vecchiaragazza
|
martedì 25 ottobre 2011
|
paghi uno e prendi tre!
|
|
|
|
Sorrentino fa muovere il suo straniato protagonista- tra Edward mani di forbice e problematica rock star in declino- tra desolati paesaggi del vecchio continente e megalopoli del nuovo. Sempre più depresso, afasico e irregolare, Cheyenne non cerca più niente ma sarà una" missione" a trovare lui, la più improbabile che possa capitare a un tipo come lui: la caccia al nazista, inutilmente inseguito per tutta la vita da suo padre.
Accanto alla storia madre- l'arrendersi al tempo che passa, il rapporto vittima/carnefice e figli/genitori- si intrecciano temi bastevoli per altri due film almeno. E personaggi che da secondari potrebbero assurgere a protagonisti.
Il rapporto trentennale di Cheyenne e la sua pragmatica consorte- che anomalia per una rock star- la giovane amica con fratello scomparso.
[+]
Sorrentino fa muovere il suo straniato protagonista- tra Edward mani di forbice e problematica rock star in declino- tra desolati paesaggi del vecchio continente e megalopoli del nuovo. Sempre più depresso, afasico e irregolare, Cheyenne non cerca più niente ma sarà una" missione" a trovare lui, la più improbabile che possa capitare a un tipo come lui: la caccia al nazista, inutilmente inseguito per tutta la vita da suo padre.
Accanto alla storia madre- l'arrendersi al tempo che passa, il rapporto vittima/carnefice e figli/genitori- si intrecciano temi bastevoli per altri due film almeno. E personaggi che da secondari potrebbero assurgere a protagonisti.
Il rapporto trentennale di Cheyenne e la sua pragmatica consorte- che anomalia per una rock star- la giovane amica con fratello scomparso. Il ritiro dalla scene anche in seguito alla morte per emulazione di due giovani fan e il rimorso che da allora segna la rock star. E, infine, crescere, l'incapacità dei niostri giorni di diventare adulto.
Cheyenne lo diventerà dopo aver scovato e imposto la sua legge del taglione al decrepito nazista. L'ultima scena ci mostra una simpatica faccia da cinquantenne libera da rossetto e cerone e finalmente autorizzata a diventar grande.
Vecchia ragazza
[-]
|
|
[+] lascia un commento a vecchiaragazza »
[ - ] lascia un commento a vecchiaragazza »
|
|
d'accordo? |
|
paolo assandri
|
mercoledì 26 ottobre 2011
|
this must be a sorrentino's film
|
|
|
|
È l’ultima, la più ricca e la più lontana l’opera più intima di Paolo Sorrentino.
Dopo l’esplorazione della mondanità provinciale (L’uomo in più), dell’innocente crudeltà (L’amico di famiglia), della solitudine (Le conseguenze dell’amore) e del potere (Il Divo) Sorrentino va alla ricerca della purezza fuori tempo massimo. L’autore napoletano conferma così di non amare i personaggi profondamente caratterizzati, ma i personaggi in bilico, traballanti, pieni di ambiguità, stupendamente goffi, dolci e divertenti.
Quando i suoi film non indagano mondi già vasti e antinomici in se stessi, come il potere de Il Divo o la solitudine de Le Conseguenze dell’Amore, Sorrentino l’ambiguità la cuce sui dettagli minimi dei personaggi.
[+]
È l’ultima, la più ricca e la più lontana l’opera più intima di Paolo Sorrentino.
Dopo l’esplorazione della mondanità provinciale (L’uomo in più), dell’innocente crudeltà (L’amico di famiglia), della solitudine (Le conseguenze dell’amore) e del potere (Il Divo) Sorrentino va alla ricerca della purezza fuori tempo massimo. L’autore napoletano conferma così di non amare i personaggi profondamente caratterizzati, ma i personaggi in bilico, traballanti, pieni di ambiguità, stupendamente goffi, dolci e divertenti.
Quando i suoi film non indagano mondi già vasti e antinomici in se stessi, come il potere de Il Divo o la solitudine de Le Conseguenze dell’Amore, Sorrentino l’ambiguità la cuce sui dettagli minimi dei personaggi.
Tony Pisapia è una vera star, perso tra cocaina e donne, notti brave e gin tonic, ma è in realtà anche un fallito, stanco, vecchio cantante che nemmeno le piazze di paese rispettano più.
