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ONDA&FUORIONDA

Cinema italiano in crisi: bravi caratteristi, ma non basta.
di Pino Farinotti

In foto Rocco Papaleo e Luciana Littizzetto in una scena del film È nata una star?
Rocco Papaleo (66 anni) 16 agosto 1958, Lauria (Italia) - Leone.

domenica 13 maggio 2012 - News

Gli addetti stanno studiando i numeri recenti del cinema. Prevalgono i francesi e gli americani, il pubblico diserta il cinema italiano. Non intendo entrare nei dettagli di quei numeri, ne rilevo uno decisivo: la quota di incassi del nostro cinema è stata, nel 2011, del sedici per cento. Un'ulteriore caduta anche rispetto alla stagione precedente. Un risultato deprimente, una brutta conferma. Le testate importanti, a cominciare dai quotidiani, non possono esimersi dal riscontrare tristemente questa realtà. Diciamo che hanno anche il diritto "istituzionale" di difendere il nostro cinema per mille e una ragioni: dal mercato, al prestigio, al riflesso internazionale, ai finanziamenti governativi. Però di fronte ai numeri non resta che un'analisi che finisce per essere impietosa. C'è sempre qualche addetto, un funzionario, un presidente di qualche istituto, magari un produttore, che insiste, tenacemente, nel rilevare che il cinema italiano è sano e fiorente. Già una volta descrissi quel soggetto ottimista, e miope, come quel portavoce di Saddam che dichiarava che Baghdad era al sicuro e che i nemici erano in fuga, mentre alla sue spalle la televisione inquadrava gli americani che stavano entrando in città. Un quotidiano importante, commentando i numeri, ha pubblicato un'istantanea che rappresenterebbe il momento triste del nostro cinema. Ci sono Rocco Papaleo e Luciana Littizzetto. I due li conosciamo. Lui è stato rilanciato dal festival di Sanremo, è un buon comico. Lei è simpatica e ha talento, non ha l'appeal e lo charme che dovrebbero avere le protagoniste. È molto sostenuta, con spalle che le offrono assist importanti. Soprattutto è dovunque, il "mercato Littizzetto" finisce per essere saturo. La scelta di questi due caratteri è esemplare a rappresentare questo momento di debolezza. Una formula veloce e schiacciante è questa: si danno a caratteristi i ruoli di protagonisti. Papaleo e Littizzetto, contestualizzati, ribadisco, sono bravi e gradevoli. Così come sono bravi alcuni degli attori che nell'era recente del cinema, sono stati usati e "abusati". Fino a qualche stagione fa in ogni film scattava il Silvio Orlando moment, poi è stata la volta di Toni Servillo, adesso tocca a Elio Germano. Lo dico ancora "bravi", magari molto. Ma non basta.

Ambito
Essere grandi caratteristi può essere sufficiente nel nostro ambito, può bastare se punti ai David, visto che non c'è concorrenza straniera, ma se poi cerchi di affacciarti al mercato e ai grandi riconoscimenti internazionali l'insufficienza viene messa a nudo. I film non vengono esportati, gli Oscar il Leone e la Palma non ci sfiorano neppure più, ci passano lontani. Il punto non sarebbero neppure gli incassi. I film di qualità, per definizione non "devono" riempire le sale. Il problema è che ci manca anche quella qualità. Questo discorso mi sta dolorosamente a cuore. L'ho fatto più volte. La crisi del cinema italiano è dunque stata da me dichiarata quasi come mission verso il bene. Insomma, come augurio che le cose cambiassero. E qui occorre un inciso: non mancano, in mezzo all'inadeguatezza generale, chiamiamola così, delle eccezioni. Abbiamo una tradizione (antica) troppo forte per non riuscire a cavare qualcosa di buono di tanto in tanto. Il genere comico è quello che ha meno sofferto. La coppia Bisio-Siani si è posta con qualità e giusto spirito, così come, a maggior ragione, Zalone. Un'opera vera la dobbiamo ai Taviani con Cesare deve morire, che ha ottenuto, legittimamente, un riconoscimento importante, l'Orso d'oro della Berlinale. E ha prevalso anche ai David. Ma i Taviani vincevano premi... quarant'anni fa. Altre eccezioni recenti, già da me indicate, sono Noi Credevamo e Habemus Papam. Film importanti e, soprattutto quello di Moretti, da oltre confine. Ma ormai è passato del tempo.
Non hanno avuto fortuna, chiamiamola così, titoli come Romanzo di una strage e Diaz. Dichiarano, quasi perfettamente, la distanza fra pubblico e movimento. Come movimento intendo gli autori e la critica. Non c'è più voglia di promemoria sorpassati, di ripristino di angosce e riaffermazioni ideologiche. Sono argomenti che fanno parte del quotidiano dello schermo piccolo. Sono film che non hanno più una ragione. Il pubblico, appunto, lo ha capito. E poi è arrivato il momento di emanciparsi dalla "sindrome di Lampedusa". Sono storie troppo conosciute e vissute quotidianamente. È un contenitore comodo e facile, una leva sociale che riflette malesseri e differenze. È efficace, ma è abusata.

Stampo
Il problema del cinema italiano è lo stampo. È lo stesso da troppi anni. Riduce tutto a contenuti tristi e provinciali. Come se ci fosse un'indicazione precisa, e forse c'è, verso il racconto di un Paese e di una civiltà decadenti, senza politica, senza sociale, pieni di turbe e senza speranza. È vero che il Paese è decaduto, ma che almeno i film non ne siano complici e soccorrano chi li va a vedere. Sarebbe la prima opzione del cinema. Lo avevano capito altre culture e altri Paesi, e ne uscivano capolavori utili alla consapevolezza ma anche a un sospetto di felicità. Ma perché non riusciamo a fare un film come il francese Quasi amici? Divertente, amato da tutti i pubblici, e puntualmente "scoraggiato" dalla critica prevalente, proprio perché divertente, amato e dunque pericoloso per il "progetto tristezza e depressione".
È come se il movimento vivesse in un ambiente in penombra, e se metti fuori la testa sei abbagliato e non riconosci più niente. E allora torni a rifugiarti subito nella penombra. Dove ti senti al sicuro e dove gli altri inquilini ti dicono che sei bravo e di continuare così. E tu ricambi. Ignaro che fuori c'è tutta l'altra gente, e c'è un mercato che ti ignora.
Tuttavia, mai disperare. Con l'auspicio che qualcuno di buona volontà con onestà e talento, con ispirazione diversa e con mezzi recepiti altrove, metta mano allo stampo.

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