pietroleone
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mercoledì 23 gennaio 2013
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i rimpianti di una vita
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Cheyenne è una vecchia pop star la quale senza rendersene conto probabilmente campa di rendita sulla sua gloriosa carriera musicale. Tutto scorre liscio fino alla morte del padre (ebreo), che Cheyenne non ha visto gli ultimi 30 anni di vita. Una volta tornato dal padre già morto scopre l'ossessione del padre, ritrovare un vecchio generale nazista risalente alla sua permanenza ad auschwitz.
Il film è dxiretto da Paolo Sorrentino, il quale lo rende un film apprezzabile, a tratti drammatico, malinconico ed esilarante.
Molte scene del film risultano essere troppo lente, ma quasi sempre sono coperte da un ottima scelta musicale che, lascia tempo allo spettatore per riflettere sulle problematiche più comuni che talvolta la vita può darti.
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Cheyenne è una vecchia pop star la quale senza rendersene conto probabilmente campa di rendita sulla sua gloriosa carriera musicale. Tutto scorre liscio fino alla morte del padre (ebreo), che Cheyenne non ha visto gli ultimi 30 anni di vita. Una volta tornato dal padre già morto scopre l'ossessione del padre, ritrovare un vecchio generale nazista risalente alla sua permanenza ad auschwitz.
Il film è dxiretto da Paolo Sorrentino, il quale lo rende un film apprezzabile, a tratti drammatico, malinconico ed esilarante.
Molte scene del film risultano essere troppo lente, ma quasi sempre sono coperte da un ottima scelta musicale che, lascia tempo allo spettatore per riflettere sulle problematiche più comuni che talvolta la vita può darti. Suggestiva è la scena in cui Cheyenne si rende conto che nonostante tutto suo padre l'ha sempre amato e lui non l'ha mai capito in quanto non ha mai avuto figli e non ha mai saputo trovare l'amore. Cheyenne all'inizio sembra un personaggio ingenuo, magari subdolo, stonato e pieni di difetti e superficialità. Ma durante il film si scopre sensibile, generoso (come quando compra la piscina al figlio di rachel ha paura dell'acqua e gli compra una piscina) e veramente attaccato alla realisticità dei sentimenti, tanto da abbandonare la superficialità dell'essere alla fine del film.
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great steven
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martedì 16 dicembre 2014
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this is the place: for some wonderful winners!
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THIS MUST BE THE PLACE (IT/FR/IRL, 2011) diretto da PAOLO SORRENTINO. Interpretato da SEAN PENN, JUDD HIRSCH, FRANCES MCDORMAND, EVE HEWSON, KERRY CONDON, HARRY DEAN STANTON, DAVID BYRNE, JOYCE VAN PATTEN
Un giorno S. Penn ti si presenta dinanzi e ti dice: voglio girare un film con te. È come se Diego Armando Maradona si rivolgesse a un allenatore e gli chiedesse di entrare nella sua squadra. Ovvio che in un caso del genere gli costruisci la squadra attorno, in fondo i tuoi schemi di gioco possono passare in secondo piano. E la trovata geniale del quinto film di Sorrentino, il primo girato in lingua inglese, è il travestimento del protagonista: rossetto, volto imbiancato, occhi bistrati, capelli neri lunghi e scarmigliati, unghie laccate.
