This Must Be the Place |
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Un film di Paolo Sorrentino.
Con Sean Penn, Frances McDormand, Eve Hewson, Harry Dean Stanton, Joyce Van Patten.
continua»
Drammatico,
durata 118 min.
- Italia, Francia, Irlanda 2011.
- Medusa
uscita venerdì 14 ottobre 2011.
MYMONETRO
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La maschera e il volto
di Omero SalaFeedback: 2202 | altri commenti e recensioni di Omero Sala |
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venerdì 9 dicembre 2011 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
La irritante lentezza del film non è casuale, così come non è incidentale l’esasperante inerzia dei movimenti da bradipo del protagonista, il suo eloquio pigro, il suo sguardo sempre patologicamente fisso, la sua indolenza caratteriale, la sua rilassata apatia. Cheyenne, rockstar in disarmo, vive stancamente la sua decadenza nella campagna irlandese. Senza troppe illusioni frena il declino nascondendosi dietro la maschera quasi grottesca che ha connotato, negli anni Settanta, la sua immagine pubblica ed ha accompagnato la sua carriera. L’incapacità di essere autentico e la paura di scoprirsi (riconoscersi/rivelarsi) lo portano a truccarsi ogni giorno (cerone, rossetto, mascara) e a presentarsi mascherato a colazione, al supermercato e perfino per giocare alla pelota nella piscina asciutta. Il processo di imbalsamazione non interessa solo l’immagine: anche la testa, il cuore, la memoria, le emozioni, gli affetti e le relazioni hanno subito un trattamento analogo. La vita si snoda in una quotidianità fatta di piccole consuetudini, di riti e gesti reiterati, di relazioni consolidate; e ovviamente di rimozioni più o meno consapevoli, di depressioni ed isterie contenute, di mediocrità accettate, di sconforto. La vacuità emerge improvvisamente quando Cheyenne viene richiamato a NewYork per la morte del suo vecchio padre, fino ad allora ignorato, trascurato, cancellato. Il cadavere gli pare quello di un estraneo. Rivede il tatuaggio dei sopravvissuti all’Olocausto. Si ritrova a scorrere gli appunti meticolosamente raccolti dal vecchio nella lunga e laboriosa ricerca del suo aguzzino; e resosi conto che la pignola indagine stava per raggiungere i risultati, decide di portare a termine l’investigazione e di cercare l’ufficiale nazista per vendicare le umiliazioni patite dal padre. E parte. Il suo viaggio diventa un viaggio metaforico attraverso la desolazione di una società in declino, un cammino di recupero della realtà (la sua e quella del mondo che lo circonda), un percorso verso l’autoconsapevolezza e la metamorfosi (anche se, in un passaggio, Sorrentino gli fa dire “Non sto cercando me stesso. Sono in New Mexico non in India”!). Paesaggi desolati, strade che tagliano il deserto, campagne piatte, chiese vuote, armerie allucinanti, case isolate che si ergono nel nulla, bar che sembrano il set dei lividi quadri di Hopper. Lungo il tragitto incontra un’umanità sofferente e smarrita: la vedova di guerra alla deriva col suo figliolo obeso e disadattato, il tatuatore triste e disorientato, il petulante inventore della valigia a rotelle, il nativo taciturno che torna alle sue montagne, … Ed alla fine del viaggio trova un decrepito e patetico nazista che coltiva ricordi sereni e sa offrire giustificazioni ragionevolmente accettabili ai propri crimini. Ma Cheyenne non si lascia abbindolare: conosce bene, per averli sperimentati su di sé, i meccanismi della inerzia autoassolutoria: non infierisce, ma nemmeno perdona. Costringe il vecchio a camminare nudo nella neve, mettendolo nella condizione di assaggiare la crudeltà di chi è più forte e di sperimentare l’umiliazione, la paura, il gelo. Poi denuda anche se stesso: si toglie la maschera dietro a cui si è nascosto per tutta la vita e comincia ad confrontarsi con la realtà che ha sempre eluso e ad affrontare, senza trolley, la sua vita irrisolta.
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