Divo della musica nostrana, Adriano Celentano è colui che ha portato il genere rock in Italia e che ha saputo affermarsi anche come attore nello stesso panorama cinematografico, all'interno del genere della commedia leggera (seppur con risultati migliori rispetto alla sua carriera registica).
Un artista poliedrico che, dagli Anni Sessanta e partendo dal capoluogo lombardo, ha debuttato musicalmente accompagnato dalla band che ha contribuito a fondare, i Rock Boys, facendosi conoscere come uno dei primi interpreti del selvaggio rock'n'roll e ottenendo una visibilità che gli ha permesso di firmare i primi contratti discografici.
Si dà così avvio a una fortunata e prolifica carriera che vanta la pubblicazione di una settantina di dischi tra EP, album e raccolte, per un totale di 150 milioni di dischi venduti in settant'anni di carriera. Un percorso artistico dove i suoi brani più celebri sono ancora conosciuti e cantati da tutti gli italiani, mentre quelli più curiosi, come "Prisencolinensinainciusol", sono addirittura diventati un cult all'estero.
Il merito principale di Celentano è stato quello di essere stato l'uomo giusto nel momento giusto, durante il passaggio di testimone che si è operato tra i cantanti che spopolavano prima della Seconda Guerra Mondiale e quelli del Dopoguerra, cogliendo quei segni che avrebbero portato al cambiamento musicale, sociale e di costume, accomagnando l'Italia all'interno del boom economico.
Vincitore del Festival di Sanremo nel 1970, ha collaborato con tutti i più grandi cantautori e interpreti della musica italiana: Little Tony, Giorgio Gaber, Mina, Enzo Iannacci, l'amico-nemico Don Backy, Nada, Biagio Antonacci, Fiorella Mannoia, Marco Mengoni, Nada. E tanta è stata la celebrità che venne immediatamente invitato a fare cinema da protagonista.
In brevissimo tempo, Adriano Celentano diventa uno dei volti più usati e amati della commedia all'italiana, ma solo tra il 1975 e il 1985, seppur con ruoli stereotipati, difficilmente separabili dal suo personaggio reale, dove interpreta solitamente il furbone italiano che seduce le giovani donne con modi di fare che ruba palesemente a uno dei suoi più grandi miti: Frank Sinatra.
Sono dieci anni di buoni successi commerciali, nei quali tenta anche la carriera dietro la macchina da presa con pellicole definite oltremodo sopra le righe. Poi c'è il ritiro dal set e il passaggio definitivo come autore e conduttore del piccolo schermo, andando incontro a un grandioso successo fino alla vecchiaia.
Gli inizi coi Rock Boys
Nato a Milano nel 1938, Adriano Celentano cresce in una famiglia di origine foggiana che si è trasferita nel capoluogo lombardo in cerca di migliori condizioni lavorative. Dopo aver completato gli studi elementari, decide di interrompere la sua istruzione obbligatoria per inserirsi nel mondo del lavoro imparando il mestiere dell'orologiaio.
Appassionato di musica rock, imparerà a suonare il mandolino e la chitarra, trovando nei fratelli Ratti (Franco, Marco e Giancarlo) e in Ico Cerutti, un interesse comune che li porterà a fondare il gruppo Rock Boys (al quale poi si aggiungeranno Enzo Jannacci, Luigi Tenco e Giorgio Gaber), coi quali si esibirà in alcuni club, diventando amico di un altro noto cantante, Little Tony.
Non ci vuole molto tempo perché i numeri musicali si trasformino e vengano alternati dalle sue imitazioni di Jerry Lewis (accompagnato dall'amico Tony Renis che invece faceva il verso a Dean Martin) e da balli snodati che lo porteranno poi a essere soprannominato il "Molleggiato", imitando Elvis Presley ma con movimenti ancora più eccessivi.
Il debutto al cinema con Lucio Fulci
Cominciano in questo periodo le registrazioni discografiche per EP all'interno delle quali proporrà delle cover di brani proprio di Presley come "Jailhouse Rock" o di Little Richard come "Rip it up", anche se il successo maggiore lo incontra con il tormentone estivo "Il tuo bacio è come un rock", scritto da Piero Vivarelli e dal regista Lucio Fulci che, a quel tempo, lavorava anche come paroliere e che lo dirigerà proprio nel suo primo film da attore I ragazzi del juke-box, un musicarello del 1959 con Fred Buscaglione, Mario Carotenuto, Betty Curtis, Tony Dallara, Elke Sommer ed Enzo Garinei. Parallelamente, appare in una scena del film La dolce vita di Federico Fellini nei panni di se stesso.
