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ONDA&FUORIONDA

Cari Zalone&Nunziante, vi (ri)scrivo. Lettera di Pino Farinotti.
di Pino Farinotti

In foto una scena del film Sole a catinelle.
Checco Zalone (Luca Medici) (46 anni) 3 giugno 1977, Bari (Italia) - Gemelli. Interpreta Checco nel film di Gennaro Nunziante Sole a catinelle.

domenica 3 novembre 2013 - Focus

Nel gennaio del 2011, in occasione dell'uscita di Che bella giornata, scrissi una lettera aperta a Gennaro Nunziante, che sotto ripropongo. Il regista di Zalone mi telefonò ringraziandomi perché il mio intervento lo garantiva rispetto a una certa critica prevalente, con la "puzzetta sotto il naso", che si era espressa sul film con... scarso entusiasmo. Ecco la lettera relativa a Che bella giornata.

"Caro Nunziante,
le scrivo con piacere autentico. Il mio pensiero sul suo Che bella giornata l'ho già espresso in questa sede, con entusiasmo. Magari non le è sfuggito. E, mi creda, "entusiasmo", riferito al cinema italiano è un termine nuovo per quanto mi riguarda. Scrivo a lei perché in un mio intervento dicevo che di Nunziante si parla troppo poco. Lei firma regia e sceneggiatura, credo che Zalone, naturalmente, non sia estraneo ai contenuti, tuttavia il titolare è lei. Il primo pensiero è mio personale. Io sono milanese, il Duomo è ospite quasi perenne dei miei romanzi, nel mio ultimo, "Il quarto ordine", ne è addirittura protagonista. Lei è barese e mi ha scippato la mia cattedrale. Ma glielo perdono. L'altro pensiero può essere definito di sconcerto. Lei ha stravolto un sacco di regole del cinema, a cominciare dal record di incassi, che ci starebbe, ma vivaddio c'è troppa intelligenza per un record di incassi. E poi la sua capacità di dire cose profonde e devastanti, così "maleducate", e di farle accettare. Lei si prende gioco dei gay, dell'Islam, della Chiesa, del Paese, con un linguaggio diretto, non ha bisogno di metafore. È una franchigia, un lusso che appartiene a pochi, se non a nessuno. Chiunque sarebbe crocifisso dal pensiero corrente, solo che se le sue esternazioni hanno tutto quel consenso (da record), forse il pensiero corrente non è quello giusto. C'è il pensiero pubblico (corrente appunto) e quello privato (di Nunziante-Zalone): sono pensieri opposti. Adesso dico qualcosa di culturalmente banale e acquisito, parlo degli strati di lettura. C'è il primo livello, che fa ridere tutti, poi ci sono tutti gli altri, fino alla decifrazione della metafora, l'interpretazione del simbolo. Cito in questo senso il pranzo a casa Zalone coi terroristi, che partiti durissimi e pericolosi, vengono distrutti... dalla diarrea. Una sequenza che entra di diritto nell'antologia privilegiata della comicità. Faccio un riferimento nobile, due nomi suoi predecessori, Age e Scarpelli, nessuno come loro, neppure i romanzieri accreditati, riuscì a dire cose importanti col sorriso. Ma erano tempi diversi, Paese, politica, cultura: tutto era un po' più serio, e il loro lavoro era più semplice. Adesso che è tutto così complicato e volgare lei ha preso il toro per le corna, fatto di necessità virtù, ha divertito con intelligenza -lo ribadisco- e senza volgarità. Divertire, ecco la parola chiave. Zalone-Nunziante, un deterrente, una boccata felice a fronte di... tutto quello che sappiamo. Certo, c'è qualità anche in un Saviano, uomo benemerito e coraggioso, ma che angoscia leggerlo e ascoltarlo. Se il sentimento immediato di Che bella giornata rimarrà tale anche più avanti, se resisterà alla prova della memoria e del tempo, come credo, attribuirò al suo film le 4 stelle. Per un film italiano non mi accade da una vita. Se non saranno 4 saremo comunque da quelle parti. Complimenti vivissimi."

Ho visto Sole a catinelle e riscrivo ai due autori che, ancor una volta, stanno dominando il botteghino. Occorre capire se "dominare il botteghino" sia... sufficiente.