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THIS MUST BE THE PLACE (IT/FR/IRL, 2011) diretto da PAOLO SORRENTINO. Interpretato da SEAN PENN, JUDD HIRSCH, FRANCES MCDORMAND, EVE HEWSON, KERRY CONDON, HARRY DEAN STANTON, DAVID BYRNE, JOYCE VAN PATTEN
Un giorno S. Penn ti si presenta dinanzi e ti dice: voglio girare un film con te. È come se Diego Armando Maradona si rivolgesse a un allenatore e gli chiedesse di entrare nella sua squadra. Ovvio che in un caso del genere gli costruisci la squadra attorno, in fondo i tuoi schemi di gioco possono passare in secondo piano. E la trovata geniale del quinto film di Sorrentino, il primo girato in lingua inglese, è il travestimento del protagonista: rossetto, volto imbiancato, occhi bistrati, capelli neri lunghi e scarmigliati, unghie laccate. Il personaggio principale (cinquantenne ebreo) di questo film arguto e intelligente vive alla periferia di Dublino, è di origini americane, in passato fu una famosa popstar che cantava canzoni deprimenti e tristi, e ora, anche se i suoi amici e conoscenti lo idolatrano ancora, lui, depresso e ansioso, vive nel ricordo demoralizzante e devastante di due ragazzi che si suicidarono dopo aver ascoltato un suo brano dai contenuti particolarmente mesti. Neanche la presenza della moglie Jane, concreta e spiritosa, con cui è sposato da trentacinque anni, riesce a scuoterlo dalla sua persistente apatia. La morte del padre con il quale non parlava da trent’anni lo fa tornare a New York allo scopo di intraprendere un’indagine che lo dovrebbe condurre al criminale nazista che, durante la guerra, al campo di concentramento di Auschwitz, seviziò il suo genitore. Quindi, con estrema lentezza, e senza possedere alcuna dote da investigatore, Cheyenne (così si chiama il protagonista) parte alla ricerca del delinquente novantenne, arrivando a scovarlo presso una casa isolata su un ghiacciaio. Il film risulta piuttosto lento, ondivago e ricco di immagini inverosimili, che però centrano il bersaglio e funzionano a dovere, e il tutto è condito dalla splendida colonna sonora che rivisita vecchi classici rock e pop poco conosciuti, attribuendo alla vicenda (una road-story già vista, ma reinventata con sguardo creativo e originale) un sapore tutt’altro che anacronistico, ma piuttosto sanguigno, vitale, reattivo e molto interessante a guardarsi anche per i non cultori del cinema drammatico e dei generi musicali alla portata del pubblico popolare. Sorprendente la recitazione di Penn, la vera carta vincente di un piccolo capolavoro che sa fondere la tenerezza con l’ironia e il pathos con la vivacità, benché anche gli altri interpreti, meno relegati nei bassifondi di quanto possa sembrare ad un primo acchito, gli tengano testa assai bene, vitalizzando un cast alquanto variegato in cui uomini e donne sono in bilico su una vita che cerca disperatamente di dare un senso a sé stessa, proprio come fa Cheyenne partendo alla ricerca dell’aguzzino del padre: il suo viaggio ha come obiettivo fondamentale anche il ritrovamento della sua identità, e il finale stupefacente è esemplificativo, in tal senso. Scritto dal regista con Umberto Contarello, prodotto da Indigo/Lucky Red/Medusa al costo di ventotto milioni di dollari, conta fra i suoi personaggi più rilevanti anche Mordecai Midler, un sistematico e capacissimo cacciatore di mascalzoni nazisti. La musica di D. Byrne (che compare velocemente in una scena a circa metà film) assume la sua cruciale importanza in modo molto evidente: il titolo del film prende spunto dalla canzone (1982) del leader dei Talking Heads, e la presenza del cantautore nella parte di sé stesso ha indubbiamente contribuito al successo della pellicola. Vincitore di sei David di Donatello: sceneggiatura (P. Sorrentino, U. Contarello), fotografia (Luca Bigazzi, davvero meravigliosa e puntigliosa), musiche (D. Byrne), canzone (“If it falls, it falls” – D. Byrne & Will Oldham), truccatore (Luisa Abel) e acconciatore (Kim Santantonio). I premi si rivelano pienamente meritati grazie anche alla regia intellettiva e abile di Sorrentino, che dirige tutti gli attori lasciando a ciascuno il giusto spazio espressivo e senza nessun maldestro tentativo di emulazione, il che sarebbe potuto succedere, dal momento che i road movie sono da sempre una costante ricorrente del cinema di nicchia fin da quando esiste, e il bravo Paolo ha saputo schivare con saggia esperienza questo traballante rischio, e il suo merito sta soprattutto nell’aver dato ad una vicenda un tono discorsivamente scorrevole e tetramente luminoso.
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giomo891
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mercoledì 21 settembre 2022
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una ex-star alla ricerca di se stesso. giomo891
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Cheyenne è una stella della musica Rock di Dublino che vive di rendita grazie ai successi del passato. Dopo aver appreso la triste notizia della malattia incurabile del padre, l'uomo decide di far ritorno a New York City per mettersi sulle tracce di un ex nazista criminale di guerra e responsabile di aver perseguitato l'anziano genitore in punto di morte.
