Un film elegante e senza tempo che disegna la parabola d'amore e di migrazione dei tre protagonisti. Drammatico, Brasile, Italia, Libano2024. Durata 93 Minuti.
Fine anni '40. A bordo di una nave diretta in Brasile si consuma una relazione ritenuta intollerabile. Espandi ▽
Ottava regia per il cineasta brasiliano Marcelo Gomes, che adatta il romanzo “Ricordi di un certo oriente" di Milton Hatoum facendone uno studio sulla gelosia, l’attrazione e le sottili dinamiche di controllo familiari e di genere. Il tutto in una forma estetica elegante e senza tempo, di un bianco e nero particolarmente evocativo, che attorno al delicato equilibrio del triangolo di protagonisti ben dipinge anche una classica parabola di migrazione e adattamento culturale. Per quanto il focus sia sempre a stretta distanza dai tre personaggi principali, dei quali Gomes osserva con granulare sensibilità il velenoso groviglio di attrazione e devozione, il contesto più ampio non si fa mai semplice sfondo Portrait of a Certain Orient mette in chiaro che il passato e la memoria continuano a guidare le nostre azioni anche quando ci illudiamo di poter fuggire a continenti di distanza. Recensione ❯
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Un dramma toccante sulla lotta per la paternità e la resistenza in un Paese ostile, con un Romain Duris in stato di grazia. Drammatico, Francia, Belgio, Giappone, USA2024. Durata 98 Minuti.
Un film che racconta il Giappone di oggi da un punto di vista inusuale, in cui convivono luci e ombre. Espandi ▽
Jerome, detto Jay, è un tassista francese che vive a Tokyo, ma è soprattutto un padre separato che non vede l'ora di ritrovare sua figlia Lily. In Giappone la legge non prevede l'affido congiunto. Nel frattempo aiuta la sua amica Jessica, che si trova nella sua stessa situazione, a rivedere suo figlio. Ai genitori europei la burocrazia nipponica appare come una barriera insormontabile, bisogna ricorrere a metodi più empirici, più umani, solo così l'impossibile "caccia al tesoro" filiale può trasformarsi in una concreta opportunità di incontro.
È un commovente dramma sulla paternità e insieme un'opera di sottile denuncia sulla rigida legge nipponica in tema di affidamento, Ritrovarsi a Tokyo.
È un tema decisamente inedito, quello di cui sceglie di occuparsi Guillaume Senez, regista e cosceneggiatore di evidente sensibilità, che ci ha abituato a riflessioni sulla paternità ma anche sul senso di appartenenza. Con lo spessore umano che caratterizza le sue opere precedenti, finisce questa volta per firmare un'opera toccante e malinconica, un film sulla resistenza di un uomo, o meglio di un padre-coraggio. Recensione ❯
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Il rapporto in crisi tra una madre psicologa e il figlio alunno nella stessa scuola, in un mondo che cade a pezzi. Espandi ▽
Slovenia, anno scolastico 2020-2021. Durante la pandemia da Covid, Maja e il figlio quattordicenne Jan si trasferiscono dalla capitale Lubiana in una cittadina di provincia. Lei lavora come psicologa nella stessa scuola primaria dove il figlio sta frequentando l'ultimo anno. Maja ha da poco divorziato, è in crisi e ha problemi di alcolismo. Nel frattempo, dopo aver seguito i primi mesi di lezioni da remoto, Jan tenta invano di ambientarsi nella nuova classe, viene bullizzato e fa amicizia con uno strano e pericoloso vicino di casa.
Con un umorismo tipico di certo cinema dell'Est europeo, il regista e sceneggiatore sloveno Nejc Gazvoda al suo terzo lungometraggio di finzione mette in scena un mondo a pezzi, strapazzato non solo dagli effetti della pandemia e dalla quarantena.
