danko188
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lunedì 14 marzo 2016
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"qualcosa mi ha disturbato"
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Cheyenne (Sean Penn) ha 50 anni ed è un ex rock star che ha perso se stesso. Il suo volto è coperto da una maschera di trucco che alla sera rimuove davanti allo specchio, assieme all’energica moglie (Frances McDormand), sua compagna da 35 anni. Il successo del passato ha dato all’ora emaciato Cheyenne popolarità e denaro, che dopo tanti anni di inattività gli permette ancora di vivere dignitosamente in una grande casa a Dublino che appare, da un punto di vista dell’arredamento, spoglia e semivuota. Nel grande giardino verde che la circoscrive c’è anche una grande piscina che i due coniugi impiegano però per giocare a squash, convinti che sia più divertente che nuotare e basta.
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Cheyenne (Sean Penn) ha 50 anni ed è un ex rock star che ha perso se stesso. Il suo volto è coperto da una maschera di trucco che alla sera rimuove davanti allo specchio, assieme all’energica moglie (Frances McDormand), sua compagna da 35 anni. Il successo del passato ha dato all’ora emaciato Cheyenne popolarità e denaro, che dopo tanti anni di inattività gli permette ancora di vivere dignitosamente in una grande casa a Dublino che appare, da un punto di vista dell’arredamento, spoglia e semivuota. Nel grande giardino verde che la circoscrive c’è anche una grande piscina che i due coniugi impiegano però per giocare a squash, convinti che sia più divertente che nuotare e basta. Questo e ben poco altro riempie la vita monotona di Cheyenne, oltre alla compagnia della giovane Mary, adolescente problematica e triste per la perdita del fratello scappato di casa, che ha provocato nella madre un vuoto incolmabile e una condizione psicologica sempre più precaria. A sconvolgere e scuotere l’animo del protagonista è una chiamata dagli Stati Uniti: il padre che non rivede da tanti anni sta per morire. Ogni cosa, da allora, prende una piega diversa e il viaggio che Cheyenne è pronto ad intraprendere lo cambierà per sempre.
E’ un viaggio alla ricerca di sé, verso la propria attuale accettazione, quello compiuto da John Smith (vero nome del protagonista) dopo la scomparsa del padre. Un’avventura spinta dalla sola vendetta, quella di restituire ad un nazista la stessa umiliazione che egli ha inferto al padre ebreo negli anni ’40 che finirà per diventare l’esperienza spartiacque tra l’età giovanile in cui il non più giovane Cheyenne si trova ancora immerso, e quella della maturità, della coscienza del proprio essere cessando di fuggire alle proprie responsabilità. Una storia che assume nel suo lento scorrere i caratteri di un romanzo di formazione uniti a quelli del picaresco che attraversa le tematiche più disparate, innescando in Cheyenne una sorta di rivalutazione del proprio vissuto che sfiora a tratti l’autocommiserazione (fenomenale la scena con David Byrne) a momenti di ironia ad altri ancora di semplice apatia. Una riflessione molto delicata e autocritica dell’esistenza: cosa ho fatto? Cosa avrei voluto fare? E come invece è andata? Queste sono solo alcune delle domande che si insinuano nella mente del protagonista, domande che possono scuotere lo spettatore chiedendosi di come si è vissuto il tempo, cosa si è stato fatto in passato e se c’è spazio per qualche rimpianto, che concezione si ha del mondo dell’arte e soprattutto con che occhio si vede chi quella stessa arte ce la propina. Sorrentino ad esempio ha un modo tutto suo di farlo, uno stile comunicativo peculiare che ne fanno uno dei più apprezzati all’estero, adoperando il mezzo con maestria e curando i particolari delle inquadrature fisse e quelle in cui la macchina da presa si muove più o meno lentamente, forse con un po’ di quella spocchia che ricorda Anonion ma che in un cinema carente di idee e innovazione come il nostro di certo non guasta. Criticatissimo non tanto per lo stile di regia quanto per i contenuti effettivi dei suoi film in cui secondo i detrattori l’estetica piuttosto che arricchire, sopprime il significato e il messaggio dell’opera. This must be the place che è sin dal titolo un tributo esplicito ai Talking Heads, la cui canzone omonima accompagna i momenti più carichi di intensità drammatica del film, oltre a racchiudere il finale in cui si giunge al nazista e si può finalmente esclamare “Deve essere questo il luogo”. E’ a mio avviso il film più maturo ed equilibrato del regista napoletano, un capolavoro in cui la musica viene utilizzata come meglio non farà nemmeno nei lavori futuri, e la potenza delle immagini è proporzionata al contenuto assumendo un valore che non è mesto decoro bensì la candida rappresentazione emotiva del protagonista, sublime lavoro fotografico di Luca Bigazzi. La tanto criticata spocchia da macho intellettuale che nutre l’effimero piacere della visione in maniera ridondante e forzata è ridotta qui ai minimi termini e le scene sono funzionali alla narrazione senza farla traboccare di trovate fini a se stesse. Qualche rassomiglianza tra Cheyenne e tutti gli altri personaggi della filmografia sorrentiniana, uomini problematici e solitari, alienati nella penombra, o intellettuali disillusi, in particolare con L’uomo in più, lavoro primo del regista che ci ha inoltrati nel declino di due star. Personalmente vedo a This must be the place come ad una versione matura di quel film, in cui il protagonista ritrova la redenzione personale e la riscoperta dei valori nel pieno della sua discesa. Più di una nota di merito va a Sean Penn, che dopo l’oscar per Milk ci ha regalato quella che da diversi anni è la sua ultima grande interpretazione in un ruolo impegnativo.