Il Clan Celentano, il successo musicale, le prediche
Sciolti i Rock Boys, fonderà I Ribelli coi quali continuerà a esibirsi in tutta l'Italia, salvo poi interrompere la carriera per adempiere alla leva militare obbligatoria, temporaneamente sospesa per un breve periodo con una dispensa speciale del Ministro della Difesa, Giulio Andreotti, perché possa esibirsi al Festival di Sanremo, cantando con Little Tony "24 mila baci", che andrà incontro a un altro formidabile successo.
Nasce in questo periodo il Clan Celentano, una sorta di imitazione nostrana del Rat Pack, all'interno del quale riunisce parenti e vecchi e nuovi amici come Don Backy, Ricky Gianco, Claudia Mori, Paolo Conte e Gino Santercole.
Entrato in causa con la casa discografica Jolly, con la quale aveva firmato un contratto per la pubblicazione dei suoi album, per motivi legati a inadempienze contrattuali (che si risolverà con la sua assoluzione), porta a casa altri incredibili successi come "Si è spento il sole", "Pregherò" (cover di "Stand By Me" di Ben E. King), "Grazie, prego, scusi", "Il ragazzo della via Gluck" (che presenta a Sanremo suscitando grande interesse), "Azzurro", "Siamo la coppia più bella del mondo", "Una carezza in un pugno", "Chi non lavora non fa l'amore" (che vincerà il Festival di Sanremo nel 1970 e che lo renderà inviso dalla nuova generazione nel pieno della contestazione giovanile del 1968) e "Prisencolinensinainciusol" (cantato in uno sconclusionato pseudo-inglese).
Attraverso questi brani, Celentano si smarca in parte dai selvaggi suoni del rock e abbraccia una musica più melodica, inserendo all'interno dei suoi testi messaggi contro l'abusivismo edilizio e la distruzione ambientale, l'urbanizzazione delle campagne, gli scioperi, l'inquinamento e il consumismo. Ne è un lampante esempio "Svalutation".
Ma l'esperienza del Clan dura molto poco, appena sei anni. Il progetto artistico va in fumo a causa degli atteggiamenti dispotici di Celentano e da interminabili problemi giudiziari tra i membri dello stesso Clan. Lui continuerà comunque a incidere regolarmente fino agli Anni Novanta, tra alti e bassi, almeno fino al grande ritorno, nel 1998, quando duettando con Mina dà vita a un album ("Mina Celentano", per l'appunto) che realizza un picco di vendite.
Di più grande successo sarà "Io non so parlar d'amore", album che contiene brani come "Gelosia" e "L'emozione non ha voce". Due milioni di copie vendute che lo trascinano per tantissimo tempo in cima delle classifiche.
Da qui in poi, accompagnerà ogni uscita di un nuovo album con un programma televisivo a lui affidato, una formula che però, man mano che procede, abbandona anche a causa delle enormi critiche verso le sue "prediche", che sembrano nuocere enormemente alle vendite musicali e allontanarlo dal grande pubblico.
I musicarelli
L'attività cinematografica di Celentano inizia come attore, coi già citati I ragazzi del juke-box e La dolce vita, cui seguiranno principalmente musicarelli (per la maggior parte firmati da Piero Vivarelli) come Dai Johnny dai! (1959), Juke box - Urli d'amore (1959), Urlatori alla sbarra (1960, sempre per la regia di Fulci), Sanremo - La grande sfida (1960), Balliamo insieme il twist (1961) e Io bacio... tu baci (1961).
L'esordio alla regia
Nel 1963, cominciano i primi contatti con la commedia grazie a Il monaco di Monza (1963) di Sergio Corbucci e Uno strano tipo (1963, ancora diretto da Fulci), fino a quando Celentano stesso non vorrà improvvisarsi regista, sceneggiatore, compositore e protagonista con Super rapina a Milano (1964), su una banda di giovani (interpretati tutti dai membri del suo entourage) che tentano una rapina in una banca, non uscendone benissimo. La critica ammette che la storia è divertente e abbastanza misurata, ma difettosa dal punto di vista dello stile registico e si auspica che il cantante possa migliorare in una prossima direzione filmica.