Dramma e commedia si mescolano per delineare in chiave grottesca una contemporaneità in crisi, che si riflette sulla sfera familiare, scolastica, sociale. In costante equilibrio tra commedia e dramma, Gazvoda demolisce i due nuclei educativi fondanti della società, famiglia e scuola, che affondano nel ridicolo di modelli disfunzionali in cui ciascun individuo, senza distinzioni tra età adulta e adolescenza, sembra pensare solo a sé stesso o a salvare le apparenze. Recensione ❯
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Marina, 18 anni, cerca una firma dai nonni mai conosciuti e scopre segreti di famiglia che la aiutano a ricostruire il ricordo dei suoi genitori. Espandi ▽
(Video)camera a mano e diario della madre in tasca, Marina parte alla volta della Galizia e della famiglia di suo padre, morto di AIDS molti anni prima. Adottata 'altrove', ha bisogno di un certificato anagrafico per ottenere una borsa di studio. Ma dietro alla ragione officiale, si nasconde il desiderio ardente di ricostruire la vita dei suoi genitori, su cui la famiglia mantiene un rigoroso riserbo. Negli stessi luoghi in cui sua madre e suo padre sono stati innamorati e felici, disperati e sconfitti, Marina troverà il suo posto e lo slancio per il futuro.
Il terzo film di Carla Simón è un poema di sole e iodio. Ambientato sulle coste galiziane, Romería esplora le ferite biografiche dell'autrice, che reclama costantemente le immagini mancanti.
Siamo di fronte ad un film riparatore che si allontana progressivamente dai toni realistici, perché la verità della memoria non si trova mai nella ricerca erudita, documentaristica, ma nella fuga romanzesca dell'inconscio, per mediazione della fiction. Recensione ❯
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Un documentario che non fa sconti ma ci invita a porci delle domande su una realtà che non vogliamo vedere. Documentario, Italia2024. Durata 86 Minuti.
L'umanità che vive attorno alla stazione Termini di Roma vista insieme ad uno dei suoi componenti. Espandi ▽
Damiano (35 anni), fuggito dall’ospedale psichiatrico di Breslavia, in Polonia, è arrivato a Roma alla ricerca di una nuova vita e, senza un soldo in tasca, si è immerso nel brulicante mondo che bazzica intorno alla stazione Termini. Rifiutandosi di vivere come un senzatetto, ha trovato rifugio in una torre sulle antiche mura romane e ha cominciato a frequentare la determinata Sofia. Un documentario senza filtri che ci immerge in un microcosmo che chiunque sia passato dalla stazione Termini di Roma ha sicuramente sfiorato magari voltando lo sguardo. I due registi non hanno la benché minima intenzione di fare del pietismo e di tracciare un ritratto agiografico di questo mondo e dei suoi abitanti. Si mostra la realtà così come si presenta. Con le sue luci e con le sue ombre invitandoci a porci delle domande. Perché queste persone sono lì? Qual è il loro vissuto? Qualcuno ce lo racconta. Qualcuno, come Sofia, mostra un carattere deciso pur tra innumerevoli contraddizioni. Recensione ❯
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Un divertissement di enorme valore sulla fortunata parabola del genere jidaigeki in Giappone. Drammatico, Giappone1962. Durata 96 Minuti. Consigli per la visione: Ragazzi +16
Nato sull'onda del successo di pubblico e critica di La sfida del samurai - Yojimbo, una sorta di sequel eponimo. Espandi ▽
Un gruppo di giovani samurai, guidato da Iori, crede che il ciambellano Mutsuda - zio dello stesso Iori - sia corrotto e cospiri contro il daimyo locale e così si affida al sovrintendente Kikui per risolvere la faccenda. Ma come il ronin senza casa né padrone Sanjuro capisce subito, è vero l'esatto opposto: è Kikui la mela marcia, e i ragazzi stanno per finire in una trappola mortale. Con i suoi modi spicci e la sua lingua poco forbita, Sanjuro guadagna in breve tempo la fiducia dei giovani e decide di guidarli verso la difficile risoluzione della faccenda, complicata dalla massiccia truppa di spadaccini assemblata da Kikui.
Nato sull'onda del successo di pubblico e critica di La sfida del samurai - Yojimbo, Sanjuro è una sorta di sequel eponimo.
