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Grandi film contro la depressione economica

Il soccorso non ci viene dal nostro cinema.
di Pino Farinotti

In foto Jean Dujardin e Bérénice Bejo, protagonisti del film The Artist.
Jean Dujardin (52 anni) 19 giugno 1972, Parigi (Francia) - Gemelli. Interpreta George Valentin nel film di Michel Hazanavicius The Artist.

lunedì 19 dicembre 2011 - Focus

Comincio con uno stralcio del mio libro "Storie di cinema".

"All'inizio degli anni Trenta, quando l'America, e il resto del mondo, soffrivano della famosa crisi economica, il presidente Roosevelt accettò di buon grado che Hollywood giocasse il suo ruolo più adeguato, quello di fabbrica dei sogni, quello di grande-anestetico-per-il-momento. Astaire-Rogers e Walt Disney furono fra i maggiori eroi di quella contingenza. I due ballerini nerobiancovestiti, erano agili come schizzi, eleganti più dei cigni, sorridenti a oltranza, affrancati dell'eterno happy end, e cantavano le canzoni, sempre felici, dei più grandi compositori, Gershwyn, Kern, Porter, Berlin. Tutti dispensanti l'innocua felicità necessaria per aspettare tempi migliori. E i 7 Nani si alzavano all'alba, scavavano diamanti grossi come mele, già tagliati, a sacchi, Cucciolo chiudeva a chiave la porta del forziere e appendeva la chiave a un chiodo esterno. Tornavano a casa al tramonto stanchi e felici, ma cantando, e vivevano come se fossero poveri. Era la trionfale metafora dell'avere ed essere: i diamanti, la ricchezza? Che importa, valgo io e sto bene in povertà. In attesa del nuovo benessere, che certamente verrà. Tutto questo funzionava."

Aggiungo un'altra citazione decisiva, la poetica rassicurante di un Frank Capra, con titoli come La vita è meravigliosa, dove James Stewart, in gravi difficoltà, si vede la casa invasa a Natale da una schiera di amici e di sconosciuti, che portano il loro obolo per salvarlo. Noi purtroppo sappiamo che il nuovo benessere non ci sarà comunque, e neppure se "tutto questo" funzionerà. Rilevo tuttavia, in questa ultima fase dell'anno, alcuni film benemeriti in quella chiave, grandi e belli: Pina 3D, Miracolo a Le Havre, Midnight in Paris di cui ho già detto, e The Artist, di cui sto per dire. Piccoli incanti che ci tutelano, appunto, dal malessere globale: l'economia, i politici (tutti proprio tutti), e ci tutelano anche dal piccolo schermo che, invece di difenderci come fanno quei film importati, sono vettori di angosce maggiori. Miracolo a Le Havre è una parabola "evangelica laica" con piccole cose che diventano grandi significati. Pina 3D è la combinazione strepitosa del talento di due tedeschi al vertice della cultura generale, la Bausch e Wenders. Midnight in Paris è la favola portatrice di incanto capace di mediare fra critica e pubblico, e non è poco.
A fronte di questi titoli grandi&belli, intorno al Natale, tradizionalmente arrivano i titoli che sappiamo, i cosiddetti cinepanettoni e simili, italiani. I titoli sono Il giorno in più, Anche se è amore non si vede, Vacanze di Natale e Finalmente la felicità: Volo, Ficarra e Picone, Pieraccioni e De sica e compagni. Titoli e modelli che dovrebbero avere, data la doppia circostanza, la funzione dell'evasione e del deterrente. Ma la missione non riesce. Nessuna felicità per noi. L'unico risultato è qualche risatina annacquata, a basso costo. Solita roba, solita debolezza, solita "qualità". Non c'è solo la mia discrezionalità, tutte le testate, della carta, del video e del web, concordemente, nei loro giudizi hanno attribuito ai titoli stranieri quattro/cinque stellette, a quelli italiani una/due. La differenza è proprio quella.

Club
L'ultima new entry nel club della qualità, dei titoli detti sopra, è The Artist. Un film ambientato nel 1927 potrebbe essere il film dell'anno 2011. Se ne parla tanto, la critica lo ha molto gradito, il pubblico comincia a gradirlo. Il film è un paradosso, ha molte chiavi di lettura e, secondo i codici attuali, possiederebbe tutto per non avere successo: è muto, in bianco e nero, non ci sono divi, racconta una storia antica e sorpassata, non si preoccupa del target del cinema (i giovani diciamo), è pieno di citazioni – a cominciare dai cartelli con le battute scritte - che appartengono alla cerchia, piccola, dei cinefili puri. Un film come questo, secondo logica, sarebbe stato proiettato in una saletta con pochi ospiti lontani l'uno dall'altro, con qualche risata sommessa che si levava dai quattro cantoni, secondo la memoria personale del cinefilo. Invece l'"Artista" è qualcosa di molto felice. In breve la storia: nel 1927 il cinema soffrì il trauma del passaggio dal muto al sonoro, non bastava più lo sguardo e la presenza, occorreva essere attori. Come disse James Stewart, l'unico che non ebbe problemi fu Rin tin tin. I clichè ci sono tutti: la stella che nasce, giovane talentuosa e parlante, quella che tramonta, il divo non parlante appunto, e Hollywood che da un momento all'alto si trasforma da paradiso a inferno.
Il regista Michel Hazanavicius, ironico, talentoso, per sei anni ha creduto nel progetto anomalo e senza promesse, ed è riuscito a farlo. Ed è stato ricompensato. Merita un segnale forte Jean Dujardin, il protagonista, nel ruolo di George Valentin (ma guarda). È incredibile come riesca ad assomigliare a tutti i divi di quelle epoche: da Rodolfo Valentino (naturalmente) al Fredrich March di È nata una stella, titolo eroico in quella chiave, a John Gilbert, che fu travolto dal sonoro e ne morì, a Douglas Fairbanks, divo assoluto dell'avventura. Infine Gene Kelly, ironico strepitoso in Cantando sotto la pioggia, che racconta, in musica, quello storico passaggio del 1927. Lo so, sono tutte citazioni da cinefilo, ma spero, come Hazanavicius, di averle trasmesse in semplicità. La "stella nascente", nel ruolo di Peppy Miller è Bérénice Bejo, bella e brava, capace di tutto, come accadeva in quei bei tempi, quando non entravi in uno studio, e non facevi film perché eri transfuga del grande fratello, ma perché sapevi ballare, e recitare, perché eri portatrice di grazia. Naturalmente non riesci a sostenere muto, b/n e tutto il resto, seppure pieno di intelligenza e sortilegi, se non c'è sotto una buona musica. Dunque è doveroso citare Ludovic Bource, che ha composto e scelto le musiche. Il numero finale di George e di Peppy è uno sfrenato tip tap che rimanda naturalmente a Ginger e Fred. Era il cinema eroico degli anni Trenta di cui ho detto sopra. Wenders, Kaurismaki, Allen e Hazanavicius non sono eroi perché non è più tempo di eroi, ma sono grandi autori. Una fortuna per tutti noi, che ci siano. Rilevo infine la grande, primaria, opportuna indicazione di The Artist, in questa brutta epoca di "rumori" deprimenti, violenti e volgari : il silenzio.
Peccato che tutto questo ci arrivi da fuori.

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