Geremia de’ Geremei, già nel nome un buffone, è un pericoloso usuraio, senza scrupoli, ma è anche un nevrotico, malinconico, avido e sporco mammone settantenne. In bilico tra il grottesco e il gangster.
Titta di Girolamo e Giulio Andreotti sono i due protagonisti meno ridicoli, ma le ambiguità non mancano nemmeno a loro, basti pensare che Titta di Girolamo è un tossicodipendente una tantum (incongruenza in sé: com’è possibile farsi d’eroina una volta sola a settimana, alla stessa ora, per vent’anni?) o che l’Andreotti Divo è il promotore di una politica di squali divoratori di cibo e di sesso, essendo però uomo pio, di modi fermi, ma inverosimilmente pacati, ossessionato più dall’emicrania che dalla ricchezza, abitudinario e dolcissimo con la moglie.
Non riusciamo a voler male a nessuno di questi personaggi, così come non riusciamo ad amarli. Troppo sciocchi per essere eroi, troppo crudeli per essere vittime, troppo deboli per catalizzare odi d’ogni sorta: ogni volta che emerge lo spettro dell’uccisione di Aldo Moro, Andreotti si scalda e s’infuria, come a voler rimarcare la propria estraneità (o comunque il proprio pentimento) di fronte all’unico fatto che tutti hanno chiaro in testa come realmente tragico nel film.
E infine Cheyenne, l’ultimo eroe sorrentiniano. Non è esente dalla logica delle antinomie degli altri personaggi; è infatti un bambino nel corpo di una rockstar in pensione. Dai modi così impacciati, fragili e impauriti che sembra impossibile che un tempo potesse imbracciare una chitarra elettrica e fare impazzire orde di ragazzini isterici.
This must be the place è un romanzo di formazione in veste di road movie. Ovviamente, essendo Sorrentino l’autore, i canoni sono spaccati in mille pezzi: ad esempio il ragazzo è già un uomo da un pezzo, e la formazione non si giova delle scoperte del tempo presente, ma del tempo passato.
Solo con la morte del padre, in ritardo estremo, Cheyenne può finalmente fumare quella sigaretta-archetipo di emancipazione che sancisce la sua avvenuta crescita, che però si manifesta con cambiamenti prettamente estetici: la divisa da rocker si trasforma in una sobria tenuta casual da borghese irlandese, la pelle non viene più imbrattata di fondotinta e le labbra di rossetto, ma il cuore resta bambino.
Il fatto che l'"uccisione del padre" e l'importanza della serenità nel rapporto padre-figlio siano concetti risaputi e ritenuti necessari, da Freud a Jim Morrison, che cantava "Father?"-"Yes, son?"-"I want to kill you...”, nella maggioranza dei casi non è sufficiente affinchè alla teoria seguano i fatti: e il figliolo Cheyenne non fa eccezione.
Il film ha un ritmo cadenzato e morbido, che necessita di una ventina di minuti per essere assorbito, dopodiche si assiste ad un crescendo inesorabile.
Sono sempre azioni minime, sovente esilaranti, a dare senso al film e a chiarire il carattere di Cheyenne e la stessa pretestuosa ed esilissima trama, ma non è minimo il risultato.
La ricerca del nazista aguzzino del padre, l’incontro con una serie di personaggi magnificamente superflui, come l’inventore del trolley o l’amante delle armi che spiega la differenza tra l’uccidere e l’uccidere impunemente, le gag accompagnate da battute lapidarie di gusto aforistico (“la distrazione è un problema molto comune nei giovani d'oggi”), la ricerca della propria indole e l’analisi del proprio passato, tutto assume medesima importanza, tutto si schianta nella straordinaria lucentezza del particolare. E così l’oca Emily diventa assolutamente necessaria all’economia del film, proprio perché nell’arte tutto è totalmente superfluo. Diceva Wilde nella prefazione al suo unico romanzo Il Ritratto di Dorian Gray “Possiamo perdonare a un uomo l'aver fatto una cosa utile se non l'ammira. L'unica scusa per aver fatto una cosa inutile è di ammirarla intensamente. Tutta l'arte è completamente inutile.”.
È interessante a questo proposito tornare ad un’analisi più generale della filmografia di Sorrentino ed evidenziare con un esempio quanto detto sull’amore per i dettagli dello scrittore e regista napoletano: la camminata mai banale dei protagonisti.
