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Il canovaccio è sempre lo stesso per il regista di "This must be the place": c' è un protagonista suggestivo, cinico è candido allo stesso tempo, apparentemente stabile, ma che ad un certo punto, per motivi a lui esterni, cambia, è costretto a cambiare, ad evolversi. Questo è stato per "L' uomo in più", poi per "Le conseguenze dell amore", per "L amico di famiglia" e per ultimo per "Il divo". Il tutto accompagnato da una cifra stilistica superiore, da inquadrature e sequenze geniali (girate da un puro talento visivo nei tempi e negli spazi), da grandi dialoghi mai banali, e da una colonna sonora ricercata, varia ed in sincrono coi vai momenti della vicenda.
Ecco, questo è Paolo Sorrentino, questo è quello che egli ci propone in tutti i suoi film, nessuno escluso. Ora la domanda è: quale potrebbe essere la differenza degna di nota che Sorrentino riesce a proporre con la sua ultima opera rispetto agli altri suoi film? Essere approdato nella patria della celluloide girando una pellicola in tutto e per americana, essere riuscito ad esaltare un attore americano protagonista già all' acme del successo e del proprio livello artistico, essere riusciuto a proporre l' ennesima storia importante, densa di significato, narrata col suo consueto e non stancante modo autoriale ( Sean Penn non ha esitato a definire Sorrentino il regista che più si avvicina al concetto di artista).
Personalmente ho amato maggiormente gli ultimi tre film del regista napoletano, più freschi e carichi di energia, ma "This must be the place" andava girato con queste caratteristiche.
A mio avviso, il nostro, insieme a Tornatore, Virzi' e qualcun' altro, rientra nel ristretto novero dei migliori registi italiani, ma per consolidarsi in questa élite dovrebbe ora misurarsi con soggetti un pò più nuovi e magari corali.
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