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Il libro delle soluzioni e Gondry, un ritorno illuminato da quel candore che i film non hanno più

Il regista, a sessant’anni, non ha paura di essere infantile, sognatore, turbinoso. E torna alla commedia con un film che si fa amare, ci fa ridere e richiama alla memoria il grandissimo successo di Se mi lasci ti cancello. Al cinema.
di Giovanni Bogani

Pierre Niney (35 anni) 13 marzo 1989, Boulogne-Billancourt (Francia) - Pesci. Interpreta Marc Becker nel film di Michel Gondry Il libro delle soluzioni.
sabato 4 novembre 2023 - Focus

Il coraggio di restare bambini. Ecco che cos’ha Michel Gondry. A sessant’anni, che è un’età perfetta per rimanere bambini. Per accettare che rimanga in noi, e in ciò che facciamo, una parte coraggiosa, sconsiderata, che sogna in grandissimo. È quello che fa il protagonista del suo film Il libro delle soluzioni, ora nelle sale italiane. Un ritorno al cinema dopo otto anni – l’ultimo film da regista, Microbo & Gasolina, è del 2015: sessantamila euro di incassi in Italia, non molti di più in Francia. 

Un ritorno che si immagina non facile, per un fuoriclasse fuori dagli schemi, che ha conosciuto il successo come regista di videoclip – per Bjork, Chemical Brothers, Radiohead, mica artisti qualunque –, poi come regista da Oscar, quello per la Miglior Sceneggiatura a Se mi lasci ti cancello. Ma che ha conosciuto anche insuccessi epocali, come quello di Mood Indigo – La schiuma dei giorni, costruito con un cast stellare, un budget di venti milioni di dollari, per incassarne la metà. 

Stavolta non ha un budget stellare, Gondry. E non usa neanche tanti effetti speciali. Ma non importa: l’effetto speciale è emotivo. È quel protagonista, quel suo alter ego, regista al quale i produttori non danno più fiducia, e che si getta nel suo “piano B”: prendere tutti i files del film che sta terminando, e finire di montarlo in campagna, a casa della zia, con due collaboratrici fidate, sulle quali riversa tutti i suoi capricci e le sue nevrosi.

Gondry si racconta, e ci racconta, in un uomo infantile che combina guai impensabili, ma che sogna e ama senza riserve. Con la eternal sunshine of the spotless mind, l’eterno splendore della mente candida. Il significato del titolo originale di Se mi lasci ti cancello. Un verso del poeta inglese Alexander Pope

Michel Gondry, a sessant’anni, non ha paura di essere infantile, sognatore, turbinoso. E crea un film su di un regista che non sa come portare a termine il suo film. Una sorta di “Otto e mezzo” felliniano: il film di Fellini, per un gioco del destino, usciva in Francia proprio quando Gondry nasceva, nel maggio 1963. 


In foto una scena del film Il libro delle soluzioni.

Presentato a Cannes alla Quinzaine des cinéastes, e a Bologna al Biografilm festival, Il libro delle soluzioni è illuminato da quel candore che i film non hanno più: ha momenti da cinema muto, come quando il regista – interpretato da un superbo Pierre Niney – ricrea la pioggia con un annaffiatore da giardino, forse anche con un omaggio all’Arroseur arrosé dei fratelli Lumière.

Racconta un uomo in perpetuo equilibrio fra il capolavoro e il disastro: come del resto si sente chiunque provi a uscire dai confini del già fatto, già detto, già raccontato. “Un’idea è, per definizione, qualcosa di mai visto prima”, dice nel film Pierre Niney. E qui di idee ce ne sono. E c’è un personaggio che cerca, in modo scomposto, come se scoprisse strada facendo come fare, di vivere l’arte e l’amore, di farsi riempire da entrambi. 

C’è una grande differenza, fra il personaggio interpretato da Marcello Mastroianni in Otto e mezzo e quello interpretato da Pierre Niney nel Libro delle soluzioni. L’alter ego di Fellini è un uomo al quale tutti chiedono qualcosa, al quale tutti in qualche modo si sottomettono. Qui Gondry dà vita con il suo personaggio a un esercizio di autoderisione feroce: crea un uomo bipolare, con reazioni sempre eccessive, costretto sempre a scusarsi. E ci regala almeno una scena assolutamente cult: quella in cui il regista decide di scritturare un’intera orchestra per incidere la colonna sonora del film. Solo che quella musica non esiste: la “compone” lui, che non sa leggere la musica, e che cercherà di comunicarla agli orchestrali a gesti. Eppure, miracolosamente, si creano una melodia e un’armonia, fra la musica dodecafonica e la polifonia cinquecentesca. Un po’ come succede al film.  