Sanjuro sembra una sorta di divertissement, in cui si sprecano le gag comiche - il prigioniero che esce dall'armadio per esprimere un parere - e le situazioni caricaturali in genere. Una visione non altrettanto imprescindibile del capostipite, quindi, ma di enorme valore per comprendere meglio la fortunata parabola del genere jidaigeki in Giappone e la grandezza del binomio Kurosawa-Mifune al suo apice. Recensione ❯
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La serie tratta dalla saga letteraria di Maurizio de Giovanni. Espandi ▽
Sara Morozzi è un'ex agente dei servizi segreti che, alla morte del suo compagno e mentore Massimiliano, ha deciso di lasciare la squadra specializzata in intercettazioni per cercare nella polizia mobile una quotidianità più semplice. La sua nuova routine viene però brutalmente spezzata quando suo figlio Giorgio - che aveva abbandonato quando era ancora un bambino e che ora stava per diventare padre - muore a seguito di un investimento, inizialmente classificato come un semplice incidente.
Ma Sara non è convinta: il suo istinto e l'esperienza maturata sul campo la spingono a indagare più a fondo. Con l'aiuto di Teresa, storica collega della sua vecchia sezione, e di Davide Pardo, ispettore di polizia sottovalutato e con il fiuto investigativo assopito da anni di casi ordinari, Sara si ritrova coinvolta in una fitta rete di intrighi. Tra corruzione e tradimenti, ogni passo verso la verità la costringe a fare i conti con un passato che pensava di essersi lasciata alle spalle.
Tra le atmosfere e i complotti silenziosi, Sara - La donna nell'ombra trova un equilibrio raro, affermandosi come un noir esistenziale capace di unire tensione politica e profondità emotiva. Da sfondo, anche se in modo superficiale, si interroga sul ruolo dei servizi segreti, sul confine sottile tra sicurezza e sorveglianza, tra giustizia e manipolazione dell'informazione pubblica. Recensione ❯
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Un docufilm sull'organizzazione non profit internazionale nominata al Nobel per la Pace nel 2023 e fondata da Nicolò Govoni. Espandi ▽
Nicolò Govoni descrive l'attività che, con passione e determinazione, lo ha visto intervenire in aree del mondo particolarmente deprivate per dare un futuro a dei bambini che sembravano non poterne avere. Le International Schools sono istituzioni che forniscono gratuitamente istruzione di alto livello a bambini e bambini che vengono da situazioni sociali e familiari spesso disastrose.
Un percorso virtuoso che descrive come dall'emarginazione si possa giungere all'eccellenza. Nicolò Govoni ci conduce per tutto il documentario alla scoperta di una mission che a molti sarebbe sembrata realmente 'impossible'. Non si tratta di narcisismo o del desiderio da parte di Giuseppe Marco Albano di realizzare un ritratto agiografico.
Nei volti di questi allievi, oltre che nelle loro parole, si legge il piacere del raggiungimento dell'istruzione vista come occasione di riscatto dalle condizioni di vita da cui provengono. Recensione ❯
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Alla Lumon gli impiegati hanno aderito volontariamente a sottoporsi a una "scissione", separando la loro coscienza extra-lavorativa (outie) da quella dominante durante gli orari di ufficio (innie). Le loro metà impiegatizie dimenticano quel che è avvenuto all'esterno degli edifici della Lumon e sviluppano una coscienza propria e del tutto autonoma, come se due anime non comunicanti albergassero nello stesso corpo. Mark, Helly, Irving e Dylan, però, non ci stanno e si infilano nelle aree riservate per bloccare il processo e trasferire la loro coscienza nel relativo corpo anche al di fuori dall'ufficio. Ci riescono per un'ora, generando uno sconquasso mediatico con la rivelazione sulla reale condizione degli innies, prigionieri di un ufficio-carcere.
Stiller ed Erickson hanno il coraggio ancora una volta di spingere al massimo sul pedale del paradosso, spingendosi fino a lambire l'occulto, con sequenze horror che sembrano prese da una versione contemporanea di The Wicker Man o preludono a rivelazioni sconvolgenti a venire. Forse specchietti per allodole cospirazioniste. Più probabilmente suggestioni sul pensiero alla base di Scissione, secondo cui, esasperando i concetti su cui si basa la vision di una qualunque corporation del capitalismo avanzato, il confine tra azienda e setta religiosa si fa ogni giorno più sfumato. Recensione ❯
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La quintessenza di un film di Mike Leigh: un racconto intimo e sconvolgente su relazioni famigliari distorte dai segreti. Commedia, Drammatico - Gran Bretagna, Spagna2024. Durata 97 Minuti.