Voto 8.5
Danko188
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papaguena
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mercoledì 19 ottobre 2011
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avvincente e ironico
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'This must be the place' racconta con ironica malinconia la catarsi di Cheyenne, un tempo una celebre rockstar, oggi un cinquantenne un po' strambo con un terribile senso di colpa e l'animo di un bambino che non ha mai provato il desiderio di fumare e che non si è mai interessato all'olocausto. La morte del padre lo costringe a tornare nel suo passato e a riallacciare così i fili spezzati sia del suo rapporto interrotto col padre sia delle ricerche del genitore, anch'esse interrotte, che miravano a scovare il carnefice nazzista che lo aveva umiliato nei campi di concentramento. Ad incrociare questa doppia ricerca della sua identità e di colui che, in qualche modo, privò il padre della sua dignità di uomo, vi sono vari personaggi ognuno dei quali aggiunge un tassello fondamentale alla storia e all'evoluzione di Cheyenne; finchè il 'cattivo', scovato, viene messo a nudo nella sua debolezza, nella sua fragilità, insomma nella sua umanità.
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'This must be the place' racconta con ironica malinconia la catarsi di Cheyenne, un tempo una celebre rockstar, oggi un cinquantenne un po' strambo con un terribile senso di colpa e l'animo di un bambino che non ha mai provato il desiderio di fumare e che non si è mai interessato all'olocausto. La morte del padre lo costringe a tornare nel suo passato e a riallacciare così i fili spezzati sia del suo rapporto interrotto col padre sia delle ricerche del genitore, anch'esse interrotte, che miravano a scovare il carnefice nazzista che lo aveva umiliato nei campi di concentramento. Ad incrociare questa doppia ricerca della sua identità e di colui che, in qualche modo, privò il padre della sua dignità di uomo, vi sono vari personaggi ognuno dei quali aggiunge un tassello fondamentale alla storia e all'evoluzione di Cheyenne; finchè il 'cattivo', scovato, viene messo a nudo nella sua debolezza, nella sua fragilità, insomma nella sua umanità. Alla fine della sua istanza a New York, la vecchia rockstar torna a Dublino e si libera da quella maschera, fatta di rossetto, matita e capelli cotonati, dietro la quale per troppo tempo si era nascosto. E' pronto a vivere una nuova vita e a lasciare definitivamente alle spalle la sua adolescenza e la sua ribellione interiore.
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upbordello
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mercoledì 26 ottobre 2011
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opinioni di un clown -
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"This must be the place" è un bel film. Ottima la fotografia. I dialoghi misurati e incisivi, nati per essere ricordati. Personaggi grandiosi, un Sean Penn che si fa indelebile alla memoria, ma non di certo solo lui. Oltre alla moglie paziente un sottobosco di donne sole, bambini spaventati, ragazze fragili, anziani tenuti insieme dal dolore e dal ricordo, aggressivi figli dei tempi, poetici indiani finiti nella pellicola quasi per caso. Ma niente è a caso in questa storia. La perfezione, non di quelle geometriche e spinose dei film precedenti che lasciavano l'inquieta bellezza della vita danzare su un mare di amarezza, bensì la perfezione stessa del cinema, riluce per tutta la durata del film.
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"This must be the place" è un bel film. Ottima la fotografia. I dialoghi misurati e incisivi, nati per essere ricordati. Personaggi grandiosi, un Sean Penn che si fa indelebile alla memoria, ma non di certo solo lui. Oltre alla moglie paziente un sottobosco di donne sole, bambini spaventati, ragazze fragili, anziani tenuti insieme dal dolore e dal ricordo, aggressivi figli dei tempi, poetici indiani finiti nella pellicola quasi per caso. Ma niente è a caso in questa storia. La perfezione, non di quelle geometriche e spinose dei film precedenti che lasciavano l'inquieta bellezza della vita danzare su un mare di amarezza, bensì la perfezione stessa del cinema, riluce per tutta la durata del film. Che fa sorridere anche in certe infantili manie del protagonista, ma sopratutto fa guardare.
