L'opera di Assayas ha come modello il cinema di Woody Allen, di cui propone una lettura quasi molecolare, scomponendolo, ricomponendolo e portandolo fin nei recessi del motore narrativo.
di Roy Menarini
I grandi film hanno sempre una doppia natura. Ciascuna autonoma. Per esempio, Il gioco delle coppie può essere serenamente consumato come una commedia intellettuale francese, con un gruppo di attori indiscutibili (Juliette Binoche è ormai tra le grandi interpreti della storia del cinema insieme a Liv Ullmann o Meryl Streep), serviti da una scrittura di spassosa umanità. Poi c'è il secondo film, che per Assayas è sempre una questione di fantasmi. Se nel suo capolavoro Personal Shopper gli spettri si presentano davvero, usando ogni forma di comunicazione digitale (sempre che la protagonista non fosse spettro ella stessa), in altri casi la scomparsa diventa insopportabile, inspiegabile e occulta (Sils Maria); in altri ancora l'immateriale si presenta sotto forma di medium.
E in effetti, il recente cinema di Assayas è una lunga dissertazione filosofica in forma di film sul medium, inteso nella sua ampia accezione - dalla parapsicologia alla tecnologia.
I media ci mettono in contatto con i contenuti. I medium ci mettono in contatto con i fantasmi. Per Assayas, anche la letteratura e il cinema sono fantasmi. E quando il digitale travolge tutto, sottraendo materia alle pagine e lasciando le parole da sole a fluttuare nel virtuale, non si tratta di una semplice rivoluzione tecnica. Ci troviamo di fronte a un sovvertimento del nostro modo di leggere il mondo, non solo i libri.
Ecco, dunque, che il cicaleccio delle élite culturali - che Assayas mette in scena come snob, fatue, fintamente progressiste, narcisiste e parassitarie - appartiene ai personaggi, non all'autore. Ed ecco che la ronde amorosa, il "gioco delle coppie" del titolo italiano, sotto la sua patina leggera e mai gravosa, sta in verità raccontando una frenetica corsa a riempire i vuoti, a difendersi col corpo e col desiderio dalla morte della materia, a salvarsi da tutto ciò che la dematerializzazione digitale porta con sé: sapere incerto, crollo delle autorità, rischi di barbarie, perdita dei punti di riferimento. Questi intellettuali borghesi e macroniani non sono forse il bersaglio dei gilet gialli, del populismo, della reazione ai templi della conservazione e del buon gusto? Assayas ha fatto un film politico, innestato in forma di commedia, a sua volta perfettamente in grado di soddisfare. Il che significa che anche senza andare oltre la buccia, o senza essere d'accordo con questa interpretazione, Il gioco delle coppie funziona a meraviglia.
La forma individuata per questo mélange di lieve e di grave è ancora più suggestiva. Assayas cerca sempre punti di riferimento cinefili non scontati. La sua carriera di critico e analista gli permette grandi raffinatezze quando sceglie le influenze, un po' come Arnaud Desplechin, regista che gli somiglia in vari modi.
Qui il modello è Woody Allen. Non, però, l'Allen istituzionalizzato, bensì quello degli anni Duemila. In particolare il Woody di titoli come Scoop, Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni, Café Society, in cui i le formule a tre atti del racconto cinematografico si scoprono averne un quarto, di puro rilancio e sorpresa, nella parte finale, quasi a insistere testardamente sulla prosecuzione infinita del flusso dei rapporti amorosi e degli equivoci sentimentali. Il milieu intellettuale fa il resto.
Assayas, con Il gioco delle coppie, propone una lettura quasi molecolare di Allen, scomponendolo e ricomponendolo, trasferendolo a Parigi non attraverso un'adesione epidermica ma portandolo fin nei recessi del motore narrativo e della visione del mondo. E mostrando che quella parte della sua carriera non è affatto inconsistente come qualcuno ha pensato, bensì politica e fantasmatica come il film (questo) che ne trae spunto.