Cheyenne arcuato in avanti, incerto, leggerissimo, terribilmente lento, Andreotti svelto e felino, passetti piccoli e decisi, la schiena dritta come un bastone, Geremia (penso in particolare al furto al supermercato) furtivo e sgusciante, sembra quasi corricchiare, con il braccio ingessato a fargli al tempo stesso da peso e da galleggiante.
Non si può non parlare, in conclusione, delle prestazioni memorabili che hanno sempre gli attori di Paolo Sorrentino. In particolare e sopra tutti Toni Servillo e Sean Penn hanno ottenuto risultati memorabili. Ci si chiede se sia la vicinanza con un regista così creativo e geniale a far rendere gli attori a questi livelli, o se sia la grandezza incredibile degli attori ad aver contribuito a formare quello che è oggi (e senza dubbio sarà domani) il più importante regista italiano. Padre di uno stile nuovo e personalissimo, poetico e divertente, assolutamente inconfondibile (basta vedere dieci minuti di un suo film e non si possono aver dubbi sul fatto che sia un suo film).
[-]
[+] mi complimento!!!!!!!!!!!
(di weach)
[ - ] mi complimento!!!!!!!!!!!
|
|
[+] lascia un commento a paolo assandri »
[ - ] lascia un commento a paolo assandri »
|
|
d'accordo? |
|
alex99
|
domenica 30 ottobre 2011
|
capolavoro
|
|
|
|
Sorrentino qui cambia la guardia e schiaccia l'occhiolino ai temi cari d'oltreoceano ma la resa resta di livello. Il regista campano sa dove immergere le mani quando deve impastare la sua arte e quello che sforna è un prodotto che inequivocabilmente la dice fin troppo lunga sul fatto che qui stiamo parlando di un artista nel pieno possesso di una tecnica non comune. Un film che racconta praticamente tutto. L'incomunicabilità inter generazionale, il terrore del tempo che inesorabilmente porta verso lo sfacelo, il dolore dell'artista che non riesce a rinunciare alla sua sensibilità, alla prese con la rugosa realtà da stringere di rimbaldiana memoria.
[+]
Sorrentino qui cambia la guardia e schiaccia l'occhiolino ai temi cari d'oltreoceano ma la resa resta di livello. Il regista campano sa dove immergere le mani quando deve impastare la sua arte e quello che sforna è un prodotto che inequivocabilmente la dice fin troppo lunga sul fatto che qui stiamo parlando di un artista nel pieno possesso di una tecnica non comune. Un film che racconta praticamente tutto. L'incomunicabilità inter generazionale, il terrore del tempo che inesorabilmente porta verso lo sfacelo, il dolore dell'artista che non riesce a rinunciare alla sua sensibilità, alla prese con la rugosa realtà da stringere di rimbaldiana memoria. L'ironia c'è ma è amara ed è tutta nella goffaggine del rocker alle prese con la quotidianità del contingente e con un passato pieno di rimorsi. Impeccabile la fotografia, da galleria parigina. Imperdibile. Alex.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a alex99 »
[ - ] lascia un commento a alex99 »
|
|
d'accordo? |
|
achab50
|
lunedì 12 gennaio 2015
|
on the road al ritmo di passacaglia
|
|
|
|
E' un film molto coerente nel suo messaggio, vorrei dire roccioso: tutto è lento ed inesorabile, l'eloquio del protagonista, le inquadrature, le situazioni, a volte anche la colonna sonora. Tutto conduce ad un percorso interiore del protagonista Cheyenne, uno strepitoso Sean Penn che riesce nell'impossibile impresa di camminare sempre sull'orlo del grottesco senza mai caderci.
Questa specie di maschera ambulante si rivela man mano nello svolgimento della storia come persona di acuta intelligenza, di straziata ricerca di un punto fermo da cui ripartire. Ed a questo giovano certo gli strepitosi incontri, in pura salsa on the road e perciò piacevolissima. Tutti personaggi lunari, imprevedibili, incredibili, tipici di una periferia Usa senza speranza.
[+]
E' un film molto coerente nel suo messaggio, vorrei dire roccioso: tutto è lento ed inesorabile, l'eloquio del protagonista, le inquadrature, le situazioni, a volte anche la colonna sonora. Tutto conduce ad un percorso interiore del protagonista Cheyenne, uno strepitoso Sean Penn che riesce nell'impossibile impresa di camminare sempre sull'orlo del grottesco senza mai caderci.
