Ennesima regia per eastwood ormai settatontenne e con una esperienza che solo i grandi del cinema posso fregiare. In Gran torino oltre a dirigere interpreta walter kowalski, reduce di guerra, arrabbiato con il mondo e in perenne conflitto con esso. Ormai vedovo non ha rapporti che potrebbero definirsi tali con i figli e vive in quartiere abitato da immigrati asiatici con la sola passione per la sua Ford Gran Torino. L'esistenza Kowalski, burbero e razzista, si scontra con quella di thao, ragazzino senza padre, vessato da una gang di teppisti che lo vogliono arruolare tra le proprie fila, li propongono anche una prova di iniziazione, rubare la Gran Torino del suo vicino. Thao maldestramente fallisce e anzi viene salvato in una lite con la gang dal suo burbero vicino. Cosi kowalski inzia a conoscere la cultura che disprezza e in parte scoprendola più vicina a lui e avente ancora i valori che persino i suoi figli non hanno più. Film che a una lettura veloce e semplice può urtare per l'aperto razzismo del protagonista e per lo svolgersi classico e buonanista della vicenda. Ad una lettura più profonda emerge il rapporto che si costruisce tra i due protagonisti, kowalski, reduce perseguitato dai fantasmi di guerra vede in thao quello che non sono i suoi figli biologici in quanto portatore di valori dagli altri dimenticati. Il personaggio interpretato da un ottimo eastwood segue una parabola evolutiva nel film arrivando alla fine ad evitare per thao l'orrore dell'uccidere che l'ha perseguitato per tutta la sua vita.
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