Ma in quel tentativo di vendetta Cheyenne trova qualcosa altro, forse proprio quello, che senza saperlo, l'uomo occidentale "vorrebbe" trovare.
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Cheyenne è una stella della musica Rock di Dublino che vive di rendita grazie ai successi del passato. Dopo aver appreso la triste notizia della malattia incurabile del padre, l'uomo decide di far ritorno a New York City per mettersi sulle tracce di un ex nazista criminale di guerra e responsabile di aver perseguitato l'anziano genitore in punto di morte.
Ma in quel tentativo di vendetta Cheyenne trova qualcosa altro, forse proprio quello, che senza saperlo, l'uomo occidentale "vorrebbe" trovare. Una rinascita, una nuova armonia, in un percorso ormai consunto.
All'inizio del film Cheyenne, pur mantenendo il (discutibile) look-tipo trans degli anni della gloria sul palcoscenico musicale; anche il suo "lamentoso" modo di parlare e le battute di spirito alle quali lui solo sorridere, tutto quanto fa pensare che, invece, sia profondamente depresso.
Ma lui stesso, come se fosse un peccato, ammette di non avere mai fumato.
Quando dichiara alla compagna Jane, di essere depresso, lei, sinceramente gli risponde "non sei depresso, sei solo annoiato..."
Ma ecco che inizia a cercare la novità, andare a trovare il padre morente in America, ma dato che soffre di paura di volare, deve ricorrere ad un viaggio per mare. Quando arriva, trova il padre già morto, qui il lampo di genio di Sorrentino, invece di indugiare sull'immagine di dolore, ci trasporta immediatamente in un' immagine dall' alto di Central Park ed a un concerto di David Byrne. La musica ha grande parte in questa pellicola.
È l'incontro con David che fa venir fuori il tormento di Cheyenne di aver fatto musica solo per i soldi, diventando un personaggio che oggi, intimamente, arriva ad odiare.
Alla fine, dopo aver scovato il nazista Aloise Lange, pare trovare un' altra identità: è tanto cambiato che assapora la prima sigaretta...
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fablic83
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mercoledì 19 ottobre 2011
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trovare la pace attraverso la riconoscenza
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Il nuovo film di Paolo Sorrentino che ha come protagonista principale (nascosto sotto un parruccone alla Robert Smith, uno strato spesso di cerone e del rossetto rosso sangue) Sean Penn. Il film racconta la storia di Cheyenne, una rockstar ormai in pensione, che vive le sue giornate all'interno della sua enorme casa a giocare a pelota con la moglie dentro una piscina vuota (Ah! non vi azzardate a chiedergli perché non l'ha mai riempita d'acqua!).
La sua vita scorre lenta e monotona. Sempre le stesse cose, sempre le stesse persone: la moglie pompiere, la sorella distrutta dalla scomparso del figlio e la nipote adolescente. A quest'ultima lo lega, oltre allo stesso look e gli stessi gusti musicali, un rapporto molto stretto, quasi filiale, tanto da spingerlo ad improvvisarsi Cupido e tentare, per buona parte del film, di farla fidanzare con un bravo ragazzo, troppo timido e impacciato per farsi avanti nel modo giusto.
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Il nuovo film di Paolo Sorrentino che ha come protagonista principale (nascosto sotto un parruccone alla Robert Smith, uno strato spesso di cerone e del rossetto rosso sangue) Sean Penn. Il film racconta la storia di Cheyenne, una rockstar ormai in pensione, che vive le sue giornate all'interno della sua enorme casa a giocare a pelota con la moglie dentro una piscina vuota (Ah! non vi azzardate a chiedergli perché non l'ha mai riempita d'acqua!).