Questa specie di maschera ambulante si rivela man mano nello svolgimento della storia come persona di acuta intelligenza, di straziata ricerca di un punto fermo da cui ripartire. Ed a questo giovano certo gli strepitosi incontri, in pura salsa on the road e perciò piacevolissima. Tutti personaggi lunari, imprevedibili, incredibili, tipici di una periferia Usa senza speranza.
La splendida fotografia molto satura su alcuni toni giova molto a questo film che va gustato con calma e quando si è calmi.
Risottolineo il ruolo di Sean Penn, da Oscar, ed infatti non l'ha vinto.
Di grande qualità anche il doppiaggio.
Regia molto attenta ed impeccabile
Film quasi capolavoro, o forse capolavoro semplicemente.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a achab50 »
[ - ] lascia un commento a achab50 »
|
|
d'accordo? |
|
gianleo67
|
lunedì 7 gennaio 2013
|
un luogo remoto chiamato casa
|
|
|
|
Cheyenne,rockstar di mezza età che si è ritirita a vita privata in un ameno paesino irlandese insieme alla moglie vigile del fuoco, passa le sue giornate trascinando un carrellino della spesa in un centro commerciale o giocando in borsa, in uno stato semi catatonico che fa tuttavia intravedere, dietro un'apparente e autarchica indolenza e al bizzarro aspetto da punk invecchiato, una personalità dall'intelligenza acuta e sferzante. Lo richiama alla vita ed al suo doloroso passato, la morte del genitore, un ebreo americano di origine polacche con cui era in rotta da tempo e che ha passato la vita a dare la caccia al 'capò' del campo di concentramento che lo vessò durante la sua prigionia.
[+]
Cheyenne,rockstar di mezza età che si è ritirita a vita privata in un ameno paesino irlandese insieme alla moglie vigile del fuoco, passa le sue giornate trascinando un carrellino della spesa in un centro commerciale o giocando in borsa, in uno stato semi catatonico che fa tuttavia intravedere, dietro un'apparente e autarchica indolenza e al bizzarro aspetto da punk invecchiato, una personalità dall'intelligenza acuta e sferzante. Lo richiama alla vita ed al suo doloroso passato, la morte del genitore, un ebreo americano di origine polacche con cui era in rotta da tempo e che ha passato la vita a dare la caccia al 'capò' del campo di concentramento che lo vessò durante la sua prigionia. In trasferta newyorkese, dopo le esequie del padre, accetterà l'incarico dei suoi familiari di ritrovare l'ormai novantenne nazista, partendo per un 'tour' attraverso gli States e per un viaggio dentro se stesso, alla ricerca della propria identità di figlio e di un irrosolto rapporto familiare. Vedere Sean Penn acconciato a quel modo (il 'falso cognome' del suo personaggio è Smith come il front end dei Cure di cui ricorda l'immagine dark) e seguendo le sue idiosincrasie da artista 'bruciato' verrebbe da pensare ad una scaltra operazione di un Sorrentino in trasferta anglosassone che cerca di rinnovare il suo linguaggio (tra il grottesco a l'analisi sociologica) per un debutto che colpisca la vista e lo stomaco dello spettatore, spiazzandone le apparenti e prevedibili aspettative e scimmiottando l'estetica,ironica e dissacrante, delle produzioni indipendenti alloctone. In realtà è proprio il linguaggio registico la cifra particolare e qualificante di una visione che sapientemente dilata i tempi del racconto (una lentezza a tratti esasperante) e muove l'occhio filmico lungo traiettorie centrifuge di piani sequenza che sembrano ricercare un 'altrove' indefinito cui aspira l'inquieta e apatica immobilità del protagonista, prigioniero di un passato irrisolto (i suoi rimorsi di artista futile e 'maledetto' e di un rapporto filiale tormentato) e di un presente irresoluto di pensionato dello show biz. Il tema dell'abbandono che sembra rimanere latente nella prima parte del film, viene quindi sviluppato attraverso l'evoluzione di un personaggio che muove dalla sordina delle sue relazioni 'a responsabilità limitata' (una moglie ed un'amica che gli danno sicurezza e conforto) verso