Le dinamiche familiari, le fragilità umane e la ricerca di un senso di appartenenza nel mondo. Espandi ▽
Pansy è una donna segnata dal dolore dopo la morte della madre e da una vita di privazioni, che ha trasformato quel dolore in rabbia e in una capacità quasi inesauribile di insultare e offendere il prossimo, compresi il marito e il figlio, ma anche i totali sconosciuti che incontra per strada. La sorella minore Chantelle fa del suo meglio per arginare la furia verbale ed emotiva di Pansy, comprendendo fino in fondo la fonte primaria della sua collera. Ma Pansy non riesce ad affrontare le scomoda verità su se stessa, e prosegue nelle sue esternazioni al vetriolo, alienandosi l'affetto e l'empatia di chiunque abbia la sventura di avere a che fare con lei. Per fortuna Chantelle non molla, e forse riuscirà ad aprire un varco nella corazza inscalfibile che Pansy si è costruita per poter continuare a sopravvivere.
Scomode verità è la quintessenza di un film di Mike Leigh: un racconto intimo e sconvolgente su relazioni famigliari distorte dai segreti e le bugie che l'uno ha rispettivamente nascosto o propinato agli altri. Recensione ❯
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Tra crisi d'ispirazione, sedute di psicologia e prove sperimentali, riuscirà Maccio a ritrovare la creatività e scrivere la sua prossima serie tv? Espandi ▽
Marcello Macchia è in profonda crisi creativa. Disposto a tutto pur di ritrovare l'ispirazione che l'ha reso famoso, si rivolge ad un luminare della psicanalisi, Arnaldo Braggadocio, che lo sottopone ad una serie di prove per uscire dalla sua comfort zone e "appropriarsi del disagio". Ma varrà veramente la pena attraversare quel calvario per recuperare l'ispirazione perduta?
Maccio Capatonda si cimenta con la serialità (poiché "la vita è una serie di serie") mettendo a frutto quell'immaginazione che manca temporaneamente al suo protagonista, e facendo molta autoironia tanto sul suo personaggio pubblico quanto sulla sua persona.
Macchia esce qui davvero dalla sua comfort zone pur mantenendo la sua comicità stralunata, più riuscita in alcuni episodi che in altri e sempre al confine con il grottesco. E ciò che funziona è anche la cura con cui la serie costruisce la sua architettura narrativa. Recensione ❯
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Due sorelle affrontano il ritorno del padre regista e l'arrivo di una star americana che sconvolge gli equilibri della loro fragile famiglia. Espandi ▽
Nora (nome ricorrente nella drammaturgia internazionale) è un’attrice di teatro che soffre di attacchi di panico ogni volta che deve entrare in scena. Ha una relazione con un collega sposato, non ha figli ed è legata solo a sua sorella Agnes e alla di lei famiglia. Gustav, il padre di Nora e Agnes, è un famoso regista che dopo il divorzio ha lasciato la Norvegia (e la famiglia) per tornare nella nativa Svezia. Ora però è tornato per il funerale della ex moglie, e per chiedere a Nora di interpretare la protagonista della sua ultima sceneggiatura, a suo dire la più riuscita e personale, che dovrebbe essere ambientata proprio nella casa dove Nora e Agnes sono cresciute.
In Sentimental Value il regista e sceneggiatore norvegese Joachim Trier fa una cosa difficilissima: imprimere la propria cifra stilistica personale e inconfondibile ad un argomento già molto frequentato dal cinema mondiale (compreso quello nordico), ovvero la complessità dei rapporti famigliari.
La regia di Trier si muove con la consueta morbidezza e fluidità nelle transizioni fra gli spazi e i sentimenti, spesso interrotta da schermi al nero e brusche frenate musicali, e riproduce la natura caleidoscopica dei rapporti, mantenendo una raffinatezza compositiva rarefatta ed essenziale, ma mai algida o priva di pathos. Recensione ❯
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Un racconto serratissimo. Uno sguardo dall'altra parte dello schermo dell'attentato delle Olimpiadi del 1972. Drammatico, Germania2024. Durata 91 Minuti.
