Paolo Sorrentino, dopo Il Divo che lo ha di fatto reso noto al pubblico internazionale, scrive e dirige il suo primo film internazionale, che si estende dall’Irlanda agli Stati Uniti. Lo fa con un film di ricerca, nel senso che la pellicola narra di un ex pop star (interpretato da Sean Penn ed ispirato nel look a Robert Smith dei Cure), intrappolato nel suo personaggio (ed ossessionato dal suicidio di due suoi fan) ed ormai ritiratosi dalle scene da 20 anni, che scopre l’ossessione del padre appena morto: l’umiliazione ricevuta da un gerarca nazista durante la sua prigionia nel lager nazista. Decide così di chiudere il cerchio che il padre, con il quale non parlava da 30 anni, non era riuscito a chiudere ovvero, trovare il criminale nazista e vendicarsi…
Prende così vita la storia di Cheyenne, malinconica maschera che attraversa gli Stati Uniti più rurali ed impervi, con il suo trolley (simbolo di tutto il peso di rimorsi e rimpianti di una vita) alla ricerca della nemesi di suo padre, ed incontra i personaggi più disparati, ognuno con una sua visione delle cose… ed accompagnato da una voce fuoricampo che sarà rivelatrice alla fine. Cerca la vendetta? Cerca suo padre? Cerca sé stesso?
Gli elementi cruciali del film sono lo spazio ed il tempo… lo spazio dei luoghi che attraversa Cheyenne, quasi come fosse raffigurato nei quadri di Hopper, immobili eppure inquieti, riflettono l’assolutezza dello spirito e dell’anima, immemori. Il tempo come sostanza della vita delle persone, come investimento necessario. Il tempo vissuto come ossessione (dal padre di Cheyenne, dal cacciatore di nazisti), come noia (da Cheyenne stesso), ma soprattutto come attesa (dalla madre del figlio scomparso, o di quello impaurito dall’acqua, del nazista stesso). Il tempo ben speso come unico modo di vivere appieno la vita, come la dimensione in cui vivere o non vivere, come fanno i protagonisti. Emblematica la scena in cui un uomo incontrato in un bar del Michigan chiede stupito a Cheyenne “ed una volta che avrai trovato quel nazista, che ci farai?”. Ovviamente non c’è risposta. Il tempo deve essere speso oculatamente, o viene sprecato (così come le azioni sul mercato che ha investito lo stesso Cheyenne).
Solo quando Cheyenne impara ad usare il proprio tempo, allora cresce (anche da un punto di vista esteriore, come si vedrà nel film), e la vita torna a scorrere, ben spesa. E senza più trascinarsi nessun trolley.
Come sottolinea la canzone dei Talking Heads...
"Evviva ho un sacco di tempo
evviva i tuoi occhi brillano
e sei qui a fianco a me
adoro il passare del tempo
mai per il denaro
sempre per l’amore
copriti e dimmi buonanotte, buonanotte"
Molto bella la regia di Sorrentino, con ampie inquadrature che disegnano le scene e suggeriscono stati d’animo, alternate a primi piani intensi sulle rughe e le linee dei volti degli interpreti e con la musica di David Byrne che sottolinea i vari momenti...Ottimo Sean Penn, che dipinge il suo Cheyenne, bambino pop star mai cresciuto, che alterna momenti divertentissimi a momenti di lucidi aforismi.
Con tutta probabilità, non è un film al livello de Il Divo, e altrettanto probabilmente, questo film non incontrerà i gusti del pubblico d’oltreoceano, ma si tratta senz’altro di un’opera ottima e degna di nota nel panorama attuale degli autori italiani… 2 ore di tempo ben speso.
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croccodrilerockc
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lunedì 17 ottobre 2011
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mi è rimasto un sassolino nella scarpa......
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Sono sotanzialmente daccordo con la tua recensione, concordo con la tua analisi, il film mi è piaciuto moltissimo e non trovo sbavature, recitazione fantastica, fotografia emozionante: riempe gli occhi. Il taglio della cinepresa encomiabile.Ma io ho una parte razionale che devo soddisfare, e non sempre questo è giusto (anzi, può essere molto limitativo).La madre in attesa del figlio scomparso: come collochi questa cosa nell' economia generale del film?Come interpreti il passaggio di emozioni sul viso di questa madre nelle ultime sequenze:io leggo prima gioia (pensa che il figlio sia tornato), poi delusione, dolore, poi ancora gioia.Io nella mia testa mi sono già formata un' opinione, vorrei conoscere la tua.