un viaggio incerto e spericolato alla ricerca di un passato sconosciuto e tormentato (una giovinezza vissuta nel rifiuto familiare e nelle peregrinazioni di una tragica ossessione paterna), puntando molto sulle straordinarie doti camaleontiche di uno Sean Penn che si dimostra artista a tutto campo, istrione fino al ridicolo di una maschera grottesca ma anche dotato di una infinita sensibilità umana e professionale, sublime giullare della contemporaneità. Forse qualche eccesso didascalico e qualche forzatura narrativa nella seconda parte (on the road) fanno arricciare il naso per i margini di inverosimiglianza che la scrittura si concede (il broker che affida il suo pick up al bizzarro sconosciuto incontrato nel sushi bar, la figura un pò bolsa del 'cacciatore di nazisti' sanguigno e attempato, l'eremo tra le nevi dello Utah scelto da un novantenne non autosufficiente) ma nel complesso rimane una indiscutibile coerenza tematica e momenti di intenso lirismo tra le parole della deliziosa ballad dei Talking Heads performed by David Byrne che dà il titolo al film o quelle dei ricordi d'infanzia paterni che la preda nazista ripete nel finale come un mantra catartico. La scena finale del'figliol prodigo' che sembra ritornare sorridente dopo un lungo viaggio è qualcosa che scalda il cuore. Illuminante.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a gianleo67 »
[ - ] lascia un commento a gianleo67 »
|
|
d'accordo? |
|
peer gynt
|
mercoledì 7 ottobre 2015
|
falso d'autore
|
|
|
|
Paolo Sorrentino è sicuramente un regista abile e molto capace. Sa creare cinema, scene accattivanti, accostamenti suono-immagini che funzionano. Ma qualcosa non va. Ci si sente uno strano ruffianesimo di fondo, che scorre per tutto il film. Sorrentino è bravo, infatti ha preso un ottimo attore (Penn), un ottimo musicista (Byrne), un ottimo direttore della fotografia (Bigazzi). Ma il film sa di falso dalla prima scena all'ultima. Lo stile è di quelli che non si devono dimenticare: Sorrentino indulge continuamente sui lenti carrelli che fanno pensare, sugli ampi dolly che sottolineano il valore simbolico della scena che abbiamo appena visto. Ma i personaggi dove sono? Cheyenne, lungi dall'essere un personaggio, è una maschera a metà strada fra il grottesco e la caricatura.
[+]
Paolo Sorrentino è sicuramente un regista abile e molto capace. Sa creare cinema, scene accattivanti, accostamenti suono-immagini che funzionano. Ma qualcosa non va. Ci si sente uno strano ruffianesimo di fondo, che scorre per tutto il film. Sorrentino è bravo, infatti ha preso un ottimo attore (Penn), un ottimo musicista (Byrne), un ottimo direttore della fotografia (Bigazzi). Ma il film sa di falso dalla prima scena all'ultima. Lo stile è di quelli che non si devono dimenticare: Sorrentino indulge continuamente sui lenti carrelli che fanno pensare, sugli ampi dolly che sottolineano il valore simbolico della scena che abbiamo appena visto. Ma i personaggi dove sono? Cheyenne, lungi dall'essere un personaggio, è una maschera a metà strada fra il grottesco e la caricatura. Tutti gli altri personaggi (Mary, Jeffery, Jane la moglie di Cheyenne, l'uomo d'affari Ernie Ray, Steven il leader della band dal nome escrementizio, Desmond l'imbranato spasimante di Mary) tali non sono, sono solo macchiette, comparse da sfondo, che ben servono a porgere le battute della sceneggiatura di Sorrentino, uno script aforismatico, pieno di frasi ad effetto, forzatamente poetiche, ostentatamente liriche, fascinosamente ossimoriche. La comparsa di animali singolari in contesti stranianti (si pensi ad Emily, l'oca della professoressa, o al bufalo di qualche scena dopo) e lo sfilare continuo di comparse anch'esse stranianti (l'uomo tatuato del bar, l'uomo vestito da Batman, la bella donna con la gamba ingessata, l'indiano in giacca e cravatta che chiede un passaggio) sono espressione di quel fellinismo di maniera di cui Sorrentino soffre e che avrà la sua apoteosi nel successivo "La grande bellezza".
