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Appunti sul cinema italiano in Laguna

Riflessioni sul cinema italiano in concorso alla 65esima Mostra del Cinema.
di Marzia Gandolfi

Partecipazione di un cinema (italiano) annunciato
Isabella Ferrari (Isabella Fogliazza) (60 anni) 31 marzo 1964, Ponte dell'Oglio (Italia) - Ariete. Interpreta Emma nel film di Ferzan Ozpetek Un giorno perfetto.

mercoledì 10 settembre 2008 - Focus

Partecipazione di un cinema (italiano) annunciato
Qualcuno è ancora convinto che un festival di cinema si possa e si debba giudicare in base alla qualità complessiva dei film selezionati. È un giudizio questo che scaturisce dalla malattia della cinefilia, talmente assediata dalle proprie ossessioni da cercare nel programma festivaliero principalmente la possibilità di appagare i propri piaceri privati. In realtà, tutti lo sanno benissimo, la qualità dei film selezionati non dipende (quasi) mai (soltanto) dal direttore o dai suoi consulenti. La scelta dei film può essere determinata dalle imposizioni del mercato, dai capricci o dagli interessi di questo o quel produttore, dai giochi diplomatici e geopolitici o addirittura da quel che passa il convento, vale a dire quei film pronti in tempo utile per essere presentati nelle date del festival. L'edizione numero sessantacinque è arrivata in porto con più serenità di quello che le accese polemiche preventive facevano prevedere: "doveva esserci questo", "avevamo chiesto quello", "ma questo non era pronto", "l'altro doveva essere rimontato", "un altro ancora è stato ritirato in corsa dalla produzione" e bla, bla, bla.
Risultato? Medio è lo spessore "medio" del cinema presentato in e out: senza punte, senza scoperte, onestamente autoriale, decentemente consumistico, con rarissimi picchi di urgenza o di scardinamento. La giuria ha fatto il suo lavoro con intelligenza e dignità, senza escludere nessuno (eccetto l'efficace rappresentazione dell'interiorità femminile delle sorelle di Demme) e senza includere troppi premi "necessari" (la Coppa Volpi a Silvio Orlando). Detto questo, tentiamo comunque un resoconto sul più importante Festival italiano, limitando la riflessione alle rappresentanze griffate del nostro cinema in Concorso che, escludendo la singolare e preziosa prova di Marco Bechis, sono un'istruttiva e letale antologia di cosa non bisogna (più) fare al cinema: omologarsi ai codici e ai canoni sconfortanti della Tv. Forse servirebbero uno scatto di fantasia e un guizzo di indignazione contro la scarsa originalità del cinema italiano in concorso. Afasico, inconcludente.

