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Io capitano, Garrone percorre nuove strade. E il Senegal e l'Italia diventano vicinissimi

Un cinema importante di denuncia che assume, insieme, un valore simbolico e soprattutto politico. Una vicenda intima e umana che diventa universale.   
di Simone Emiliani

Seydou Sarr . Interpreta Sedydou nel film di Matteo Garrone Io capitano.
lunedì 9 ottobre 2023 - Focus

Resta ancora sospeso tra il realismo e la componente visionaria il cinema di Matteo Garrone. Anche in Io Capitano c’è un passaggio che va ‘oltre il documentario’ ed è evidente nel momento in cui sono Seydou e suo cugino Moussa a far vivere il viaggio sulla propria pelle. Ci sono tante, infinite storie dentro la loro storia personale che parte da Dakar in Senegal per raggiungere l’Italia. Anche la destinazione appare irraggiungibile anche nella parte finale sulla nave con la meta ora vicina ora lontana, con un conflitto continuo tra il sogno e la sua distruzione che sembra arrivare da Reality.

Si parte dal dettaglio per arrivare a una vicenda universale di migrazione con istantanee tragiche che sono un pugno nello stomaco: i cadaveri nel deserto del Sahara, la stanza delle torture nei centri di detenzione in Libia dove Garrone recupera l’impeto con cui ha mostrato la criminalità dell’hinterland napoletano in Gomorra. Lì Io capitano non fa sconti, anzi mostra l’inferno. Il buio, la claustrofobia, la puzza di morte diventano il controcampo della seducente solarità iniziale di Dakar da dove comincia il viaggio dei due cugini, che ha il tono quasi di una commedia musicale di Youssef Chahine evidente nella scena del ballo indemoniato durante uno spettacolo. Lì la casa non è più una trappola come Primo amore. C’è un’umanità in quella famiglia tutta al femminile trascinante e soprattutto c’è il cinema di Garrone che si reinventa che scopre altri luoghi, altri orizzonti.

Poteva essere un nuovo punto di arrivo, un diverso approdo di un cinema dove, già soltanto nella parte iniziale, esplora altri possibili nuovi territori nella filmografia del cineasta. Diventa invece un altro punto di partenza da cui parte un altro viaggio pieno di insidie, popolato da figure ambigue, sinistre, violente. Si riaffacciano, anzi si reincarnano i possibili ‘demoni’ del cinema di Garrone, da Mangiafuoco e il Gatto e la Volpe di Pinocchio (guarda la video recensione) al delinquente locale Simone, interpretato da Edoardo Pesce in Dogman (guarda la video recensione).


In foto Seydou Sarr in una scena del film. 

C’è una destinazione precisa in Io capitano. Ma come i road-movie del cinema statunitense la meta nel corso del viaggio diventa sempre più incerta, sfumata anche nella parte finale nel momento in cui il destino (il proprio, degli altri) è nelle mani di Seydou. L’Italia si vede da lontano ma appare ancora irraggiungibile. Ci sono le luci, il rumore degli elicotteri. E lì il dramma, l’impotenza si mescola con un romanzo d’avventura dove una vicenda singola diventa una vicenda collettiva.

C’è l’intimismo ma non la metafora di Lamerica di Gianni Amelio. Garrone segue le tappe di un cinema di frontiera, di passaggi di confine, fatto di terra, aria, sabbia, vento. In un approccio post-neorealistico evidente già dalla presenza come protagonisti di attori non professionisti che è una traccia ricorrente del suo cinema (con Seydou Sarr che ha vinto il Premio Marcello Mastroianni all’80° Mostra di Venezia come miglior attore emergente), Garrone trova improvvisi slanci visionari. Sono fratture, sogni, ipnosi prima di drammatici risvegli dove i due cugini sono come intrappolati in più spazi da cui sembra impossibile uscire, proprio come il tredicenne Edmund tra le macerie della Berlino postbellica in Germania anno zero.

Della visione ‘rosselliniana’ Io capitano sembra riprendere l’istinto ‘puramente cinematografico’ nel filmare l’imprevisto, nel cambiare più volte strada, proprio per catturare la verità dei gesti, degli sguardi. Lo fa attraverso un cinema pieno di punti di riferimento ma anche astratto, assolutamente personale. Ma, come sempre, vengono prime di tutto le storie, il passato, i desideri sul futuro dei suoi protagonisti. Per questo, il Senegal e l’Italia possono essere vicinissimi. E, pur non prendendo il tema come elemento primario, il cinema di denuncia di Io capitano assume, insieme, un valore simbolico e soprattutto politico. 

 


In foto Seydou Sarr in una scena visionaria del film, durante la traversata a piedi nel deserto. 

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