In Irlanda, un uomo adulto, con un passato-presente da Pop Star nasconde l'uomo che è diventato dietro il cerone della sua infanzia. Ha perso la famiglia per un puntare i piedi da adolescente ma quando viene a sapere che il tempo della riparazione è finito e il padre è morto, mette le sue fobie e le sue debolezze nel trolley e va alla ricerca di risposte per domande che non si è mai fatto. Le troverà dopo molti incontri e chilometri e il suo viaggio americano cambierà tutto, non sarà più un bambino ma mostrerà al mondo le rughe nascoste sotto il trucco. Ammettiamolo: storia banale. Ma girata in maniera piacevole, fintamente lenta. Godibile anche il consumarsi della vendetta paterna, lo "sparo" con cui realizza il desiderio inseguito da tutta una vita del padre morto di punire il nazista che lo aveva umiliato.
Eppur qualcosa non mi convince. Saranno i rimandi a mille altri film, la voce narrante che sembra leggere un testo del Peter Handke di "quando il bambino era bambino", il protagonista un angelo dark dagli occhi burtoniani, a tratti sfumature di dialoghi alla Jarmusch. Non avevo mai visto altro che un Sorrentino in un film di Sorrentino. E poi, dopo qualche tempo, capisco perchè questo film è bello ma non mi piace. Per dirla con Cheyenne "Qualcosa mi ha disturbato, non so bene cosa, ma qualcosa mi ha disturbato..." e ci ho pensato due giorni a cosa fosse. A parte l'escamotage di utilizzare il fumo come rito di passaggio all'età adulta ( i bambini non hanno bisogno di fumare se sei adulto si), a parte il compiacimento che mai avevo sentito negli altri film, alla fine ho capito cosa mi aveva messo nostalgia in questa opera di Paolo Sorrentino, Paolo come il nome che si vede scritto su un furgone per numerosi fotogrammi dietro la schiena di Sean Penn. E' stata la sensazione di una perfezione da diamante da cui non nasce niente e che se pure con questo film ci ha guadagnato l'America, e ne sono bel felice visto che resta uno dei più grandi registi/sceneggiatori italiani del momento, l'autore ci ha perso un pezzo della mia stima. Non se ne angustierà, certamente, il senso di disturbo resta tutto mio, insieme alla tristezza di essermi accorta, tornando a casa, di aver visto un bel film. E basta.
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weach
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mercoledì 2 novembre 2011
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in realtà è un film minimalista
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this must be the Placedi Paolo Sorrentino-anno di produzione 2011
Parliamo di sensibilità allo stato puro senza spazio per l'intelletto ?
Forse di un movimento energetico che ci rapisce nel suo inteso "rumore d'amore"?
Sono solo due ore armoniche, malinconiche, appassionate,struggenti?
Il protagonista è alla ricerca dell'amore che non ha potuto avere o dare mentre ascolta un silenzio esistenziale ricolmo di dolore fisco e materiale?
Tante domande, tante porte aperte; in realtà è un film minimalista molto efficace che ci abbracciatutti invitandoci a " viaggiare dentro noi stessi".
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this must be the Placedi Paolo Sorrentino-anno di produzione 2011
Parliamo di sensibilità allo stato puro senza spazio per l'intelletto ?
Forse di un movimento energetico che ci rapisce nel suo inteso "rumore d'amore"?
Sono solo due ore armoniche, malinconiche, appassionate,struggenti?
Il protagonista è alla ricerca dell'amore che non ha potuto avere o dare mentre ascolta un silenzio esistenziale ricolmo di dolore fisco e materiale?
Tante domande, tante porte aperte; in realtà è un film minimalista molto efficace che ci abbracciatutti invitandoci a " viaggiare dentro noi stessi".
-Home is where i want to be-(la mia casa è dove voglio essere della canzone dei Talking Haed che da sapore all''opera di Paolo Sorrentino).
Una canzone dei Talking Haed dice più meno cosi ;" E Dio prima creò il sogno mentre a stento seguì la realtà".
L'"apnea "esasperata di Cheyenne è quella di un giovane vecchio che fatica a dirige il suo passo, sospeso fra una realtà che lo sfiora e l'eco di una fiaba ammuffita che ancora lo avvolge : dentro c'e'un punk , la droga , la trasgressione, un occhiale da divo che lo nasconde dalla sua vera essenza , un' oscurità ricercata che obnubila il pensiero; la lentezza espositiva trova un punto di osservazione denso nel trucco da clown che in qualche modo assorbe tutta una generazione fatta di follie , eccessi, esasperazioni , musica ripetitiva ed ossessiva. Imbattibile Sean Penn che gioca mirabilmente nel ruolo di Cheyenne!!!!!!!!!.La storia di Cheyenne non ha analogie con "Il Divo", diverso l'argomento , differente il contesto e gli input; se proprio vogliamo collegarli possiamo solo dire che è un film di Paolo Sorrentino :basta.