Insomma, se fai un road-movie filosofico-introspettivo con un grande attore e una dialettica spazio-tempo sulla quale qualche laureando in cinema possa imbastire un'analisi semiologica, allora sei un grande regista di film d'arte. No, non ci facciamo incantare da un film costruito a tavolino per piacere ma vuoto di contenuti e pieno di simboli e simbolismi. E soprattutto non perdoniamo a Sorrentino di aver malamente usato, sfruttandola per i suoi scopi, una delle più fascinose e sospese musiche mai scritte, "Spiegel im spiegel" di Arvo Part, che a Sorrentino serve solo per muovere e commuovere lo spettatore. A noi invece, per sentire la voce di Dio.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a peer gynt »
[ - ] lascia un commento a peer gynt »
|
|
d'accordo? |
|
weach
|
martedì 25 ottobre 2011
|
dovesi ramificano idee e propositi
|
|
|
|
this must be the Place
di Paolo Sorrentino-anno di produzione 2011
una metamorfosi che dovrebbe procedere;
restano tanti "lumicini";
un bagliore di luce cristallina ;
quando il sogno diviene vivida realtà;
Dopo la proiezione sono rimasto rapito da una vibrazione intensa che mi è rimasta dentro; in quell' attimo, cercando di non perdere quel movimento energetico,sono cominciate le domande ed il film è entrati in "analisi ".
La storia di Cheyenne non ha analogie con "Il Divo", diverso l'argomento , differente il contesto e gli input; se proprio vogliamo collegarli possiamo solo dire che è un film di Paolo Sorrentino :basta.
[+]
this must be the Place
di Paolo Sorrentino-anno di produzione 2011
una metamorfosi che dovrebbe procedere;
restano tanti "lumicini";
un bagliore di luce cristallina ;
quando il sogno diviene vivida realtà;
Dopo la proiezione sono rimasto rapito da una vibrazione intensa che mi è rimasta dentro; in quell' attimo, cercando di non perdere quel movimento energetico,sono cominciate le domande ed il film è entrati in "analisi ".
La storia di Cheyenne non ha analogie con "Il Divo", diverso l'argomento , differente il contesto e gli input; se proprio vogliamo collegarli possiamo solo dire che è un film di Paolo Sorrentino :basta.
Poi mi correggo ed intravedo un legame: l'uso intelligente dei primi piani che parlano spesso più della parola come del resto i silenzi e gli occhi che osservano.
Il senso del film ?Non tutto deve avere un senso; si può anche essere semplicemente osservatori di accadimenti che ci scorrono addosso.
Non tutto deve avere indirizzo, proposito,messaggio, magari può essere semplice esercizio di stasi volta ad assimilare una profondità che si è persa.
La dilatazione dello spazio e del tempo nell'opera di Sorrentino confluisce in un luogo indeterminato dove tutto può evolvere verso una crescita.
Apprezzabile la sinergia che si riesce a costruire fra suoni ed immagini.
Imbattibile Sean Penn che gioca mirabilmente nel ruolo di Cheyenne!!!!!!!!!.
Ma quando il sogno diviene vivida realtà?Solo nell'attimo in cui il contenitore fatuo svanisce ed i cimeli del passato, coccolati da Cheyenne con dedizione ipnotizzante , come per incanto, perdono forma e sostanza; in quell'attimo ,il tempo di un battito d'ali di una farfalla,il clown vede riaffiorare la sua completezza sopita mentre si strucca;l'apparenza evapora e la sostanza riaffiora come un bagliore di luce cristallina.
Restano tanti "lumicini", apparentemente generici o trattati con troppo pudore; ma non è così, si scivola sul molto per apprezzarne i primi sapori, per poi gettarsi dentro una cascata turbinosa ,la vita!!!
In apparenza"frigido" questo this must be the Place , è invece severissimo nella denuncia contro la società occidentale che palesa il suo degrado , putridume, avidità maniacale: lascio a voi i moltissimi richiami lanciati un poco ovunque nella pellicola.
Il clown senza trucco è ora un uomo ? Forse,ma potrebbe nuovamente smarrire la via e cadere ancora nell'incantesimo:la regia sembra concedere una lettura di evoluzione: la metamorfosi dovrebbe procedere. Alla fine parliamone bene , molto bene di questa ultima opera di Paolo Sorrentino,una fucina di esperimenti,un intelligente brodo primordiale dove si ramificano idee e propositi.
Vale sicuramente quattro stelle d'oro , tutto da vedere !!!!!
