This Must Be the Place |
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Un film di Paolo Sorrentino.
Con Sean Penn, Frances McDormand, Eve Hewson, Harry Dean Stanton, Joyce Van Patten.
continua»
Drammatico,
durata 118 min.
- Italia, Francia, Irlanda 2011.
- Medusa
uscita venerdì 14 ottobre 2011.
MYMONETRO
This Must Be the Place
valutazione media:
3,62
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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L'estro di Sorrentino sbarca oltreoceanodi Luca ScialòFeedback: 79730 | altri commenti e recensioni di Luca Scialò |
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mercoledì 26 ottobre 2011 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Cheyenne è l’ex frontman di un amatissimo gruppo dark rock degli anni ’80, i Fellows, ormai cinquantenne e ritiratosi a lussuosissima vita privata in quel di Dublino, dove vive con la moglie Jane. Come tante rockstar patisce la sindrome di Peter pan, peggiorata anche dalla scarsa maturità accentuata dal non aver avuto figli. Ha dunque l’umana paura di invecchiare, esorcizzata utilizzando ancora quel look che lo ha distinto quando si esibiva sul palco. Di tanto in tanto va a trovare la madre di una sua fan, l’infelice Mary, che vive ogni giorno guardando la finestra con il telefono tra le mani, in attesa del ritorno del figlio tredicenne scappato di casa da tre mesi. O quanto meno di una sua telefonata. Un giorno arriva una telefonata dalla lontana America. Suo padre, che non vede e col quale non parla da anni, sta morendo. Una notizia che stravolge la sua vita ormai priva di emozioni. Parte così verso il suo capezzale. Nota sul braccio del padre una sorta di codice e apprende che è stato tra gli ebrei deportati ad Auschwitz. Decide così di mettersi sulle tracce del suo aguzzino, non sapendo però se avrà il coraggio di farlo fuori una volta trovato. Incontrerà varie persone sul suo cammino e quel viaggio diventerà anche un modo per affrontare le sue paure interiori e per capire un po’ di più chi era quel genitore del quale era convinto non lo volesse bene. Prendete la regia di Sorrentino, con le sue inquadrature spiazzanti e sorprendenti, le sequenze che si alternano ora in violento contrasto tra loro, ora in sinuosa armonia, e i personaggi caricaturati; aggiungeteci una fetta d’America, l’armonia urbanistica Dublino, la drammaticità dell’Olocausto, e soprattutto, la consueta bravura che buca lo schermo di Sean Penn, e otterrete This must be the place. Il regista napoletano propone una storia che, pur se affronta un tema abbastanza abusato nel cinema - ovvero il viaggio verso il capezzale di un caro come metafora della vita - è fuori dagli schemi. Alcune sequenze sono una vera lezione di regia, come il crescendo dell’animazione del concerto di un amico di Cheyenne, a cui assiste rattristito (le inquadrature mobili che s’infilano nel pubblico e l’apparizione in penombra del protagonista sullo sfondo, col suo triste volto pallido alla Pierrot che si intravede con gradualità e che si isola dal resto, sono autentiche perle). O ancora, la successione di due scene in forte contrasto tra loro: quella della madre e del figlio che si abbracciano in piscina e quella dell’auto presa in prestito dalla rockstar che si incendia. Acqua e fuoco che si susseguono come gli stati d’animo contrastanti del protagonista. Il finale pure beffa il protagonista. Se è vero che inizialmente sembra essere quasi scontato, finisce per sorprende nelle sue ultime scene. I personaggi si riappacificano tutti con loro stessi. O almeno, hanno ritrovato la forza per andare avanti. E poi c’è lui, Sean Penn. Immenso come sempre. Interpreta con mimica corporea impeccabile lo stereotipo della rockstar in età avanzata: rimbambita e infantile nelle mura domestiche; dalle movenze buffe e imbranate che a molti rievocano quell’Ozzy Osbourne visto nella famosa serie Tv in onda su Mtv, che ha spiattellato la vita privata della sua famiglia: gli Osbourne. Chissà che Sorrentino non si sia proprio ispirato a lui per il suo personaggio. Il suo Cheyenne è un personaggio depresso, sofferto, ormai più simile a un malinconico Pierrot che a un gagliardo darkrocker.
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