In fondo, era prevedibile.
Un regista dallo spiccato talento, i cui film sono fondati sullo spessore dei personaggi cui da vita più che sulle trame, incrocia il suo cammino con il più talentuoso tra gli interpreti contemporanei, ed il gioco è fatto: il risultato è un vero gioiello.
Paolo Sorrentino ama, da sempre, mettere in scena delle storie che facciano solamente da contenitore e da sfondo, tutt’al più da contorno, ai personaggi che le animano, che sono i veri perni delle sue pellicole. Basti pensare all’arbitro de L’uomo in più o al grottesco usuraio de L’amico di famiglia passando per il metodico Titta de Le conseguenze dell’amore...per terminare con il Divo dei Divi, quel Giulio Andreotti rappresentato nella pellicola sinora più famosa, il cui titolo sintetizza meglio di qualunque commento l’essenza stessa dei film dell’autore napoletano, Il Divo, appunto, come a sintetizzare che della vicenda poco ce ne importa in confronto alle peculiarità intrinseche ed estrinseche dell’uomo che vi è calato.
Sean Penn è un attore dal talento straordinario,la cui ascesa è iniziata anni fa e non si è mai arrestata, forse in questo momento all’apice della forma più che mai e giunto alla definitiva consacrazione nell’Olimpo degli dei Hollywoodiani.
Il risultato del loro incontro, è questo This must be the place, un film geniale nella sua semplicità, irriverente, simpatico, camaleontico, buffo, profondo, indagatore, introspettivo, grottesco, a tratti surreale ma profondamente umano.
Al centro del palcoscenico vi è una ex Rock Star in crisi esistenziale, Cheyenne, che nel look ci ricorda molto da vicino il Robert Smith che fu leader dei The Cure. La scusa per metterlo in movimento è la ricerca di un ex criminale di guerra nazista, carceriere del padre... il risultato? Uno splendido ritratto dell’uomo - in senso lato - e delle sue psicosi, delle sue ansie, dei suoi rancori e delle sue ambizioni. Unito ad un ritratto altrettanto bello dell’America - intesa come zona geografica - dipinta con maestria tramite un viaggio che si snoda dal deserto del New Mexico alle montagne innevate dello Utah, ed evidenziato da una fotografia splendida.
Un viaggio, quello di Cheyenne, che serve a mostrare la ricerca del sé, della propria identità...un viaggio reale e metaforico al tempo stesso, surreale ma mai banale, splendidamente irriverente... intimamente profondo e grottescamente divertente al tempo stesso.
Il finale sta tutto in uno sguardo di uno Sean Penn da Oscar: recita quasi senza aver bisogno della parola, il cambiamento dell’uomo sta tutto nella differenza delle sue espressioni, ottimamente studiate in fase di sceneggiatura e superbamente messe in essere dall’attore Californiano.
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