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Eravamo tanti amici al bar

Avati e il suo cast presentano Gli amici del bar Margherita.
di Marianna Cappi

Gli amici di Pupi Avati
Diego Abatantuono (68 anni) 20 maggio 1955, Milano (Italia) - Toro. Interpreta Al nel film di Pupi Avati Gli amici del Bar Margherita.

lunedì 30 marzo 2009 - Incontri

Gli amici di Pupi Avati
Ha fatto quasi quaranta film in quarant'anni, eppure il materiale a Pupi Avati sembra non mancare mai. Quello migliore ce l'ha nascosto in casa, nel baule delle cose vecchie, dei ricordi da bar. Da lì ha estratto Gli amici del Bar Margherita, dalle memorie di quando era sedicenne e sognava di poter avere un soprannome e un posto al tavolo del biliardo vicino ai suoi eroi. Quelli, tra gli altri, come Al, il duro del quartiere, come Manuelo, il "linfomane" o come Gian, che è andato a Sanremo per cantare anche se non l'avevano chiamato. Quelli che oggi hanno hanno le facce di Diego Abatantuono, Luigi Lo Cascio e Fabio De Luigi.

Nel personaggio di Coso, il protagonista, ha messo se stesso?
Avati: Mi rivedo in Coso, solo il fatto di non avere un nome è significativo della mia fatica di farmi riconoscere, da ragazzo. Non sono mai stato veramente uno del bar Margherita, potevo diventarlo nel momento in cui me ne sono andato. Quando Coso fa quei tre passi all'indietro, alla fine, è un po' come quando io ho fatto 250 km e me ne sono andato da Bologna a Roma. Mi è parso carino raccontarmi attraverso episodi non proprio nobili, come quello della festa col nonno morto, che non fa parte della mia autobiografia ma potrebbe starci dentro benissimo.

Com'era il bar Margherita?
Il bar Margherita non è né mitico né celeberrimo, era un bar di Bologna che assomigliava a tanti altri bar della provincia italiana. È il mio sguardo e la mia voglia disperata di crescere che l'ha idealizzato. Poteva chiamarsi bar Morgana o Bar Billy, non cambia: era tutto tranne che un Bar Sport.

In che modo gli attori più giovani sono riusciti ad entrare nello spirito di questo film?
Chiatti: Attraverso questo film ho osservato un tempo che non ho vissuto ma ho sentito raccontare dai miei nonni. C'era un cinismo diffuso e anche divertente, oggi sconosciuto.
Marcorè: Credo che si venisse da un'esperienza talmente tragica, quella della guerra, che la voglia di lasciarsela alle spalle portava anche a fare degli scherzi eccessivi, atroci. Credo che, in fondo, ci fosse ancora molto spaesamento.
Zizzi: C'era di sicuro molta voglia di scherzare e di ridere. Io ho vissuto l'esperienza del film con questo spirito e mi sono divertito molto.

Com'è cambiato il cinema di Avati, secondo Abatantuono, che l'ha frequentato in diversi momenti?
Abatantuono: Ho sempre sostenuto che l'apparente leggerezza della filmografia di Pupi andava ripresa perché era qualche anno che non la frequentava più e io credo che il senso dell'umorismo sia un metro dell'intelligenza.

Il tuo raccontarti non è mai fine a se stesso, ma è un modo per narrare la storia d'Italia. Un modo che si sta perdendo?
Avati: Siamo rimasti gli ultimi a fare film che non riflettono solo e soltanto sul presente. Credo che sia importante fare film sul proprio passato con uno sguardo presente, questo sì. Anche se il protagonista è un ragazzino, il suo sguardo è quello di un settantenne. È lo sguardo che fa il film. Io sento di svolgere il dovere di vestale di una stagione che è stata e non c'è più. I giovani di allora vivevano nell'indifferenza totale. Oggi, sono così responsabilizzati, importanti, considerati, che si ritrovano in una condizione molto complessa, poco invidiabile. In quella società là l'individuo poteva compiere liberamente le sue stravaganze per poi trovare una propria identità. Oggi è più difficile, i giovani sono diventati l'ago della bilancia. Noi non contavamo assolutamente niente.

Definirebbe misogino lo sguardo del film sulle donne?
Avati: Il punto di vista è quello della società dei maschi che guarda le donne, una società molto coesa che le vede come un elemento di perturbazione. Lo sguardo è misogino, certo.

Il film in costume è considerato un rischio per il cinema italiano?
Avati: Verissimo: non si fanno più film in costume non solo perché sono faticosi produttivamente ma soprattutto perché suscitano una sorta di diffidenza nel mercato, perché il target non sono i ragazzi di oggi e si teme che questi non possano identificarsi. Il cinema non incontra il paese reale da molti decenni, la fiction televisiva, che invece lo incontra ancora e continuamente, continua a fare il costume. Perché quella che guarda la fiction è la vera Italia.

Lo Cascio, come ha costruito il suo personaggio, così colorito e sorprendente?
Lo Cascio: Il personaggio è divertente perché io mi sono divertito molto sul set di questo film, specie nelle scene al bar, perché mentre aspettavamo di girare si ricreava la situazione del film stesso: io, Neri, Fabio, Diego, era tutto uno scherzare. Nel girare la scena diurna nel night club, poi, ho davvero vissuto il giorno più appagante della mia vita.

Gianni Cavina, che effetto fa tornare al lavoro con Pupi Avati? Cavina: Anche se durante questa conferenza stampa mi sento di non c'entrare niente, devo dire che ho amato molto il personaggio di questo nonno e devo ringraziare soprattutto Antonio, che mi ha voluto.
Avati: L'idea di mio fratello di proporre il ruolo a Cavina, che non aveva l'età del personaggio, all'inizio mi era parsa spregiudicata, ma poi lui l'ha fatto benissimo. D'altronde con Gianni il rapporto è speciale, è iniziato nel '68, si può dire che io, lui e Antonio siamo cresciuti insieme.

La parola al resto del cast
Botosso: Sono tornato a lavorare con Pupi dopo 20 anni. Mi ha detto "i ruoli più belli sono finiti, ma se vuoi ti do il più bello dei ruoli brutti." Ho accettato.
Ricciarelli: Continuo a sentirmi un'allieva e lui è il mio maestro.
Ippoliti: Il film verrà certamente accusato di revisionismo, dunque io vorrei chiedere a Pupi perché l'ha intitolato "Gli Amici del bar Margherita" e non "Celerini, tutti in piazza".
De Luigi: (Continua lo scherzo) Io sono qui per assumermi ogni responsabilità di quanto detto e fatto nel film. Mi pare anche superfluo dire che gli amici del bar Margherita continuano ad esserci anche fuori dal film.
Marcorè: Io ce l'ho con Pupi e Antonio, che continuano a darmi dei ruoli da sfigato. Però vorrei far presente che, anche truccato in quel modo, ho cuccato due donne.

Come mai hai voluto Lucio Dalla alle musiche?
Avati: Il mio collaboratore storico è Riz Ortolani ma il contesto di questo film mi ha suggerito l'idea di Dalla e l'entusiasmo col quale ha partecipato mi ha conquistato. Il testo della canzone finale, "Dark Bologna, tra l'altro, è scritto da un fratello di Bob Messini, il Mentos del film. Con Lucio ci siamo intesi subito, è riuscito a riprodurre il sound del jazz anni Quaranta. La colonna sonora è praticamente ininterrotta, parte con i titoli di testa e si conclude con la fotografia finale.

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