Buona visione
weach illuminati
[-]
|
|
[+] lascia un commento a weach »
[ - ] lascia un commento a weach »
|
|
d'accordo? |
|
rosario velardi
|
giovedì 1 marzo 2012
|
road movie un pò statico
|
|
|
|
Ex rockstar che pensa di comportarsi ancora come tale, molte le somiglianze con vere rockstar, primo fra tutti Ozzy Osbourne, nel look richiama sicuramente Robert Smith, ma se il primo è oramai un patetico fenomeno da carrozzone, il secondo è ancora in piena attività.Sean Penn da prova di grande maestria con questo genere di trame, nessuno meglio di lui avrebbe potuto farlo, e con il suo Into the wild aveva dato ampia dimostrazione di cosa vuol dire vivere la vita in maniera poco conforme alle regole canoniche di una società opprimente e spersonalizzante.L'incedere del film è molto lento e ogni tanto affiora un pò di noia nello spettatore, Sorrentino si è voluto avventurare in questa prova,ma nonostante la presenza di Penn il risultato non è a mio parere soddisfacente, forse perchè pensavo a qualcosa di più "rock".
[+]
Ex rockstar che pensa di comportarsi ancora come tale, molte le somiglianze con vere rockstar, primo fra tutti Ozzy Osbourne, nel look richiama sicuramente Robert Smith, ma se il primo è oramai un patetico fenomeno da carrozzone, il secondo è ancora in piena attività.Sean Penn da prova di grande maestria con questo genere di trame, nessuno meglio di lui avrebbe potuto farlo, e con il suo Into the wild aveva dato ampia dimostrazione di cosa vuol dire vivere la vita in maniera poco conforme alle regole canoniche di una società opprimente e spersonalizzante.L'incedere del film è molto lento e ogni tanto affiora un pò di noia nello spettatore, Sorrentino si è voluto avventurare in questa prova,ma nonostante la presenza di Penn il risultato non è a mio parere soddisfacente, forse perchè pensavo a qualcosa di più "rock".
Comunque credo che il film abbia saputo esprimere molto bene il significato della trama, ovvero prima o poi siamo chiamati alle nostre responsabilità, quella di figlio nel suo caso, e allora bisogna crescere in fretta e farsi carico delle responsabilità che ti competono.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a rosario velardi »
[ - ] lascia un commento a rosario velardi »
|
|
d'accordo? |
|
teo '93
|
domenica 23 settembre 2012
|
un viaggio eccentrico e formativo
|
|
|
|
Il lavoro di Paolo Sorrentino, un’incantevole combinazione di inventiva e qualità visiva, colpisce per la sua spericolata portata di poesia ed eccentricità, dolcezza e disincanto, armonia e anarchica grazia. Sean Penn giganteggia nel ruolo del protagonista Cheyenne, rockstar di musica goth ritiratasi dalle scene dopo una tragica e inaspettata esperienza, e ne descrive con introspezione la natura triste e malinconica, costruendogli un portamento distante, uno sguardo perduto e trasognato, l’animo di un bambino intrappolato sotto il grigio cielo dublinese e tra le pareti di una casa di ovattata compostezza. Il trucco pesante, la grottesca capigliatura, gli occhi vaghi e spenti ne fanno una figura tenera e triste, un personaggio in cui convivono l’entusiasmo dell’infante e la disillusa saggezza degli adulti.
[+]
Il lavoro di Paolo Sorrentino, un’incantevole combinazione di inventiva e qualità visiva, colpisce per la sua spericolata portata di poesia ed eccentricità, dolcezza e disincanto, armonia e anarchica grazia. Sean Penn giganteggia nel ruolo del protagonista Cheyenne, rockstar di musica goth ritiratasi dalle scene dopo una tragica e inaspettata esperienza, e ne descrive con introspezione la natura triste e malinconica, costruendogli un portamento distante, uno sguardo perduto e trasognato, l’animo di un bambino intrappolato sotto il grigio cielo dublinese e tra le pareti di una casa di ovattata compostezza. Il trucco pesante, la grottesca capigliatura, gli occhi vaghi e spenti ne fanno una figura tenera e triste, un personaggio in cui convivono l’entusiasmo dell’infante e la disillusa saggezza degli adulti. Il viaggio di quest’uomo inizia dalla lettura del diario del padre appena scomparso, un uomo che in vita ha instancabilmente tentato di rintracciare il suo persecutore nazista ad Auschwitz. Il viaggio di Cheyenne diviene così ricerca, lento cammino tra le polverose sterpaglie e le sconfinate frontiere americane, luoghi di passaggio, non