Poi mi devo correggere , dopo una più attenta osservazione appaiono numerosi i punti di contatto: lo stile di Sorrentino richiama se stesso in quella tendenza ad isolare i personaggi dal contesto favorendone l'' introspezione ,riflessione , generando un mondo sospeso fra il surreale ed un passato che interagisce con il presente , una realtà apparentemente indeterminata che comunque alimenta ancora il pensiero in fieri ;strumentali sono l'uso dei primi piani che parlano spesso più della parola come del resto i silenzi che vengono disegnati e le inquadrature che si soffermano sugli occhi che osservano.Dopo la proiezione mi ha rapito una vibrazione intensa che si è incollata all'anima; in quell' attimo; cercando di non perdere quel movimento energetico sono cominciate le domande ed il film è entrato in "analisi ".
Il senso del film ? Non tutto deve avere un senso ; si può anche essere semplicemente osservatori di accadimenti che ci capitano addosso.
Non tutto deve avere indirizzo, proposito,messaggio, magari può essere un semplice esercizio di stasi volta ad assimilare una profondità che si è persa.
La dilatazione dello spazio e del tempo nell'opera di Sorrentino confluisce in un luogo indeterminato dove tutto può evolvere verso una crescita.
Apprezzabile la sinergia che si riesce a costruire fra suoni ed immagini.
Questo film è contesto dove si ramifica idee e propositi; dove una metamorfosi dovrebbe procedere; mentre si snoda la pellicola"restano tanti lumicini"come delle bolle di idee ,pensieri abbozzati che potrebbero fruttificare ;queste bolle di idee, abbozzi, quando fruttificano possono divenire un bagliore di luce cristallina ed il sogno divenire vivida realtà.
Ma quando il sogno diviene vivida realtà? Solo nell'attimo in cui il contenitore fatuo svanisce ed i cimeli del passato, coccolati da Cheyenne con dedizione ipnotizzante , come per incanto, perdono forma e sostanza; in quell'attimo ,il tempo di un battito d'ali di una farfalla,il clown vede riaffiorare la sua completezza sopita mentre si strucca;l'apparenza evapora e la sostanza riaffiora come un bagliore di luce cristallina.
Restano tanti "lumicini", apparentemente generici o trattati con troppo pudore; ma non è così, si scivola sul molto per apprezzarne i primi sapori, per poi gettarsi dentro una cascata turbinosa ,la vita!!!
In apparenza"frigido" questo this must be the Place , è invece severissimo nella denuncia contro la società occidentale che palesa il suo degrado , putridume, avidità maniacale: lascio a voi i moltissimi richiami lanciati un poco ovunque nella pellicola.
Il clown senza trucco è ora un uomo ? Forse,ma potrebbe nuovamente smarrire la via e cadere ancora nell'incantesimo:la regia sembra concedere una lettura di evoluzione: la metamorfosi dovrebbe procedere. Alla fine parliamone bene , molto bene di questa ultima opera di Paolo Sorrentino,una fucina di esperimenti,un intelligente brodo primordiale dove si ramificano idee e propositi.
Un progetto di fiore sembra sbocciare.
Vale sicuramente quattro stelle d'oro , tutto da vedere !!!!!
Buona visione
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rescart
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domenica 15 aprile 2012
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sensi di colpa
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Per la rock star Cheyenne la vita si è fermata, come congelata, in quel giorno di maggio dell’88 quando i due fratelli Keogh, di Dublino, decisero insieme di suicidarsi dopo il suo ultimo concerto, svoltosi presumibilmente nello stadio che, simile ad una futurista astronave, fa da sfondo alle casette mono familiari in una delle quali vive la madre di Tony, della cui scomparsa, risalente a tre mesi prima, ella non riesce a darsi una ragione. Per questo da allora lei vive perennemente alla finestra della sua casetta di legno, con in grembo il telefono da cui attende una chiamata del figlio.
Cheyenne dopo quel concerto non è più tornato a New York, ma si è trasferito con la moglie là dove per lui il tempo si è fermato, in un castello vecchio stile con una piscina vuota che serve loro da campetto per giocare a pelota.
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Per la rock star Cheyenne la vita si è fermata, come congelata, in quel giorno di maggio dell’88 quando i due fratelli Keogh, di Dublino, decisero insieme di suicidarsi dopo il suo ultimo concerto, svoltosi presumibilmente nello stadio che, simile ad una futurista astronave, fa da sfondo alle casette mono familiari in una delle quali vive la madre di Tony, della cui scomparsa, risalente a tre mesi prima, ella non riesce a darsi una ragione. Per questo da allora lei vive perennemente alla finestra della sua casetta di legno, con in grembo il telefono da cui attende una chiamata del figlio.