"Cari Nunziante e Zalone, ho letto i testi, scritti prima dell'uscita nella sale, che hanno accolto il vostro nuovo film e ho rilevato un certo fastidio per il vostro scontato, preventivo, successo, di pubblico. Riprendo un passaggio della prima lettera: "Lei si prende gioco dei gay, dell'Islam, della Chiesa, del Paese, con un linguaggio diretto, non ha bisogno di metafore. È una franchigia, un lusso che appartiene a pochi, se non a nessuno. Chiunque sarebbe crocifisso dal pensiero corrente".
Ecco, la critica corrente ha cercato e trovato gli spunti, forse non per crocifiggervi, ma per cominciare ad innalzare la croce. Dico subito che il vostro terzo film non possiede la freschezza e le invenzioni dei primi due. Meglio, le "invenzioni" ci sarebbero, ma sono le stesse di prima, dunque non più... invenzioni. Tuttavia qualcosa rimane, importante, ed è la spinta propulsiva della risata, che non andrebbe analizzata, sviscerata come si fa con certe opere d'arte, certo va definita, magari rispetto ad altri registri deboli, stupidi e volgari di comicità. Gli ultimi tre aggettivi non vi riguardano, siete sempre i più divertenti d'Italia. Voglio rilevare anche un ulteriore progresso di Zalone come attore puro, come nella sequenza del bambino muto, guarito da Checco senza saperlo.
E poi: le citazioni. Quando ti ispiri a modelli assoluti, a eroi eponimi e non fai nulla per nasconderlo, non fai niente di riduttivo, anzi, il contrario. Woody Allen ha sempre citato con orgoglio il suo maestro Groucho Marx. E così ho apprezzato i modelli evoluti dei De Filippo, del Sordi del Conte Max e di Jerry Lewis nelle due maniere: quello del gesto "animato" e scoordinato (la partita a golf) e quello surreale e demenziale delle sue regie.

Una volta fatta questa premessa, mi permetto di darvi, come artisti che mi stanno a cuore, qualche indicazione che può esservi utile. È vero, Checco, che le figure di contorno di cui ti sei circondato, quasi tutte, sono un po' di maniera e strumentali e schiacciate dalla tua leadership. Come quando riduci Marco Paolini a un modello, il manager corrotto, che l'autore Paolini nel suo teatro dissacrerebbe. Così come finiscono per essere conosciuti e scontati gli inserti sociali, politici. Certo, li proponete scherzandoci sopra: la crisi generale, la fabbrica che chiude, la corruzione, le tasse, le bandiere rosse. I ricchi e i poveri. Tutta roba che ci assale e deprime, quotidianamente, dal piccolo schermo. Certo, la tua bravura riesce ancora a farla funzionare, ma il pericolo, in trasparenza, lo si intravvede. Ancora in trasparenza, per ora. E una mia indicazione è questa: forse occorre cambiare registro, in una quarta puntata la trasparenza cadrebbe. Mi permetto qualche promemoria. Dopo aver firmato L'armata Brancaleone Monicelli ne fece un sequel, cercando un'evoluzione di stile, una grana poetica più sottile, ma Brancaleone alle crociate, pur essendo pieno di invenzioni e di fantasia, aveva perso la potenza del master. Così il regista si fermò. Fatti tutti i dovuti distinguo, naturalmente. È vero, occorre misurare tutto con grande attenzione, misurare l'evoluzione. Aldo, Giovanni e Giacomo hanno colto la necessità, hanno cambiato, ma di volta in volta hanno perso qualcosa rispetto alla formula dell'inizio. E c'è un altro pericolo, anzi, l'ipotesi di un pericolo, quello della sindrome del (troppo) successo. E qui faccio un nome, Benigni, che dopo La vita è bella, grande film peraltro, in nome degli Oscar che si era visto attribuire, ha ritenuto di essere infallibile e successivamente ha smarrito gran parte dell'ispirazione e del sortilegio. Ma guai a chi glielo diceva. Gennaro, Checco, accogliete questa lettera come allerta preventivo di un amico. Sono sicuro che saprete evitare tutti questi, per ora potenziali, pericoli e saprete evolvere senza smarrire l'identità. Siete gente di grande esperienza e di ottimi studi.
Aspetto la vostra telefonata, e che sia amichevole, come l'altra.

Vostro Pino Farinotti

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