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Sono sotanzialmente daccordo con la tua recensione, concordo con la tua analisi, il film mi è piaciuto moltissimo e non trovo sbavature, recitazione fantastica, fotografia emozionante: riempe gli occhi. Il taglio della cinepresa encomiabile.Ma io ho una parte razionale che devo soddisfare, e non sempre questo è giusto (anzi, può essere molto limitativo).La madre in attesa del figlio scomparso: come collochi questa cosa nell' economia generale del film?Come interpreti il passaggio di emozioni sul viso di questa madre nelle ultime sequenze:io leggo prima gioia (pensa che il figlio sia tornato), poi delusione, dolore, poi ancora gioia.Io nella mia testa mi sono già formata un' opinione, vorrei conoscere la tua.Te l' ho detto è sassolino nella scarpa che nulla toglie al piacere che mi ha dato quato film.Grazie.
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[+] ottima analisi
(di areknames69)
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(di jaylee)
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weach
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sabato 22 ottobre 2011
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sfuma la parola verso un salto non dimensionale
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"Gli elementi cruciali del film sono lo spazio ed il tempo… lo spazio dei luoghi che attraversa Cheyenne, quasi come fosse raffigurato nei quadri di Hopper, immobili eppure inquieti, riflettono l’assolutezza dello spirito e dell’anima, immemori. Il tempo come sostanza della vita delle persone, come investimento necessario. Il tempo vissuto come ossessione (dal padre di Cheyenne, dal cacciatore di nazisti), come noia (da Cheyenne stesso), ma soprattutto come attesa (dalla madre del figlio scomparso, o di quello impaurito dall’acqua, del nazista stesso). Il tempo ben speso come unico modo di vivere appieno la vita, come la dimensione in cui vivere o non vivere, come fanno i protagonisti.
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"Gli elementi cruciali del film sono lo spazio ed il tempo… lo spazio dei luoghi che attraversa Cheyenne, quasi come fosse raffigurato nei quadri di Hopper, immobili eppure inquieti, riflettono l’assolutezza dello spirito e dell’anima, immemori. Il tempo come sostanza della vita delle persone, come investimento necessario. Il tempo vissuto come ossessione (dal padre di Cheyenne, dal cacciatore di nazisti), come noia (da Cheyenne stesso), ma soprattutto come attesa (dalla madre del figlio scomparso, o di quello impaurito dall’acqua, del nazista stesso). Il tempo ben speso come unico modo di vivere appieno la vita, come la dimensione in cui vivere o non vivere, come fanno i protagonisti. Emblematica la scena in cui un uomo incontrato in un bar del Michigan chiede stupito a Cheyenne “ed una volta che avrai trovato quel nazista, che ci farai?”. Ovviamente non c’è risposta" Questa parte della tua lettura è pienamente condivisibile, ben scritta e mi permetto di integrala con poche parole : "film dal messaggio non verbale ".Complimenti
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weach
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lunedì 7 novembre 2011
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il film nella sua dimensione non assimilabile
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tua recensione "Con tutta probabilità, non è un film al livello de Il Divo, e altrettanto probabilmente, questo film non incontrerà i gusti del pubblico d’oltreoceano, ma si tratta senz’altro di un’opera ottima e degna di nota nel panorama attuale degli autori italiani… 2 ore di tempo ben speso." Qui proporrei una riflessione: il Divo è altro; non è miglioro o peggiore del "This Must Be the Place"; quindi il contenuto profondamente introspettivo riposiziona il film nella sua dimensione non assimilabile ne paragoabile. Per quel poco che può contare la mia opinione dico pure che avrà successo , anche importante , oltreoceano . Ciao
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deadman
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lunedì 14 novembre 2011
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aiuto
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certo che se hai trovato tutto questo in questa cagata pazzesca potresti riabilitare i vanzina, complimenti
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