Cheyenne dopo quel concerto non è più tornato a New York, ma si è trasferito con la moglie là dove per lui il tempo si è fermato, in un castello vecchio stile con una piscina vuota che serve loro da campetto per giocare a pelota. L’impressione è che i due abbiano acquistato la prima casa che si trovava (forse da anni ) in quel momento sul mercato immobiliare e che forse non interessava a nessun altro. Come il mestiere che la moglie decide di fare una volta trasferita a Dublino: il pompiere. Strano mestiere per una fumatrice incallita, che rischia di morire bruciata perché si addormenta con la sigaretta accesa e viene salvata da un marito molto più vigile di lei. A confermare che la pura casualità guidava (e guida) le scelte della moglie, quasi a voler dimostrare al marito, con cui è sposata da 35 anni, che quel suicidio era stato un fatto puramente casuale, non consequenziale, come lui crede, al suo concerto e al suo genere di musica.
Fin qui la trama, che Sorrentino, dopo averla concepita, dipinge magistralmente ricorrendo a trovate originali, come quando, dopo aver perso alla pelota con la moglie, Cheyenne ribalta sul prato una sedia che si trovava sul suo cammino proprio mentre il sonoro, che si riferisce alla scena successiva non ancora inquadrata, è la voce della la moglie che gli comunica l’arrivo di una lettera di MTV che lo invita al prossimo Music Award. O come quando lei, alle prese con una finestra che non vuole aprirsi durante un intervento in veste da pompiere, intravvede il marito che la guarda. Una casualità, come il duplice suicidio, ma questa sua lucida consapevolezza è sufficiente a spiegare la triste espressione del suo volto, in contrasto con lo sguardo divertito del marito. Come quella finestra, così è il cuore di Cheyenne, che non vuole aprirsi al futuro, rappresentato dal gruppo “I pezzi di merda”, che il cantante rock prepensionato incontrerà ben tre volte sulla sua strada: al prima a un centro commerciale dove il gruppo si esibisce con il suo pezzo forte; la seconda quando il leader del gruppo viene a casa sua per proporgli di fargli da produttore; la terza quando sentirà per la seconda volta la canzone, ma alla radio e in viaggio per gli Stati Uniti d’America.
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weach
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mercoledì 6 giugno 2012
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e dio prima creò il sogno mentre a stento seguì la
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this must be the Placedi Paolo Sorrentino
-anno di produzione 2011
Parliamo di sensibilità allo stato puro senza spazio per l'intelletto ?
Forse di un movimento energetico che ci rapisce nel suo inteso "rumore d'amore"?
Sono solo due ore armoniche, malinconiche, appassionate,struggenti?
Il protagonista è alla ricerca dell'amore che non ha potuto avere o dare mentre ascolta un silenzio esistenziale ricolmo di dolore fisco e materiale?
Tante domande, tante porte aperte; in realtà è un film minimalista molto efficace che ci abbracciatutti invitandoci a " viaggiare dentro noi stessi".
-Home is where i want to be-(la mia casa è dove voglio essere della canzone dei Talking Haed che da sapore all''opera di Paolo Sorrentino).
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this must be the Placedi Paolo Sorrentino
-anno di produzione 2011
Parliamo di sensibilità allo stato puro senza spazio per l'intelletto ?
Forse di un movimento energetico che ci rapisce nel suo inteso "rumore d'amore"?
Sono solo due ore armoniche, malinconiche, appassionate,struggenti?
Il protagonista è alla ricerca dell'amore che non ha potuto avere o dare mentre ascolta un silenzio esistenziale ricolmo di dolore fisco e materiale?
Tante domande, tante porte aperte; in realtà è un film minimalista molto efficace che ci abbracciatutti invitandoci a " viaggiare dentro noi stessi".
-Home is where i want to be-(la mia casa è dove voglio essere della canzone dei Talking Haed che da sapore all''opera di Paolo Sorrentino).
Una canzone dei Talking Haed dice più meno cosi ;" E Dio prima creò il sogno mentre a stento seguì la realtà".
L'"apnea "esasperata di Cheyenne è quella di un giovane vecchio che fatica a dirige il suo passo, sospeso fra una realtà che lo sfiora e l'eco di una fiaba ammuffita che ancora lo avvolge : dentro c'e'un punk , la droga , la trasgressione, un occhiale da divo che lo nasconde dalla sua vera essenza , un' oscurità ricercata che obnubila il pensiero; la lentezza espositiva trova un punto di osservazione denso nel trucco da clown che in qualche modo assorbe tutta una generazione fatta di follie , eccessi, esasperazioni , musica ripetitiva ed ossessiva. Imbattibile Sean Penn che gioca mirabilmente nel ruolo di Cheyenne!!!!!!!!!.La storia di Cheyenne non ha analogie con "Il Divo", diverso l'argomento , differente il contesto e gli input; se proprio vogliamo collegarli possiamo solo dire che è un film di Paolo Sorrentino :basta.
