Titolo originale | Copenhagen Cowboy |
Anno | 2022 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Danimarca |
Regia di | Nicolas Winding Refn |
Attori | Zlatko Buric, Angela Bundalovic, Fleur Frilund, Dragana Milutinovic, Mikael Bertelsen Andreas Lykke Jørgensen, Li Ii Zhang, Jason Hendil-Forssell, Lola Winding Refn, Peter Belli, Lizzielou Winding Refn, Ramadan Huseini, Maria Erwolter. |
MYmonetro | Valutazione: 2,50 Stelle, sulla base di 2 recensioni. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 5 gennaio 2023
Serie che mescola il thriller e il noir firmata dal celebre e controverso regista danese Nicolas Winding Refn.
CONSIGLIATO NÌ
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Miu è una ragazza nota per portare fortuna, tanto da essere accolta in una villa di Copenhagen come una sorta di santa pagana, che nel medioevo sarebbe stata data al rogo e oggi invece si spera possa miracolare la padrona di casa con una gravidanza. Ma Miu è pur sempre un'immigrata e il mondo criminale di Copenhagen presto finisce per inghiottirla. Anche nel bel mezzo di una guerra tra bande starà dalla parte delle donne, in particolare aiutando una madre cinese a riavere la figlia, ma questa non è che l'apparenza della vita della ragazza. La sua natura è infatti misteriosa e connotata da capacità che presto si rivelano davvero miracolose...
Nessun regista ha saputo diventare griffe di se stesso quanto Nicolas Winding Refn, che ormai firma le sue opere con "by NWR" come fosse un brand di moda. Infatti Copenhagen Cowboy è soprattutto una patinata riproposizione delle sue ossessioni stilistiche.
Ci sono molti elementi del suo cinema, in particolare nel gruppo di donne ferali e nel cannibalismo che rimandano a Neon Demon, e pure arti marziali e una complessa relazione con una madre dominatrice come in Only God Forgives, ma c'è pure molto cinema di altri: dal sempre presente David Lynch al Jonathan Glazer di Under the Skin e, volendo, pure ai registi Jes Benstock e Luke Losey di un mitico videoclip per gli Orbital con Tilda Swinton. La protagonista Miu, interpretata da Angela Bundalovic (attrice danese pressoché ignota da noi), è altrettanto impenetrabile di Swinton nel videoclip, solo leggermente meno spaesata. A differenziarle è soprattutto il look: Miu inizia quasi subito a indossare una tuta monocromatica blu elettrico, cosa che richiama implicitamente quella gialla di Bruce Lee - e non si tratta di una coincidenza.
Purtroppo però Copenhagen Cowboy ricorda soprattutto Too Old to Die Young, la precedente serie di Refn sviluppata per Amazon e rimasta tronca dopo una decina di velleitari e sfiancanti episodi che non arrivavano ad alcuna vera soluzione. Allo stesso modo Copenhagen Cowboy, che pure consta di sole sei puntate e senza che nessuna superi l'ora di durata, ci ripropone un protagonista che attraversa un inferno metropolitano di bande criminali, connotate dalla diversa etnia: albanesi e cinesi, oltre ai locali danesi.
Inoltre, anche qui c'è una famiglia molto abbiente dove si praticano atti perversi e violenti, soprattutto però c'è la progressione della storia, che parte da un côté crime per svilupparsi via via verso visioni cosmiche e metafisiche. Esattamente come nella serie precedente, questo slittamento arriva nel penultimo episodio della stagione e ci lascia con un'ultima puntata enigmatica, dal finale tanto aperto da chiudere con un doppio cliffhanger. Si guarda a Twin Peaks ma lo si affronta ancora una volta tardivamente, quasi se ne avesse paura - e infatti il confronto si risolve tutto a favore di Lynch.
Non manca un aggiornamento tematico ai temi del femminismo odierno, infatti Copenhagen Cowboy è sceneggiata per lo più da donne e si apre con un omicidio in mezzo a un porcile, dove i maiali grufolano mentre un uomo strangola una donna dalle luccicanti scarpe nere con tacco a spillo. Si giustappone dunque la raffinatezza da spot d'alta moda al letame e alla macelleria. I maiali rimangono ben presenti per il loro tradizionale ruolo di smaltimento cadaveri, ma l'associazione maschio-porco è talmente spinta che un personaggio (non a caso un uomo sovrappeso) addirittura non parla ed emette solo versi suini.
Dopo la presenza di Refn in Death Strading, il game designer di culto Hideo Kojima ripaga l'amico con un cameo, in chiusura di stagione, ma anche Refn mette in scena se stesso. La sua è una muta presenza, che non proferisce parola, silenzioso socio d'affari di alcuni cocainomani. D'altra parte moltissimi personaggi si esprimono a monosillabi e parlano con l'ormai consueto ritmo "refniano" di una battuta dopo vari secondi di silenzio, quasi fossero in collegamento satellitare. Accadeva già con Ryan Gosling in Drive, ma lì era motivato dalle difficoltà del personaggio, qui invece è un atteggiamento diffuso quasi a tutti, in una estetizzazione che si spinge a griffare come "by NWR" pure i dialoghi, oltre alle molte scene illuminate al neon e accompagnate da musica elettronica.
La presenza dell'immancabile sodale Cliff Martinez in colonna sonora pesa moltissimo e non mancano pezzi di bravura, ma queste sequenze non stupiscono più nessuno, anzi sono esattamente quello che ci si aspetta da Refn. Il regista del resto ne è perfettamente conscio e la sua non è dunque semplice autoindulgenza, bensì un continuo e insistito reiterare la propria marca autoriale. Oltretutto se la serie precedente almeno aveva il pregio di essere un esperimento televisivo relativamente originale, questo non si può dire di Copenhagen Cowboy, che ripropone pregi e soprattutto difetti di Too Old to Die Young, con l'aggravante della recidiva.
C'è una nuova Madonna in città. È un alieno (che sguardo, Angela Bundalovic) arrivato dal cielo per ripulire quella Copenhagen malata che ossessiona Nicolas Winding Refn da trent'anni. In questa nuova serie, prossimamente su Netflix, Winding Refn il moralista, il cialtrone, il designer terrorista devoto alla decostruzione per simboli dei propri demoni - gli archetipi di un maschile e di un femminile [...] Vai alla recensione »