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Manuel, un po' di Truffaut a Civitavecchia

Andrea Lattanzi e Francesca Antonelli raccontano il film che li vede protagonisti, esordio nel cinema di finzione di Dario Albertini. Dal 3 maggio al cinema.
di Raffaella Giancristofaro

Manuel

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Andrea Lattanzi (31 anni) 31 luglio 1992, Roma (Italia) - Leone. Interpreta Manuel nel film di Dario Albertini Manuel.
venerdì 27 aprile 2018 - Incontri

Presto lo vedremo insieme a Jasmine Trinca e Alessandro Borghi in Sulla mia pelle di Alessio Cremonini, nel ruolo di un amico di Stefano Cucchi. Andrea Lattanzi ha venticinque anni ma con la testa rasata e la tuta di acrilico è molto credibile come diciottenne.

In Manuel (guarda la video recensione), opera prima di finzione di Dario Albertini, coprodotto da Angelo e Matilde Barbagallo con TIMVISION e distribuito da Tucker Film dal 3 maggio, ha il suo primo ruolo da protagonista, che gli ha portato fortuna: ha ricevuto il premio Jean Carmet al Festival Premier Plans D'Angers dalle mani di Catherine Deneuve, che ha riconosciuto in lui qualità e forza espressive, come sul ricordo dell'istintiva sfrontatezza e fotogenia di Antoine Doinel.
Raffaella Giancristofaro

La sua rinascita di maggiorenne è legata a doppio filo con il destino di sua madre, la coprotagonista Francesca Antonelli (i cui esordi, tra Archibugi, Ferreri, Calopresti, Labate e il televisivo I ragazzi del muretto, spesso hanno incontrato le problematicità dell'emancipazione individuale). La loro rinascita non può che compiersi con la volontà di entrambi. Li abbiamo incontrati all'anteprima milanese del film.


INTERVISTA AD ANDREA LATTANZI

Chi è Manuel?
Un ragazzo che, compiuti i 18 anni, deve uscire dall'istituto in cui ha vissuto da solo, da quando la madre è in carcere. Si ritrova disorientato, a dover affrontare la vera vita, mentre lì dentro c'è tutto quello che gli serve e che anche un po' lo ha coccolato: il campo da calcetto, la sala da computer... In più si ritrova a doversi occupare della madre e di una casa, di responsabilità che prima non aveva.

In una scena una ragazza parla a Manuel di Baci rubati e lui fa finta di conoscere il film di Truffaut per non sfigurare. E tu?
No, non lo conoscevo nemmeno io, l'imbarazzo è autentico.

Prima di girare il film sapevi qualcosa dell'istituto La Repubblica dei Ragazzi di Civitavecchia (la struttura che ospita Manuel, già ripresa da Albertini nel documentario omonimo precedente, ndr)?
No, nulla. Infatti mi sono molto stupito e meravigliato di come vivono i ragazzi all'interno della struttura, non è per niente facile. Per avvicinarmi a Manuel, prima delle riprese ci ho vissuto per un mese, esperienza che mi è servita moltissimo. Tantissimi comportamenti li ho rubati dai ragazzi ospiti, come "sbroccata" improvvisa, come quando butto giù la porta. Loro sono così: ci sono momenti in cui ci parli tranquillo e subito dopo magari per una cosa detta fuori posto ti tirano una bottiglietta addosso. Poi ho visto dei video del vero Manuel, a cui il regista si è ispirato, e ho capito che era molto maturo. Ho cercato di prendere il più possibile da lui.

Sei entrato nell'istituto dichiarandoti come attore?
No. Da un paio d'anni nell'istituto c'è un "pronto intervento", come lo chiamano loro: una stanzetta all'interno del gruppo appartamento, pensata per quei ragazzi che passano in attesa di giudizio, o immigrati in transito. A Civitavecchia, che ha anche il porto, è una situazione normale. Lì possono restare al massimo un mese e mezzo. Il vicedirettore della Repubblica dei Ragazzi - che tempo fa era un posto unicamente per ragazzi che non avevano famiglia, poi è diventato un istituto penale - è un giudice del Tribunale dei minori di Roma e quindi ha il potere di sperimentare cose nuove come questa, oppure la "semi-autonomia", un progetto cuscinetto tra il dentro e il fuori. Gli accordi erano che se fosse arrivato qualcuno nel frattempo gli avrei lasciato il posto e invece per un mese i ragazzi hanno pensato che fossi arrivato lì come loro.

