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The Tourist: un nuovo (mini) genere

Fra Bond e Hitchcock.
di Pino Farinotti


lunedì 20 dicembre 2010 - Focus

The Tourist è una spy story apparentemente tradizionale. L'uomo comune che si trova coinvolto in un intrigo internazionale, incontra una donna misteriosa, trova le risorse per venire a capo dell'intrigo e trova anche l'amore.
Ecco, il nodo è "apparentemente". In realtà ci sono implicazioni di cinema e di racconto che fanno del film un piccolo precedente, una sorta di (mini)genere. Ricordo qualcosa di simile, quando nel 1985 John Huston diresse L'onore dei Prizzi. Sulla scorta delle storie alla "padrino" il regista ci mise il suo registro e fece un film ironico, dove quei personaggi diventavano, in ottimo stile non c'è dubbio, caricature di se stesse. Anche allora si disse di nuovo genere, ma poi i padrini continuarono, ma senza ironia. Per cominciare il regista: Florian Henckel von Donnersmarck. Ha dato ottima prova di sé con Le vite degli altri, meritato "Oscar straniero" nel 2006. È dunque lecito pensare che l'autore abbia piena consapevolezza del proprio linguaggio e i segmenti, ironico e grottesco, del film non siano casuali. Così com'è legittimo accogliere le infinite citazioni e ispirazioni positivamente. "Tourist" richiama un'opera dell'artista Rotella: collage composti, strati che riproducono una Marilyn, a fianco della poesia di una Merini, e seminascosta una locandina di Casablanca. Naturalmente siamo lontani dalla satira e dal grottesco demenziale e grossolano delle "pallottole spuntate" e delle "scuole di polizia", anche se il ramo famigliare, spurio e senza nobiltà, può essere quello.

Motore
Il primo motore, grande motore, arriva proprio da "intrigo internazionale", inteso come titolo di Hitchcock. Angelina Jolie è, fatte le debite differenze di estetica e di tempo e di tutto il resto, esattamente Eva Marie Saint. Angelina comincia col camminare per Parigi, il passo, le anche, il sedere, lo sguardo, e poi le parole: è un sottile, imploso orgasmo perenne. Sul treno abborda Johnny Depp proprio come la sua omologa anni '50 aveva adescato Cary Grant. Sono seduti l'uno di fronte all'altra, il paesaggio scorre dal finestrino. Lei si offre con precise metafore, sembra di essere su scherzi a parte.
La tensione iniziale è mutuata anche dai "Bond". Location che si incastrano l'una nell'altra, agenti appostati, tecnologia estrema, satellitari, display attivati in tempo reale, e un modello-James Bond viene anche tradotto, nel corpo e nel volto, da Timothy Dalton, a suo tempo 007 corretto se non entusiasmante. È l'agente leader delle operazioni cosmopolite. E poi, gli 007 sono di casa a Venezia, un po' tutti, da Connery, a Moore, a Craig. Un cinefilo attento potrebbe rinvenire anche una memoria lontana, un bianco/nero di Molinaro, 1963, dove l'agente Brigitte Bardot si innamora del fragile e maldestro Anthony Perkins e, pur proteggendolo, ne fa uno strumento di intrigo. Il titolo è Un'adorabile idiota, appunto.

Venezia
Poi c'è Venezia, location magnifica. E qui sta il diverso. Venezia, lo sappiamo, è stata set di decine di registi. Ricordiamo l'affezionato Allen, che però amava più i rialti, i ritrovi, i piccoli ponti e le piccole calli. Donnersmarck non usa quello scenario come cornice o tappeto, ne fa un protagonista. "Venezia" andrebbe scritto nei titoli prima di Depp e Jolie. Usa quel teatro come Ford usava la Monument Valley e Hitchcock (e dagli) il monte Rushmore. Assistiamo a rincorse di motoscafi nel Canal Grande, nei canaletti stretti e in mare aperto davanti all'Arsenale. C'è il mercato del pesce dove Depp precipita. E naturalmente l'extralusso. La facciata del Danieli, l'interno barocco, la suite esagerata. C'è persino un ballo, smoking e abiti da sera "esagerati". Un vero richiamo a certi balli nei film della Metro, alla Vedova allegra.

Assoluto
Il cattivo. Gli sceneggiatori, fra cui il regista, hanno creato il cattivo assoluto. E siamo sempre nel territorio-Bond. È un russo che, giusto per fare un esempio, ha fatto uccidere tutti gli amanti, pregressi, di sua moglie, e visto che erano un po' troppi, anche la moglie, e poi i genitori e gli amici di famiglia. Il dr. No, la Spectre, Drax, Largo, Scaramanga, Goldfinger, Le Chiffre, erano risibili teppistelli.
È prassi consolidata, quando si produce un film un certo Paese, ospitare personaggi di quel Paese. Donnersmarck ha largheggiato. Va detto che gli inserti italiani sono appropriati, ma va anche detto che alla prova del nove internazionale, quasi sempre i nostri modelli sono a disagio, c'entrano poco. In mezzo alla gran festa ad Angelina si avvicina un fascinoso conte italiano, Bova: "Se il destino mi ha portato qui in questo momento la ragione è lei..." Ma Angelina non si fa incantare, rinuncia. È solo un lampo, Raoul il bello non ha il tempo per deludere. De Sica scarica i cinepanettoni e Belen ed è un commissario, corrotto, credibile, senza infamia. Alessio Boni è un poliziotto a sua volta credibile, e poi ha faccia internazionale. Ci sta. Frassica fa un carabiniere, cioè se stesso. Non si prende responsabilità. Marcorè fa quello che può fare in un film di ottimo respiro, il portiere d'albergo.

Dunque un insieme di elementi di cinema accreditati, sicuri, fusi in una formula che fa spettacolo. Di questi tempi va più che bene.

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