Poi mi devo correggere , dopo una più attenta osservazione appaiono numerosi i punti di contatto: lo stile di Sorrentino richiama se stesso in quella tendenza ad isolare i personaggi dal contesto favorendone l'' introspezione ,riflessione , generando un mondo sospeso fra il surreale ed un passato che interagisce con il presente , una realtà apparentemente indeterminata che comunque alimenta ancora il pensiero in fieri ;strumentali sono l'uso dei primi piani che parlano spesso più della parola come del resto i silenzi che vengono disegnati e le inquadrature che si soffermano sugli occhi che osservano.Dopo la proiezione mi ha rapito una vibrazione intensa che si è incollata all'anima; in quell' attimo; cercando di non perdere quel movimento energetico sono cominciate le domande ed il film è entrato in "analisi ".
Il senso del film ? Non tutto deve avere un senso ; si può anche essere semplicemente osservatori di accadimenti che ci capitano addosso.
Non tutto deve avere indirizzo, proposito,messaggio, magari può essere un semplice esercizio di stasi volta ad assimilare una profondità che si è persa.
La dilatazione dello spazio e del tempo nell'opera di Sorrentino confluisce in un luogo indeterminato dove tutto può evolvere verso una crescita.
Apprezzabile la sinergia che si riesce a costruire fra suoni ed immagini.
Questo film è contesto dove si ramifica idee e propositi; dove una metamorfosi dovrebbe procedere; mentre si snoda la pellicola"restano tanti lumicini"come delle bolle di idee ,pensieri abbozzati che potrebbero fruttificare ;queste bolle di idee, abbozzi, quando fruttificano possono divenire un bagliore di luce cristallina ed il sogno divenire vivida realtà.
Ma quando il sogno diviene vivida realtà? Solo nell'attimo in cui il contenitore fatuo svanisce ed i cimeli del passato, coccolati da Cheyenne con dedizione ipnotizzante , come per incanto, perdono forma e sostanza; in quell'attimo ,il tempo di un battito d'ali di una farfalla,il clown vede riaffiorare la sua completezza sopita mentre si strucca;l'apparenza evapora e la sostanza riaffiora come un bagliore di luce cristallina.
Restano tanti "lumicini", apparentemente generici o trattati con troppo pudore; ma non è così, si scivola sul molto per apprezzarne i primi sapori, per poi gettarsi dentro una cascata turbinosa ,la vita!!!
In apparenza"frigido" questo this must be the Place , è invece severissimo nella denuncia contro la società occidentale che palesa il suo degrado , putridume, avidità maniacale: lascio a voi i moltissimi richiami lanciati un poco ovunque nella pellicola.
Il clown senza trucco è ora un uomo ? Forse,ma potrebbe nuovamente smarrire la via e cadere ancora nell'incantesimo:la regia sembra concedere una lettura di evoluzione: la metamorfosi dovrebbe procedere. Alla fine parliamone bene , molto bene di questa ultima opera di Paolo Sorrentino,una fucina di esperimenti,un intelligente brodo primordiale dove si ramificano idee e propositi.
Un progetto di fiore sembra sbocciare.
Vale sicuramente quattro stelle d'oro , tutto da vedere !!!!!
Buona visione
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domenica 10 giugno 2012
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una finestra grande piena di aria fresca
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Una boccata di aria fresa
una storia scritta con Umberto Catorelli ollre alla stretta collaborazione di Sean Penn, attore sempre alla ricerca di nuove sfide.
Perché una storia nel Tennessee?Solo perche è terra lontana ?Appantemente film poco italiano che genera compiacimento nel vedere un regista Italiano dietra alla macchina con talentuoso regista.Ma le radici partenopee non le dimentica Paolo Sorrentino , basta pensare al primo dialogo del film ." quando o fatto il bagno a Posillipo ti hanno rubato scarpe e vestiti"Napoli è una citta violenta"
Tutti alla ricerca di qualcosa che non quadra nel fim ? Ma cosa non quadra?Eppure il film è un grande discorso esistenziale pieno del sentire della vita, della morte , del dolore ,dell 'amore ,dell'amicizia ,della famiglia e della musica
the .
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Una boccata di aria fresa
una storia scritta con Umberto Catorelli ollre alla stretta collaborazione di Sean Penn, attore sempre alla ricerca di nuove sfide.
Perché una storia nel Tennessee?Solo perche è terra lontana ?Appantemente film poco italiano che genera compiacimento nel vedere un regista Italiano dietra alla macchina con talentuoso regista.Ma le radici partenopee non le dimentica Paolo Sorrentino , basta pensare al primo dialogo del film ." quando o fatto il bagno a Posillipo ti hanno rubato scarpe e vestiti"Napoli è una citta violenta"
Tutti alla ricerca di qualcosa che non quadra nel fim ? Ma cosa non quadra?Eppure il film è un grande discorso esistenziale pieno del sentire della vita, della morte , del dolore ,dell 'amore ,dell'amicizia ,della famiglia e della musica
the .must be the Place
di Paolo Sorrentino-anno di produzione 2011 è entrato nel mio cuore
Parliamo di sensibilità allo stato puro senza spazio per l'intelletto ?