destinazioni, terre calde e aride che è necessario attraversare e respirare se si vuole scorgere la meta. Il percorso di Cheyenne è denso di incontri, avventure, imprevisti. Egli capirà presto che vivere significa credere nella possibilità di un riscatto, di una salvezza. E infine, in una dimenticata baracca nel deserto, la ricerca s’arresta e diventa fioca, decisiva consapevolezza: Cheyenne ritrova il padre nel racconto spiazzante del suo eterno nemico, il bambino impaurito di un tempo può finalmente sentire di avere un posto nel mondo, un saldo legame con un passato al quale ritorna ad appartenere e dal quale ritorna da uomo vivo, consapevole. E allora cade il suo trucco, la maschera cede. Il ritorno a casa di Cheyenne è il suo risveglio, la compiuta elaborazione di una mancanza, l’ascesa di uno spettro alla flebile luce dei vivi. Intenso e spiazzante, il film conferma il rigore e la sensibilità di un regista che non ha mai rinunciato a raccontare i profili enigmatici dell’animo umano, i confronti generazionali, le difficoltà comunicative. Un autore dallo sguardo maturo ed emozionale che ha sempre prediletto la suggestione al racconto, la fascinazione visiva alla lucidità rappresentativa, l’elegante graffio dell’autore all’invadenza di uno sguardo onnisciente. Il film vive attraverso sequenze di evocativa grazia, rivela lentamente il suo nucleo emotivo, spiazza con arguzia e intelligenza, satura le sequenze di una luce ora gelida, ora abbagliante, ora calda. Sorrentino muove la cinepresa con la padronanza di un coreografo di anime in pena, con la sensibilità di un cantastorie di vite erranti, alla perenne ricerca di sé tra i cocenti deserti dei rimpianti e dei sensi di colpa. Il regista partenopeo rinuncia a ogni usualità, di scrittura e di regia. Non perde mai il punto di vista di chi racconta pur non rinunciando a stravolgere spesso ogni logica con interventi stravaganti, passaggi di stramba delizia, battute impeccabili e di un umorismo nero e irriverente. Affida alla musica eclettica e suggestiva di David Byrne il compito di cadenzare il percorso del protagonista lungo il suo impervio cammino, grazie a un ritmo disteso, talvolta onirico, e a una sonorità aderente alla natura volubile e innocente di Cheyenne. Una lezione di gusto e vivacità.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a teo '93 »
[ - ] lascia un commento a teo '93 »
|
|
d'accordo? |
|
monicamontanari
|
mercoledì 20 maggio 2015
|
caleidoscopico
|
|
|
|
Breve cenno su ciò di cui stiamo parlando. Una maschera dalla notte del rock si aggira accolto, ricco, benvoluto e benevolente prima in Irlanda e poi in Usa. Sean Penn dark e clownesco un po’ “Chance il giardiniere” ci guida in un viaggio meraviglioso nell’America buona, tra cacciatori di nazisti e morti viventi. Non dico di più guasterei la festa.
Dico subito che questo film non avrei voluto vederlo, “La grande Bellezza” non mi è piaciuto e la prospettiva di un film di Sorrentino non mi faceva impazzire. È stato invece uno dei rari momenti di sommergente riconoscenza per l’inventore della televisione (in questo caso IRIS).
[+]
Breve cenno su ciò di cui stiamo parlando. Una maschera dalla notte del rock si aggira accolto, ricco, benvoluto e benevolente prima in Irlanda e poi in Usa. Sean Penn dark e clownesco un po’ “Chance il giardiniere” ci guida in un viaggio meraviglioso nell’America buona, tra cacciatori di nazisti e morti viventi. Non dico di più guasterei la festa.
Dico subito che questo film non avrei voluto vederlo, “La grande Bellezza” non mi è piaciuto e la prospettiva di un film di Sorrentino non mi faceva impazzire. È stato invece uno dei rari momenti di sommergente riconoscenza per l’inventore della televisione (in questo caso IRIS). Uno dei film migliori degli ultimi anni. Bello il plot, la sceneggiatura, la recitazione pazzesca di Sean Penn e il cinema cinema. Quello di Sorrentino alla Jim Jarmush: apparizioni caleidoscopiche convergenti (come anche ne “La grande Bellezza”) sulla comparsa dell’animale totemico, chiave simbolica di rivelazione narrativa (in “This must be the place”, bisonte americano; ne “La grande Bellezza”, fenicotteri). Meraviglioso.
[-]
[+] ok
(di ragnetto46)
[ - ] ok
|
|
[+] lascia un commento a monicamontanari »
[ - ] lascia un commento a monicamontanari »
|
|
d'accordo? |
|
|