolgere tutto, bruciare i musei e le biblioteche. Il Futurismo. Intento suggestivo che ebbe un seguito in molti Paesi. Tommaso Marinetti firmò il manifesto ma non è l'unico nome che identifica il Futurismo. Non è esclusivo nei crediti. Intendo l'artista come talento singolo, non come collettivo, vasto peraltro. Ho considerato Pirandello, premio Nobel, scrittore del mondo. Il suo percorso artistico si chiude negli anni Trenta. Rimane una parte lunga e importante del secolo. Ho soppesato a lungo la scrittura e il cinema. Pirandello rappresenta la letteratura alta e nobile, in un certo senso l'accademia. Fellini ha accorpato, in un insieme sincretico, oltre al cinema, le altre discipline, valendosi di scrittori, musicisti, scenografi del più alto livello. Ho scelto il cineasta, che ha coperto tutta la seconda parte del Novecento. E non è solo questione di epoche. Valgono l'impatto e la qualità, e quella sua magia che è unica al mondo. E se non è improprio dire che l'Oscar del cinema, fatti i debiti distinguo, può valere il Nobel della letteratura, Fellini ne ha vinti cinque.
Le potenze
La Francia. Enorme potenza culturale del secolo scorso. Un dato, un segnale, risolutivo, che riguarda una parte prevalente del corpo della cultura: l'Italia presenta 6 premi Nobel della letteratura, la Francia 16. Sono partito da quell'ambito e ho estratto Jean Paul Sartre, scrittore, filosofo, accademico. L'uomo che ha comandato a lungo la cultura francese. Quella aristocratica, ultraelitaria. Poi mi si è appalesato Marcel Proust per la sua inventiva esplosiva e per il segnale letterario, esclusivo e fondativo. Ho valutato le due personalità e le opere cercando di cogliere la relazione della filosofia e della scrittura col concetto "artista". Avevo difficoltà nella mediazione. Finché, dalla memoria è emersa un'immagine che ha scalzato titoli e nomi. Quella di Jean Gabin.
Attore, ma molto di più. Gabin è la Francia, nell'immagine è quasi scontato. Ma ci sono altre letture. Negli anni del Fronte Popolare che ha prodotto un cinema che era già arte, lui dava corpo e volto a personaggi - un disertore, un prigioniero, un uomo disperato- che parlavano con le battute di un Jacques Prévert, dunque poesia, davvero non facile da "filmare". Ma a dirigere c'era gente come Carné e Renoir. Cinema e letteratura altissimi. Gabin è stato l'eroe del noir, un genere potente e ha fatto il Maigret più "Maigret" del cinema. Dunque un richiamo alla letteratura, popolare, ma decisiva di un Simenon. Sì, l'artista francese del Novecento è Jean Gabin.
L'America. Di getto Hemingway, lo scrittore più popolare d'America e non solo. Rimanendo nell'ambito della fucina di Chicago, si è espresso Frank Lloyd Wright, l'uomo che ha dettato, evoluto, parte dell'architettura e dell'urbanistica del Novecento. Ho considerato lo spettacolo e pensato a Gene Kelly, mia passione personale, regista, attore, cantante, coreografo, ballerino, al livello più alto. Non c'è un uomo-spettacolo come lui. Un nome sfiorato è Andy Warhol, che con la sua pop art ha certo prodotto uno scossone, ma non decisivo come quello di Picasso. Ragionavo. E poi, come per Gabin, ecco presentarsi un nome, Walt Disney, nome risolutivo.
Dico che nella formazione di tutte le generazioni del secolo scorso, e anche di questo, Disney ci ha messo mano. Sono infinite le sue indicazioni: dalla rappresentazione dell'uomo medio americano, concreto, battagliero (Topolino) alla versione antropomorfa degli animali. Ed erano sempre esempi buoni ed efficaci. Disney nella sua evoluzione si è trasformato in un grande uomo economico creando un'industria con migliaia di dipendenti. Ha la sua importanza. Oggi la "Disney" comanda gran parte del cinema. Credo di non dovermi dilungare sul tema. Sì, Walt Disney.