Forse di un movimento energetico che ci rapisce nel suo inteso "rumore d'amore"?
Sono solo due ore armoniche, malinconiche, appassionate,struggenti?
Il protagonista è alla ricerca dell'amore che non ha potuto avere o dare mentre ascolta un silenzio esistenziale ricolmo di dolore fisco e materiale?
Si intravede sullo sfondo una società arida , senza ethos ne pathos , dove si contrappone una spiritualità battagliera che non accetta di essere fagocitata da un motu di dissoluzione ; una spiritualità che si aggrappa ad un valore non manipolabile “ la capacità di "sentire ". Alla fine del film qualcosa mi si è incollata all'anima; in quell' attimo, ho sentito sossurri e grida insieme ed un movimento energetico che mi a invitato a ricercare una risonanza con questa splendida opera.
Non tutto deve avere un senso ; si può anche essere semplicemente osservatori di accadimenti che ci capitano addosso.
Non tutto deve avere indirizzo, proposito,messaggio, magari può essere un semplice esercizio di stasi volta ad assimilare una profondità che si è persa.
La dilatazione dello spazio e del tempo nell'opera di Sorrentino confluisce in un luogo indeterminato dove tutto può evolvere verso una crescita.
Ma non basta .
Come non apprezzare la sinergia che si fa assaporare fra suoni ed immagini??
Questo film è contesto dove si ramifica idee e propositi; dove una metamorfosi dovrebbe procedere; mentre si snoda la pellicola"restano tanti lumicini"come delle bolle di idee ,pensieri abbozzati che potrebbero fruttificare ;queste bolle di idee, abbozzi, quando fruttificano possono divenire un bagliore di luce cristallina ed il sogno divenire vivida realtà.
Quando sono uscito dalla sala cinematografica ho detto: finalmento ho aperto una finestra grande che mi ha messo in armonia con il mondo.......non è poco.
grazie
buona visione
weach illuminati
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albert-1
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mercoledì 8 agosto 2012
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poesia che vola leggera
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This must be the place è un film che parla dell'assenza, mostra immagini che celano sentimenti, tutto scorre lento come in una dimensione onirica o in una sospensione temporale che è quella in cui vive il protagonista (uno Sean Penn di indicibile bravura), prigioniero della maschera che ha indossato da giovane che lo ha congelato nella sua pubertà e della quale riesce a liberarsi solo dopo aver sciolto i nodi sentimentali del proprio passato e aver reso onore al genitore da ci si sentiva rifiutato.
Sean Penn si muove lento, stretto in vincoli con le pesanti assenze: il padre, Tony, i ragazzini morti per aver preso troppo sul serio le sue canzoni, il passato da pop star, fino allo sblocco di tutto ciò.
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This must be the place è un film che parla dell'assenza, mostra immagini che celano sentimenti, tutto scorre lento come in una dimensione onirica o in una sospensione temporale che è quella in cui vive il protagonista (uno Sean Penn di indicibile bravura), prigioniero della maschera che ha indossato da giovane che lo ha congelato nella sua pubertà e della quale riesce a liberarsi solo dopo aver sciolto i nodi sentimentali del proprio passato e aver reso onore al genitore da ci si sentiva rifiutato.
Sean Penn si muove lento, stretto in vincoli con le pesanti assenze: il padre, Tony, i ragazzini morti per aver preso troppo sul serio le sue canzoni, il passato da pop star, fino allo sblocco di tutto ciò.
Come un libro ben scritto lascia molto all'immaginario dello spettatore, non svela tutto, mostra solo ciò che conta, dà spunti.
Splendida la fotografia, delicati gli intrecci, sottili le citazioni dei maestri, meraviglioso Sean Penn.
4 stelle perché forse scivola un po' sul finale.
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luke_90
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lunedì 17 settembre 2012
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da pelle d'oca (in senso buono)
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Capolavoro di Sorrentino, da vedere e rivedere, senza dubbio. Grande sceneggiatura e colonna sonora, regia da sogno, recitazione semplicemente superba. Una delle cose che si apprezzano maggiormente è sicuramente questa figura di eroe maletto che diventa un pò la metafora di una generazione o di una civiltà ormai in netta decadenza, alle prese con il proprio passato. Sean Penn è un grandissimo Cheyenne e Cheyenne è un grandissimo Sean Penn.
Molti film liquidano i personaggi secondari ascrivendoli a semplici stereotipi ( c'è il carcerato, il poliziotto, il tipo di colore), Sorrentino non cade in questa trappola, addirittura le comparse sono curate e hanno un loro spessore, nessuno è lasciato al caso.