È lo spirito del bricolage quello che anima Il libro delle soluzioni. Nononstante una carriera a Hollywood, che lo ha portato a lavorare con grandi budget e grandi star – Se mi lasci ti cancello nel 2004, ma anche Be Kind Rewind nel 2008, e Mood Indigo – Gondry sembra più a suo agio nel piccolo, nell’artigianato cinematografico. Come quando ha realizzato L’épine dans le coeur, il documentario del 2009 dedicato alla zia Suzette, maestra di scuola a Cevennes, alla cui memoria è dedicato Il libro delle soluzioni. O come quando, nel 2011, Gondry ha creato al Centre Pompidou “L’usine des films amateurs”. La fabbrica dei film amatoriali: una via di mezzo fra il gioco e l’esperimento creativo, nel quale i visitatori avevano 45 minuti a disposizione per immaginare un film, e se ne tornavano a casa con il film realizzato. 

Fabbricare. Fabbricare film come se fossero sedie, come se fossero giocattoli, il bric-à-brac del cinema. E fabbricare se stessi, lungo l’esperienza che è la nostra vita, attraverso errori e aggiustamenti. Tutto il cinema di Gondry, da Se mi lasci ti cancello ad ora, sembra correre nel segno degli errori e degli aggiustamenti: è come un quaderno pieno di schizzi e di cancellature. In Se mi lasci ti cancello le cancellature erano quelle della memoria dei due protagonisti, che cancellavano e riscrivevano in continuazione le pagine della loro vita. Qui ci sono gli errori, i ripensamenti, le scuse del protagonista. 


In foto una scena del film Il libro delle soluzioni.

Gondry, fra l’altro, prende spunto da una sua sconfitta personale, quella della drammatica postproduzione del film Mood Indigo, con i suoi contrasti con i produttori. Ha messo dentro, insieme al regista, il personaggio di sua zia, affidandolo a una fantastica Françoise Lebrun, che nella sua quieta, umanissima compostezza quasi ruba la scena a Niney.  

Il cinema nel cinema, come in Effetto notte di François Truffaut. Ma Niney non somiglia a quel Truffaut: semmai a un Jean-Pierre Léaud ancora più isterico, sovreccitato, capriccioso. 

Il film è girato in modo volutamente scomposto, con la macchina a mano raramente “in bolla”, che evoca riprese amatoriali. E con il protagonista che cerca affannosamente. Nel suo personale “libro delle soluzioni”, le tavole della Legge per la creatività. Per scoprire che le regole sono semplici, e anche contraddittorie: “iniziare un progetto”, cioè partire, a qualunque costo, anche se non si hanno le idee chiare; imparare facendo”, senza farsi castrare dalla sensazione di inadeguatezza, di non essere tecnicamente in grado; “non ascoltare gli altri”, cioè non farsi condizionare dai loro giudizi, dalle loro obiezioni; e infine, “ascoltare gli altri”, saper chiedere loro scusa, sapersi avvicinare, non credere di essere l’artista genio che vola sopra tutti gli altri. Semplice, no?

Ed ecco un film che si fa amare e che ci fa ridere: come quando Niney dice, di punto in bianco, alla sua assistente Blanche GardinSembri Jeff Bridges!”. E in quel momento, non c’entra nulla questa frase, proprio come nella vita ci vengono in mente frasi che non c’entrano nulla. O quando dice a Camille Rutherford, la ragazza che già adora, e gli sta soffiando sulle mani sudate, “Potresti lavorare come asciugatrice in un bagno pubblico”, che non è esattamente un complimento da manuale. O quando, con grande e commovente semplicità, il personaggio di Pierre Niney riesce a dire una frase piena di amore, una presa di responsabilità, la scelta di un destino, nel finale del film. Non ve la diciamo, per non spoilerare niente.


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