Il processo ai Chicago 7

Un film di Aaron Sorkin. Con Sacha Baron Cohen, Joseph Gordon-Levitt, Frank Langella, Eddie Redmayne, Mark Rylance.
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Titolo originale The Trial of the Chicago 7. Drammatico, Ratings: Kids+13, durata 129 min. - USA 2020. - Lucky Red uscita mercoledì 30 settembre 2020. MYMONETRO Il processo ai Chicago 7 * * * - - valutazione media: 3,47 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Tutto quello che ci piace, e non, dell’America Valutazione 4 stelle su cinque

di jaylee


Feedback: 14771 | altri commenti e recensioni di jaylee
domenica 4 ottobre 2020

Sembra proprio che tocchi ai canali internet via internet (accusati di mettere in crisi i circuiti delle sale cinematografiche) a tenere alto il livello di produzione di quello che si vede in sala: in un periodo in cui, con l’eccezione del Tenet di Nolan, davanti al grande schermo si vedono fondi di magazzino in attesa di riaprire al 100% le sale, sembra paradossale che sia Netflix a produrre i tradizionali colossal made in USA. Prima The Irishman di Scorsese, ora Il Processo ai Chicago 7, che originariamente avrebbe dovuto essere diretto da Spielberg (invece ora solo prodotto dalla Dreamworks del buon Steven) ed uscire qualche anno fa.
Siamo nel 1968: le elezioni prevedono come candidati Nixon e Humphries, entrambi candidati considerati troppo conservatori dai movimenti di sinistra: vengono organizzate delle proteste pacifiche a Chicago, sede del Partito Democratico, ma queste proteste sfoceranno in sanguinosi scontri con la polizia locale.  7 dei leader della dimostrazione vengono incriminati dalla nuova amministrazione Nixon per cospirazione; e per buona misura viene anche incluso Bobby Seale, leader del movimento dei Black Panthers, che il giorno della dimostrazione, stava facendo un discorso a Chicago. Il Processo si rivela subito estremamente ostile verso gli imputati, e gli avvocati Kunstler e  Weinglass, capiscono da subito (senza volerlo ammettere davanti agli altri) che si tratta di un processo politico a tutti gli oppositori del Vietnam.
Il film scritto e diretto da Aaron Sorkin, uno dei migliori sceneggiatori della Hollywood “impegnata” degli ultimi 40 anni (suoi Codice D’Onore, The Social Network, Moneyball, e altri), ma solo alla sua seconda regia, porta sullo schermo una storia poco nota da noi, ma che in questo periodo in cui la politica soffoca la libera espressione delle persone, è quello che si direbbe un film “necessario”. Alcune delle scene, reali anche se drammatizzate, fanno accapponare la pelle a qualunque persona che abbia a cuore la giustizia e la libertà e ci sono di monito, tra cui quella in cui Bobby Seale (l’imputato nero, al quale fu negato il diritto di avere un proprio avvocato) viene letteralmente legato ed imbavagliato in aula e quella dove i poliziotti si tolgono il distintivo e la targhetta del nome prima di spingere i dimostranti dentro una vetrina per arrestarli. D’altro canto, fu anche un esempio in cui il sistema giudiziale USA riuscì a correggere i propri errori, e ci è di esempio. Curioso che un film che sarebbe dovuto uscire anni fa, esce quasi provvidenzialmente in un periodo critico della politica USA, e davvero dovrebbe essere visto da tanta gente.
Il Processo ai Chicago 7 è di impianto classico, ma non scontato (il racconto degli scontri ad esempio, avviene in una serie di flashback non lineari raccontati dagli imputati), ed inizia nell’ufficio del Ministro della Giustizia, neo-nominato da Nixon, che “incarica” letteralmente il Pubblico Ministero (un Joseph Gordon-Levitt con una recitazione tranquilla ma per niente noiosa) di vincere la causa a qualunque costo (e con qualunque mezzo, lo stile di Nixon era quello), per far capire che quello che si sarebbe visto sarebbe stato una farsa in un’aula di giustizia, con un giudice (Frank Langella, strepitoso) che evidentemente non avrebbe dato una chance agli imputati. Dove il film manca in originalità, potrebbe essere stato tranquillamente girato 20 anni fa sia come fotografia, musica, ecc., è ampiamente ripagato da una sceneggiatura di altissimo livello (2 ore he incollano allo schermo), e delle interpretazioni, individuali e corali, che lasciano il segno. Oltre ai già citati Gordon-Levitt e Langella, menzioni d’onore per Sacha Baron Cohen (il deflagrante Abbie Hoffmann) che pronuncerà una delle linee più memorabili della pellicola (“nessuno mi ha mai processato per i miei pensieri fino ad ora” – forse la sintesi migliore di tutto quello che successe in quell’aula), Mark Rylance (l’avvocato attivista) e Michael Keaton (che in 10 minuti scarsi sullo schermo ruba la scena). A dimostrazione che, alla fine, le emozioni vengono suscitate dalle storie e da chi le racconta, il resto è tecnica. Questo è grande cinema. Anche sul piccolo schermo. (www.versionekowalski.it)

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