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Capolavoro di Sorrentino, da vedere e rivedere, senza dubbio. Grande sceneggiatura e colonna sonora, regia da sogno, recitazione semplicemente superba. Una delle cose che si apprezzano maggiormente è sicuramente questa figura di eroe maletto che diventa un pò la metafora di una generazione o di una civiltà ormai in netta decadenza, alle prese con il proprio passato. Sean Penn è un grandissimo Cheyenne e Cheyenne è un grandissimo Sean Penn.
Molti film liquidano i personaggi secondari ascrivendoli a semplici stereotipi ( c'è il carcerato, il poliziotto, il tipo di colore), Sorrentino non cade in questa trappola, addirittura le comparse sono curate e hanno un loro spessore, nessuno è lasciato al caso. Sembra quasi che si sia creato un mondo parallelo nella pellicola in cui ognuno ha la sua storia ed è capitato lì quasi per caso. Beh quando un film riesce a fare questo, signori, ci troviamo di fronte ad un autentico capolavoro. Notevole anche l'idea di "cortocircuitare" divesi elementi cari al mondo occidentale, vengono amalgamati temi come l'olocausto, il viaggio "on the road", il sogno americano (infranto), la musica rock e tanti altri ancora. Geniale la trovata delle poesie recitate dalla voce fuoricampo così come geniale è la figura del carnefice nazista. Un antagnonista superbo, una preda conquistata dal suo cacciatore in una sorta di sindrome di Stoccolma verificatasi da entrambe le parti. Il monologo finale è a mio parere uno dei più belli e toccanti del cinema internazionale, ma non è solo questo. Raggiunge una cima più alta perchè si colloca come un punto della civiltà occidentate. In quel momento c'è tutto, c'è la seconda metà del novecento, c'è il cinema, c'è la musica, c'è addirittura l'olocausto. Non mi sbilancio affatto se dico che Sorrentino e Sean Penn hanno fatto nel cinema quello che T.S. Eliot ha fatto con la poesia.
Fantastica la trovata di inserire elementi unificatori lungo il corso del film, evitano che la trama venga lacerata dalle singole spinte centrifughe. Molto curati i particolari (la figura circolare, la ruota, il trolley) che tuttavia non distraggono l'attenzione dello spettatore. Un film da vedere, rivedere, e vedere ancora.
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mauryt
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mercoledì 19 settembre 2012
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una storia intrisa di poesia e filosofia
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Il bravissimo Sean Penn interpreta Cheyenne in una storia di una popstar atipica e poi chissà se veramente atipica, chi può veramente sapere come è una popstar “sotto il cerone il rossetto” o i piercing o i tatuaggi? Paolo Sorrentino insieme a Umberto Contarello co-sceneggiatore, ha costruito una dolcissima e particolare storia umana intrisa di poesia per gli occhi e di filosofia per la mente. Una popstar che si riavvicina al padre alla sua dolorosa memoria inseguendo il di lui passato per riscattarne la dignità e ritornare finalmente in pace con lui e con se stesso.
Avevo sentito opinioni contrastanti su questo film del tipo “o lo si odia o lo si ama”. Francamente non so come non si riesca a restare affascinati anche, e soltanto, da alcune scene apparentemente semplici: l’incontro di Cheyenne con il vero David Byrne suo ex amico e collega, l’incontro con il piccolo figlio di una ragazza madre il quale gli domanda di accompagnarlo con la chitarra mentre il piccolo canta “This must be the place”.
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Il bravissimo Sean Penn interpreta Cheyenne in una storia di una popstar atipica e poi chissà se veramente atipica, chi può veramente sapere come è una popstar “sotto il cerone il rossetto” o i piercing o i tatuaggi? Paolo Sorrentino insieme a Umberto Contarello co-sceneggiatore, ha costruito una dolcissima e particolare storia umana intrisa di poesia per gli occhi e di filosofia per la mente. Una popstar che si riavvicina al padre alla sua dolorosa memoria inseguendo il di lui passato per riscattarne la dignità e ritornare finalmente in pace con lui e con se stesso.
Avevo sentito opinioni contrastanti su questo film del tipo “o lo si odia o lo si ama”. Francamente non so come non si riesca a restare affascinati anche, e soltanto, da alcune scene apparentemente semplici: l’incontro di Cheyenne con il vero David Byrne suo ex amico e collega, l’incontro con il piccolo figlio di una ragazza madre il quale gli domanda di accompagnarlo con la chitarra mentre il piccolo canta “This must be the place”. C’è poi l’amorevole e ironico rapporto con la moglie una simpaticissima Frances McDormand.
Un suggerimento per i non anglofoni: vedere una prima volta il film in italiano, poi una seconda in inglese con i sottotitoli e infine senza sottotitoli. Successivamente (nei vari passaggi televisivi) lo si può guardare anche senza audio e bearsi di una superba regia che spazia dai volti intensi dei protagonisti ai vasti paesaggi americani.
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