Venezia contro
Lontani dagli schermi della Laguna è lecito interrogarsi con meno emotività sul cinema italiano in concorso a Venezia, che ha portato in gara un film vecchio (Il papà di Giovanna), un film che non conosce né riconosce la realtà che rappresenta (Un giorno perfetto), un film gaio che resta soltanto come vezzo almodovariano (Il seme della discordia) e un film riuscito sui corpi rimossi (dalla terra) e destinati all'anonimato (La terra degli uomini rossi - Birdwatchers). Dopo avere girato un film sull'eclissi della paternità (La cena per farli conoscere) a Roma, Avati torna (di nuovo) a Bologna per raccontare di una madre mancata, di una figlia in cerca di definizione esistenziale e di un padre che si offre come pesantissimo specchio del fallimento della realtà. Senza rinunciare al vezzo della voce narrante, che poi è la debolezza di tanto nostro cinema incapace di prendere di petto la narrazione e farsi carico del suo peso in maniera diretta, il regista emiliano racconta un mondo in cui le identità si giocano sui rapporti di dipendenza, per svincolarsi dai quali bisogna avere l'onestà di riconoscersi piccoli e forse sbagliati ma dignitosamente se stessi. Ancora una volta, sullo sfondo della complessità delle relazioni affettive e familiari che sfociano in un omicidio, c'è l'Italia fascista da liberare e liquidare con la fucilazione dello sgherro Ezio Greggio. Così i personaggi di Avati risultano figurine "seppiate" uscite da un album degli anni Quaranta, che niente dicono sul nostro periodo e niente aggiungono alla comprensione del fenomeno "resistenza" (evento storico) o del "caso di nera" (evento privato). Altra storia e altro film è il Giorno perfetto di Ferzan Ozpetek, che aveva già dato segni di un cinema tanto superbo quanto impaziente di voler "dire qualcosa di importante" sull'Italia, sul senso della vita e della propria generazione. Abbandonata la convivialità dei bagni turchi e delle tavole imbandite, aperte le finestre e consultato l'astrologo, il regista turco-romano vira verso un cinema verista, abitato dalla "diversità" di poveri e miserabili con le facce da fotoromanzo. Ozpetek, come Avati, riflette sulla "cronaca" (se pure "romanzata" da Melania Mazzucco) e trasforma la Capitale nel teatro di un assassinio e di un suicidio che illuminano i precari equilibri di una famiglia, senza riuscire ad allontanare lo spettatore dal sensazionalismo e riavvicinarlo al senso vero delle cose. Gli omicidi trovano un colpevole ma restano "irrisolte" le insormontabili difficoltà di un cinema italiano che non riesce a destarsi dal torpore intimista e a confrontarsi con grandi questioni politiche e storiche, risultando una volta di troppo cinema normalizzato in "bello stile".

Complesso di colpa
Fuori di provocazione si può dire che La terra degli uomini rossi - Birdwatchers è il film italiano più rilevante presentato all'ultima Mostra di Venezia. Se è vero che i registi fanno sempre lo stesso film, Marco Bechis non fa eccezione. Nato in Cile (da madre cilena e padre italiano) e vissuto a Buenos Aires sotto il regime militare, all'origine del suo cinema c'è un complesso di colpa e ogni film ha l'urgenza di lavare una macchia e di supplire a un'ingiustizia. Da Alambrado a Figli, passando per Garage Olimpo, fino ad arrivare alla Terra degli uomini rossi, Bechis cerca la redenzione per ciò che non resta: la cancellazione dei corpi dei desaparecidos argentini, la sottrazione della terra in Patagonia o l'annullamento della civiltà indios del Mato Grosso do Sul. Muovendosi tra i seminterrati claustrofobici delle torture di Garage Olimpo, le manifestazioni in piazza di figli senza padri e le rivendicazioni di un popolo senza più terra e radici, il cinema di Bechis prende e rilascia un respiro internazionale mille miglia lontano dai giochi minimalisti del cinema italiano. Il dovere della memoria, la volontà di una giustizia in terra, la messa in scena dei crimini della storia, di questo e di niente altro ha bisogno Bechis. Un autore che ha ancora fiducia nelle immagini, che scava all'interno delle inquadrature e riduce i dialoghi al minimo. Perchè nel suo cinema l'immagine è ciò che è inutile dire.

Effetti collaterali
Accade a Venezia Lido come in altri lidi, di vedere nelle sezioni collaterali film che non avrebbero sfigurato al posto di quelli inseriti in concorso. Ma da sempre la spartizione e la logica delle attribuzioni alle varie sezioni resta la questione più opinabile e misteriosa dell'intero apparato Mostra. Anche quest'anno allora, limitandoci sempre al panorama italiano, a Venezia si è peccato. Il film di Pappi Corsicato (tacendo pietosamente sugli altri) ficcato in concorso poteva assolutamente restarne fuori, viceversa "i relegati" fuori gara avrebbero dovuto essere presentati in gara. Colpevole di "leggerezza", Il seme della discordia è un intermezzo gioioso, un impasto ironico di sensi, ragioni, riferimenti mitologici e assunzioni archetipiche praticate in chiave bassa, che poteva, volendo, restare a casa e trovare il suo senso pieno direttamente in "sala". Ancora una volta i film di fiction italiani più interessanti erano nelle sezioni autonome, dove non si sono limitati certo a riempire le caselle delle "notti veneziane".

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