Serafino
Dopo i mediocri I malamondo (1964) e Per un pugno di canzoni (1966), nel 1968, viene chiamato dal cineasta Pietro Germi per essere il protagonista della commedia Serafino, che narra dei problemi di un ragazzo di campagna, sospeso tra un'eredità contadina e l'arrivo della modernità. La critica non apprezza particolarmente il film, ma il pubblico va volentieri a vedere questo inedito Celentano e uno stuolo di interpreti di altissimo livello come Francesca Romana Coluzzi, Ottavia Piccolo, Oreste Lionello e Saro Urzì, nonché di abilissimi caratteristi come Clara Colosimo, Gustavo D'Arpe, Nerina Montagnani, Luciana Turina ed Ermelinda De Felice. Rapidamente, diventa uno dei maggiori successi italiani di quell'anno. Parallelamente, Camillo Mastrocinque lo dirigerà
anche in La più bella coppia del mondo, un nuovo musicarello.
Corbucci e il primo David di Donatello
Negli Anni Settanta, tornerà con Sergio Corbucci che prima lo dirigerà in Er più - Storia d'amore e di coltello (1971), poi in un episodio ("Aria") del film Di che segno sei?, affiancandolo a una straordinaria Mariangela Melato.
Il loro è sicuramente il migliore tra i quattro episodi proposti. La professionale versatilità della Melato e la mimica facciale di Celentano, impegnati in una coreografia di liscio, creano un'inedita coppia che fa ridere a crepapelle gli italiani e che introduce proprio il cantante all'interno del genere della commedia all'italiana.
Nel 1976, sempre sotto l'ala registica di Corbucci, Celentano vincerà addirittura un David di Donatello (a ex aequo con Ugo Tognazzi e la sua fenomenale performance di Mascetti in Amici miei) come miglior attore per Bluff - Storia di truffe e di imbroglioni, chiudendo poi il sodalizio artistico con Ecco noi per esempio... (1977) e Sing Sing (1983), dove però la critica sembra preferirgli Enrico Montesano a causa di un copione non del tutto equilibrato tra i due attori.
Il secondo David di Donatello
Ma Corbucci non è il solo regista con il quale Celentano crea una collaborazione lunga e proficua.
Dopo essere stato diretto da Alberto Lattuada in Bianco, rosso e... (1972), all'interno del quale interpreta la parte di un comunista innamorato di una suora (nientemeno che il Premio Oscar Sophia Loren), e da Dario Argento nel rivoluzionario Le cinque giornate (1973), sarà Pasquale Festa Campanile a guidarlo verso altri ruoli da protagonista.
Sono gli anni di L'emigrante (1973), Rugantino (1973), Qua la mano (1980, con il famoso episodio del prete ballerino) e Bingo Bongo (1982), con Carol Bouquet, ampiamente stroncato dalla critica.
Ma ancora più corposa è la collaborazione con il duo Castellano e Pipolo che dal 1978 al 1786, lo dirigeranno come presenza accentratrice del loro cinema in commediole abbastanza disorientate come Zio Adolfo in arte Führer (1978), Sabato, domenica e venerdì (1979) e soprattutto Mani di velluto, che gli farà però ottenere un secondo David di Donatello come miglior attore protagonista.
A questi titoli si aggiungono anche Il bisbetico domato (1980), Asso (1981, dove è un allegro fantasma che tormenta Edwige Fenech), Innamorato pazzo (1981), Grand Hotel Excelsior (1982), Segni particolari: bellissimo (1983) e Il burbero (1986).
Il non felice passo registico
Intanto, continua le sue esperienze registiche con Yuppi du (1975), un anomalo melodramma comico con qualche inserto musicale, sul ritorno di una donna (Charlotte Rampling) che ha finto il proprio suicidio per ricostruirsi una vita migliore senza marito e figlia al seguito. La pellicola non è un grande successo e la critica lo accusa di caos narrativo, di megalomania celentanina, nonché di scelte stilistiche discutibili (soprattutto l'uso e l'abuso di split screen e slow motion), ma il titolo gli porterà almeno il Nastro d'Argento per la migliore colonna sonora.
Molto, ma molto peggio, andrà con Geppo il folle (1978), dove il cantante milanese Geppo vuole duettare con Barbra Streisand, ma ha bisogno di imparare l'inglese e, così, frequenta le lezioni di una docente di lingua straniera, della quale si innamorerà perdutamente.
