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Franco Nero, l'eroe

A Milano una serata dedicata all'attore.
di Pino Farinotti

Troppo grande per il cinema degli anni Ottanta
Franco Nero (Francesco Sparanero) Altri nomi: (Frank Black / Lescovar / Frank Nero ) (82 anni) 23 novembre 1941, Parma (Italia) - Sagittario. Nel film di Giancarlo Planta Angelus Hiroshimae.

lunedì 21 giugno 2010 - Focus

Troppo grande per il cinema degli anni Ottanta
Mercoledì 23 lo Spazio Oberdan di Milano ospiterà Franco Nero. L'occasione è la presentazione dell'ultimo film di cui è protagonista, Angelus Hiroshimae, più che occasione, è pretesto. Sarà l'attore al centro dell'attenzione. Un'attenzione che Franco Nero certamente merita. Per molte ragioni. Voglio esordire con una citazione nobile. In Viale del tramonto Joe Gillis (William Holden) dice a Norma Desmond (Gloria Swanson) "io vi conosco, siete Norma Desmond. Eravate grande". L'anziana diva solleva il sopracciglio e solenne risponde "io sono sempre grande, è il cinema che è diventato piccolo." La partenza è un po' enfatica, ma visto che di cinema trattasi, voglio trasferire il concetto a Franco Nero. Negli anni Ottanta, quando certi codici del cinema italiano vennero rivisti, Nero era davvero "troppo grande" per quel cinema. Da quel momento l'attore è diventato una sorta di primatista mondiale delle produzioni. Ha girato in una trentina di Paesi. Scelto da alcuni dei massimi maestri del mondo, come Fassbinder, Buñuel e Chabrol. In America è adorato. Uno dei suoi più grandi fans è Quentin Tarantino che recentemente, a New York, in occasione della prima mondiale di Angelus Hiroshimae ha detto che se non ci fosse stato Nero non ci sarebbe stato Tarantino. Il regista di Pulp Fiction ha forse un po' sospinto il concetto, ma è vero che Nero ha percorso anche quel cinema italiano di "sottogeneri" del quale si intravvedono precisi segnali nel percorso di Tarantino.

Appassionato
Conosco bene Franco Nero, è un istintivo, appassionato, ama le grandi manifestazioni umane. Nel '67 in Camelot, diretto da Joshua Logan, aveva la parte di Lancillotto e Vanessa Redgrave quella di Ginevra. Il cavaliere e la regina, si sa, si innamorano disperatamente. Così come si innamorarono Franco e Vanessa. Davvero grande amore. Ebbero un figlio, si separarono ma Franco parlando di Vanessa diceva "mia moglie". Quattro anni fa si sono sposati in privato. Quando la Redgrave, di recente, ha sopportato lutti gravissimi (la sorella, e la figlia avuta da Tony Richardson) Franco non l'ha lasciata sola un istante. Franco e Vanessa, una delle più belle storie d'amore che va ben oltre il cinema. Lui, è così. Grande passione in tutto, come nei ruoli che ha interpretato. Che sono diversi ed eroici, persino "mitologici". È stato westerner Django, il già citato cavaliere Lancillotto, il deputato antifascista Matteotti, Garibaldi, Walter Audisio, più celebre come Valerio, il giustiziere del duce. Poi ha fatto padre Cristoforo manzoniano. Ha dato corpo e volto a un detective alla Bogart in Un detective e al capitano dei carabinieri de Il giorno della civetta, da Sciascia. È stato Rodolfo Valentino. Un carattere forse unico nel cinema italiano contemporaneo. Era un divo a 25 anni. Ma quando avrebbe potuto dare il meglio, come detto sopra, il cinema gli si è sottratto, non lo ha ignorato, ma non gli ha concesso ciò che avrebbe dovuto. Perché il cinema italiano era cambiato, impegnato a rincorrere il sociale e la politica. Dedito a trasfigurare alcuni dei codici che sono indispensabili al cinema, ne sono il cuore e la testa: l'eroe, il buono che prevale sul cattivo, il modello in cui ci si può identificare, dunque migliore di noi e con maggiore appeal. E poi naturalmente le storie: i sentimenti diventavano banali, i genitori dovevano essere cattivi, il diverso era sempre migliore di te, se non ti facevi almeno uno spinello diventavi uno sospetto. E poi si dileguavano i generi. I nuovi protagonisti si chiamavano, fra gli altri, Orlando, Lo Cascio, Fantastichini, Amendola, e più tardi Marcoré, Bisio, De Luigi, Germano. Modelli di un cinema provinciale e modesto che avrebbe allontanato il pubblico, quasi azzerato l'esportazione, e che sarebbe stato ignorato dai grandi Premi. Certo non era più il cinema di Nero, di un divo, di un eroe. La sua faccia internazionale e nobile, il suo appeal, i suoi occhi brillanti come alogene azzurre, non servivano più.

Erede
Nero era il naturale erede della generazione precedente la sua, i Sordi, i Tognazzi e i Mastroianni, ma con qualche cosa in più. Mastroianni, grandissimo, profeta del maestro massimo Fellini, era comunque – non voglio ledere una maestà- un italiano, anzi, un romano. Davvero non avrebbe potuto fare Lancillotto, e neppure Django. Mentre Nero avrebbe potuto benissimo essere il Marcello della Dolce vita, e immergersi nella fontana con Anita. Franco Nero, dunque, attore del mondo. E in quella chiave è riconosciuto, i suoi film in Dvd sono venduti dovunque, anche in paesi come la Cina o il Messico. Certo che la sua qualità è stata riconosciuta anche da noi, ma non abbastanza.
In questi giorni è in distribuzione, in America, Letters to Juliet, girato a Verona, un film di grande budget, con Amanda Seyfried, Gael Garcia Bernal, soprattutto con Franco Nero e Vanessa Redgrave. Il film ha già incassato oltre sessanta milioni di dollari negli Usa. È il segnale che il nostro attore è ancora molto amato là dove conta.
Angelus Hiroshimae è diretto da Giancarlo Planta. La storia: siamo vicino a l'Aquila, un cacciatore (Nero) spara e ferisce un essere molto strano, una specie di angelo giapponese. Se lo porta a casa e lo cura. Elementi di letteratura: il Libro degli Haiku, di Jack Kerouac, e di surrealismo. Un Franco Nero nuovo, un altro esperimento. E, come sempre, un attore all'altezza.

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