Hai convissuto con loro giorno e notte?
A volte rimanevo lì a dormire, a volte andavo a dormire a casa del regista. Comunque i ragazzi all'interno sono molto liberi, sono abituati a uscire e entrare e non si meravigliano che lo facciano altri, perché non si fanno nemmeno tante domande, tra di loro.

Cosa ti ha dato questo film?
Un'esperienza magnifica, perché ho conosciuto questo mondo. Immaginavo una casa famiglia come un ritrovo per ragazzi soli e invece mi è cambiato il punto di vista. È stato toccante avere a che fare con le loro situazioni familiari. Mi porterò dentro più attenzione per le persone e più precisione nel lavoro. Da protagonista ho sentito una grande responsabilità. Poi essere premiato da Catherine Deneuve, i suoi complimenti, sono cose che non capitano tutti i giorni. Mi impegnerò a lavorare sempre meglio e a selezionare i progetti giusti.


VAI ALL'INTERVISTA A FRANCESCA ANTONELLI
In foto una scena del film Manuel.
In foto una scena del film Manuel.
In foto una scena del film Manuel.
INTERVISTA A FRANCESCA ANTONELLI

Chi è Veronica?
Una donna e una madre irrisolta e confusa. Un personaggio molto complesso, vittima e carnefice nello stesso momento. Un misto di amore e menefreghismo. Da piccola, quando ho cominciato a recitare, mi dicevo che non mai e poi mai avrei interpretato una madre. E invece sono stata già anche una nonna, in L'ultima ruota del carro di Giovanni Veronesi.

Nel cercare il ruolo hai pensato alla madre di Antoine Doinel?
Sinceramente no. Ho un modo mio di entrare nel personaggio, soprattutto quand'è così distante da me. Non lo ritrovavo nel mio bagaglio, o solo alcune cose. Caratterialmente non metterei mai me stessa - come fa Veronica - al primo posto rispetto ai miei figli, non costringerei mai Manuel a rinunciare alla sua libertà, piuttosto starei altri dieci anni dentro. Per me quella è stata la cosa più difficile: riuscire a non giudicare il personaggio e ad amarlo comunque, per quanto sia, come l'hanno definita i critici francesi, ballotée par la vie, sballottata dalla vita. Di guardarla con compassione, non con pietà. Come a una donna che non è libera ma prigioniera, "cattiva", di una situazione da cui non riesce a uscire, malgrado l'amore evidente per il figlio.

Che indicazioni di regia hai avuto?
Dario ti comunica le cose senza parlare. Abitiamo vicini, mi ha osservato a lungo in un bar, abbiamo cominciato a vederci ma senza parlare né di Manuel né di Veronica o di come avrei dovuto interpretarla. Nei mesi l'ho capito ma me l'ha trasmesso in un altro modo, come per osmosi, percepivo quello che lui non avrebbe voluto che facessi. Dario ama i suoi attori e l'amore dà libertà. Se da attore ti senti amato, ti senti anche libero. Nel film appaiono, anche se molto rapidamente, mia madre, i miei figli, mio nipote. Ha aiutato in un certo senso anche il fatto di doversi arrangiare molto, sul set, e di farlo per amore di questa storia.

Cosa resterà in te di Manuel?
La sottolineatura di un momento delicato della crescita dei ragazzi. Diventare grandi, in qualsiasi parte del mondo tu viva, è difficile, fa paura. Io ho tre figli adolescenti ma mi ricordo anche quando ci sono passata, penso lo sia stato per tutti. Per me questo progetto è un piccolo miracolo e auguro a tutti i Manuel di questo mondo di poter trovare la loro strada.


MANUEL: RECENSIONE

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