Tre miliardi di produzione spesi per una pellicola sconclusionata e pretestuosa, costruita principalmente per soddisfare l'esaltazione dell'ego di un eccessivamente filosofico Adriano Celentano, che viene accusato di non conoscere le regole grammaticali basilari del cinema, visto l'insolito montaggio e gli improvvisi zoom del tutto privi di motivazione. I più cattivi ammettono di avere non poche difficoltà a recensirlo e ricordano al cantante un arguto proverbio milanese: ogni ofelè fa el so mestè. Cioè, se sei un cantante, fai il cantante... e non il regista. E qualcuno lo implora esplicitamente a smettere di fare film per non essere costretti a parlare male di lui.
Ma Celentano ritorna sul luogo della strage e, nel 1985, dirige Joan Lui - Ma un giorno nel paese arrivo io di lunedì, dove il cantante interpreta addirittura un nuovo moderno Messia che si spende contro discoteche che spacciano droghe e alcol, mass media, politica, tv manipolatrice di verità e addirittura il Maligno.
Un titolo che viene etichettato come "l'ultima (si spera) follia del Molleggiato nazionale" o più sinteticamente "bruttissimo", pretenzioso e privo di qualsiasi equilibrio narrativo. Sarà il suo ultimo film.
A completare la sua carriera, ci sono però altri film da semplice interprete: Culastrisce nobile veneziano (1976), L'altra metà del cielo (1977) di Franco Rossi, La locandiera (1980), Lui è peggio di me (1984) di Enrico Oldoini e Jackpot (1992), quest'ultimo non privo della solita predica di Celentano contro i computer cattivi in favore di un ritorno alla natura.
Anche se qui il cantante è solo un attore, il film viene comunque massacrato. I critici più severi scriveranno che, certo, è bene che i ragazzi tornino ad ammirare alberi e animali, ma è anche altrettanto vero che certi anziani accettino la propria vecchiaia, senza affliggere le generazioni più giovani con messaggi confusionari, esasperati, molto velleitari su un progresso che si rifiutano di abbracciare e che non necessariamente è brutto, sporco e cattivo come lo dipingono.
Il Celentano catodico
Tuttavia, nonostante questi risultati sul grande schermo, in televisione Celentano spopola come personaggio di culto, in grado di attirare l'attenzioni di milioni di persone.
Dopo le sue apparizioni nelle reti del Programma Nazionale in "Alla ribalta - Adriano Clan", "Senza Fine", "110 e lode", "Stasera Adriano Celentano", "C'è Celentano", "Arriva il 'celebre'" e "Paura di un trionfo", partecipa al discusso "Fantastico" del 1987-1988, dove comincia a lanciare frecciatine "al sistema" e a tacere nelle sue lunghe e famigerate pause, che però fanno record di ascolti.
Pause e frecciatine che porterà anche in "Svalutation", nel premiato "Francamente me ne infischio", "Esco di rado e parlo ancor ameno", "125 milioni di caz...te" (che scatena una marea di polemiche legate al titolo del programma, ai suoi contenuti e ai messaggi dei suoi sermoni).
Ancora più contestato è "Rockpolitik", ma la sua popolarità e gli ascolti andranno a scemare con "La situazione di mia sorella non è buona", "Rock Economy" e, soprattutto "Adrian Live - Questa è la storia...", un cartone animato a puntate trasmesso a Canale 5 nel 2019, talmente affossato dalle critiche e dalla derisione pubblica da essere sospeso e poi definitivamente cancellato dal palinsesto. Da quel momento, latiterà anche la tv e si ritirerà a vita privata.
Vita privata
Fidanzato con la cantante Milena Cantù, Adriano Celentano sposa (nel mezzo della relazione con questa) l'attrice Claudia Mori, interrompendo solo successivamente al matrimonio ogni rapporto con la precedente compagna che, al momento delle nozze, credeva di essere ancora fidanzata con Celentano.
La Mori lo renderà padre di tre figli: Rosita, Giacomo e Rosalinda (quest'ultima sarà l'unica a interrompere i rapporti coi genitori e a preferire una vita completamente distaccata dai legami di famiglia, a causa dei forti contrasti paterni e materni).
L'unione con la Mori conosce però un momento di crisi quando Adriano Celentano comincia una relazione con la compagna di set Ornella Muti, con la quale l'uomo aveva lavorato in Il bisbetico domato e Innamorato pazzo. A causa di questo rapporto, la Mori vivrà separata dal marito fino al 1985, quando i due si riappacificheranno sul set di Joan Lui - Ma un giorno nel paese arrivo io di lunedì. Da allora non si separeranno mai più.