Il racconto della copertura mediatica in diretta degli eventi che videro gli atleti israeliani presi in ostaggio durante le Olimpiadi di Monaco di Baviera del 1972. Espandi ▽
Il 5 settembre 1972, durante le Olimpiadi di Monaco, un commando di militanti palestinesi assalta gli appartamenti della delegazione israeliana uccidendo due persone e prendendone in ostaggio nove. La tv americana ABC si ritrova a raccontare la tragedia in diretta. Un film televisivo sul potere della televisione che osserva la storia dalla cabina di regia, sancendo l’unione tra testimonianza, giornalismo e spettacolo. Gli studi della ABC diventano una trincea e il racconto si fa serratissimo, con l’unico difetto di lavorare fin troppo di ellissi nei tempi narrativi (e ovviamente il pregio di avere interpreti straordinari: John Magaro, Peter Sarsgaard, Ben Chaplin, Leonie Benesch). Per il resto, il racconto riesce a dare di ogni personaggio un ritratto rapido ed esauriente, come nella migliore tradizione del cinema televisivo americano, riprendendo i tipici passaggi del genere giornalistico e mostrando implicitamente come la tv ha finito per condizionare la nostra percezione del reale, un po’ per dovere di cronaca e un po’ per compiacere gli sponsor. Recensione ❯
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Un uomo ricomincia la propria vita diventando l'autista di un carro funebre. Espandi ▽
Dopo 14 anni di carcere Myagmar si ritrova da solo: sua madre è nel frattempo. L’esperienza carceraria ha lasciato segni profondi su Myagmar: ossessionato dal senso di colpa per il crimine commesso, in carcere ha perso la capacità di comunicare con il prossimo, si è ammalato di insufficienza renale, è stato abusato e violentato. L’unica compagnia che Myagmar sembra in grado di tollerare è quella di un branco di cani randagi, con i quali condivide la sua abitazione e dei quali si prende quotidianamente cura. Trova lavoro come autista per un’azienda di pompe funebri e lì conosce un giovane monaco buddhista e un anziano falegname non vedente, che lo illuminano sulla via della saggezza. Ma l’attrazione e l’istinto di protezione per Saruul, la bella e irrequieta figlia del falegname, lo ricondurranno nel gorgo della disperazione. Gli archetipi del noir e delle cause perse, che conducono a un destino nefasto, sono presenti, ma la prevedibilità della trama non inficia lo svolgimento del film, armonico e sorretto da interpretazioni notevoli, tanto per il protagonista che per la giovane Saruul, anima smarrita e autodistruttiva, consegnata dal destino alle luci al neon della capitale ostile. Recensione ❯
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Un padre e suo figlio cercano la figlia scomparsa tra i rave nel deserto marocchino, affrontando una realtà estrema e i propri limiti interiori. Espandi ▽
Luis con il giovane figlio Esteban si aggira in un rave party mostrando una foto della figlia Mar della quale ha perso da alcuni mesi le tracce. Nessuno la conosce ma, nel corso della ricerca, l’uomo fa delle conoscenze che, dopo la chiusura della festa da parte dei militari, lo indirizzano verso un altro rave. Il viaggio non sarà dei più facili e non solo per le asperità del terreno. Óliver Laxe dirige un film la cui sceneggiatura, scritta con Santiago Fillol, finisce con il disperdere le potenzialità iniziali. C’è Pedro Almodovar tra i produttori del film e quindi c’era da aspettarsi un’opera quantomeno interessante. In effetti lo è almeno per due terzi. Si presenta infatti come un film fortemente fisico. A un terzo dalla fine però non sono soltanto i mezzi di trasporto a sbandare sul terreno accidentato del deserto marocchino. A farlo è il film stesso che inizia ad inanellare colpi di scena la cui serialità finisce con il disperdere tutto quello che fino a quel punto era stato costruito. Recensione ❯
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