La Germania. Non semplice. Quella cultura ha dominato parti del secolo scorso. I tedeschi sono imbattibili per invenzione e potenza, persino troppa. Si potrebbe dire che se ogni tanto, nella loro proposta sicura e solenne, über alles, ci scappasse un sorriso, sarebbe bene accolto. Ho pensato alla magnifica scuola del Bauhaus di Weimar, che riformò letteratura, cinema, architettura, teatro, arte figurativa. Terminò nel '33 con l'arrivo di Hitler. La figura dominante di quel movimento è Walter Gropius, per certi versi omologo di Wright che peraltro fece, a sua volta, parte del Bauhaus. Ho ragionato su Thomas Mann, premio Nobel, uno dei più grandi romanzieri della letteratura universale. Ma dalla mia memoria, irrequieta, mobile, arriva Wim Wenders.
Ho avuto modo, più volte, di definirlo uno degli artisti più completi del mondo, al di là della regia. É titolare di molte lauree "artistiche" ad honorem, inoltre possiede una cultura complessiva, a cominciare da quella latina, basta ricordare i suoi interventi su Cuba (Buena vista), Portogallo (Lisbon Story), Brasile (Salgado), Italia (Antonioni). Significa che dall'artista, può arrivare qualche segnale di sorriso. Wenders ha anche il coraggio, e qui è del tutto tedesco, delle rivelazioni assolute, metafisiche (Il cielo sopra Berlino, Così lontano così vicino). Al di là della mia personale gerarchia del cuore, i crediti di Wenders, speculari rispetto ai nominati, mi sembrano cospicui, prevalenti.
Per certi Paesi la speculazione è stata abbastanza semplice: Spagna significa Picasso. Irlanda, Joyce. L'artista del Novecento inglese è stato un gruppo che di fatto è un corpo unico, i Beatles. Credo che queste tre scelte facciano parte della discrezione universale.
La Russia rivela prospettive diverse e contraddittorie. Ferma restando la qualità assoluta di certi suoi artisti. Se Lev Tolstoj (1828-1910) fosse nato mezzo secolo dopo, non avrei avuto dubbi nella scelta. Ma la sua azione è tutta ottocentesca. Tolstoj non ha vissuto la rivoluzione d'ottobre, chissà come si sarebbe posto. Un suo erede può essere Vladimir Majakóvskij, poeta e scrittore, che ha toccato il teatro, la pittura e la grafica. Ha narrato la rivoluzione e indicato contenuti nuovi per il "dopo". Michail Bolgakov è considerato un altro grande maestro della narrativa generale. Agì nella Russia comunista e i suoi testi erano sistematicamente attaccati dalla critica di regime. Le sue opere maggiori, come "Il maestro e Margherita", furono pubblicate in Russia solo dagli anni sessanta, nel periodo del postdisgelo.
Boris Pasternak, col suo "Dottor Zivago" rivelava il dolore dell'individuo cosciente, reso impotente dalla violenza del potere, di "quel" potere. Per lui venne coniato il termine "dissidente". Aveva avuto coraggio, e aveva visto giusto. Premio Nobel. Ma ecco ancora la mia memoria vagare fino all'approdo cinema. E così eccolo: Sergei M. Eisenstein, il regista che rinnovò il linguaggio del cinema. Un primo motore che lascia eredità anche ai nostri tempi. Eisenstein è stato il testimone-cantore della rivoluzione. Ma è un cineasta, significa "privilegio". Perché il cinema non ha le stesse responsabilità della scrittura, quella vera, grande, che deve essere univoca nella verità. Il cinema si permette franchigia, immunità, licenze. Le invenzioni e gli errori gli vengono perdonati. Nascita di una nazione (Griffith) e Olympia (Riefenstahl) sono apologetici del razzismo e del nazismo, eppure sono considerati capolavori assoluti, opere d'arte. Così come La corazzata Potëmkin.
Si chiude qui la mia indicazione, che è anche una revisione, e qualcosa mi è costato, del mio pensiero. I nomi, le scelte, sono -uso ancora quel termine - discrezionali. Ma credo che sia qualcosa di condivisibile da parte di... molte discrezioni. Il giudizio finale di merito, il quesito ultimo può essere questo: il cinema, adesso, prevale: va bene così?
Adesso sceglierò un romanzo di cui mi fido. E comincerò a leggere.