La sua vita scorre lenta e monotona. Sempre le stesse cose, sempre le stesse persone: la moglie pompiere, la sorella distrutta dalla scomparso del figlio e la nipote adolescente. A quest'ultima lo lega, oltre allo stesso look e gli stessi gusti musicali, un rapporto molto stretto, quasi filiale, tanto da spingerlo ad improvvisarsi Cupido e tentare, per buona parte del film, di farla fidanzare con un bravo ragazzo, troppo timido e impacciato per farsi avanti nel modo giusto. La sua vita è segnata da un evento tragico: due ragazzi, vent'anni prima, seguendo alla lettera i testi delle sue canzoni deprimenti, si tolsero la vita. Da allora decise di non cantare più. Quasi come una punizione auto-inflittasi, ad eternare quella colpa che si sentiva addosso sulla propria pelle, mantenne però negli anni a venire gli stessi vestiti e lo stesso trucco di allora. Quest'uomo depresso, annoiato da una vita che ha perso ogni senso e incapace ormai di sorridere (in tutto il film non fa che produrre dei "ridolini" isterici) trova il modo per dare una svolta alla sua esistenza grazie ad un altro triste evento. Il padre ebreo, con il quale non aveva più contatti da quando aveva iniziato la sua carriera musicale, muore. Scopre allora che suo padre, per tutta la vita, era stato alla ricerca di un vecchio criminale nazista, suo carceriere nel lager in cui era stato imprigionato da bambino. Cheyenne parte allora per un viaggio che lo porterà a girare l'America, a conoscere cose nuove (lui stesso dice: "in questo viaggio ho fatto tante cose per la prima volta", che detto da una rockstar sembra una battuta, ma probabilmente in questo caso è tutto vero) e persone nuove.
Il film di Sorrentino, regista de Il Divo, è una sorta di manuale che potrebbe avere questo titolo: come trovare un senso a una vita che non ce l'ha. Cheyenne la ritrova facendo del bene agli altri. Generando riconoscenza (che è "la cosa più bella del mondo", secondo il biker tatuato che incontra in un bar). Dà agli altri e, senza chiedere, spontaneamente, ottiene dagli altri ciò che stava cercando: dal mezzo per viaggiare ai nomi e gli indirizzi che lo avvicinano sempre più al nazista novantenne. Durante il suo viaggio prende in prestito un auto per fare un favore a uno sconosciuto incontrato in autogrill; allontana, anche solo per poco, la solitudine di una donna anziana; ridona il sorriso a un bambino e la fiducia negli altri a sua madre; dà un passaggio nel deserto ad un enigmatico e silenzioso indiano; dà la possibilità ad un inventore geniale ma sconosciuto di essere "riconosciuto". Infine "vendica" il padre, in una maniera abbastanza particolare e inaspettata.
Ma soprattutto, ritrova se stesso. E, citando Kung Fu Panda, trova la sua "pace interiore". Alla fine del viaggio farà pace con se stesso e potrà finalmente abbandonare la maschera che portava addosso da anni per proteggersi da un passato doloroso con il quale aveva paura di confrontarsi.
In un mondo sempre più solo e fatto di individui, il regista ci invita a non restare chiusi in noi stessi, a non lasciare che i dolori e le difficoltà ci isolino dal mondo ma al contrario a cercare negli altri ciò che sentiamo mancare in noi stessi. E riesce a farlo senza annoiare, né far piangere, ma con il sorriso, mescolando dramma e comicità come nella migliore tradizione della commedia italiana (Monicelli docet).
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henry90
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giovedì 20 ottobre 2011
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ottimo
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Il percorso di presa di coscenza di una ex-rockstar che alla morte del suo padre intraprende un percorso alla scoperta del suo rancore covato per anni verso un individuo sconosciuto.
Il tutto incontrando individui nuovi e con dialoghi profondi, senza dimenticare la splendida colonna sonora, assolutamente da riascoltare a casa propria!
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(di clavius)
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mantraliulai
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mercoledì 26 ottobre 2011
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la settima arte
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Questo è uno di quei film in cui, sin dai primissimi fotogrammi, capisci subito che è valsa la pena di essere usciti di casa e aver comprato il biglietto per andare a vederlo.
Sorrentino si fa sedurre dall'arte e la musica contemporanee, e te ne accorgi. L'evocatività dei luoghi, dei paesaggi, catturati come in una bellissima tela dal direttore della fotografia Luca Bigazzi, al suo meglio storico. Attori in stato di grazia, i loro sguardi ripresi in modo ravvicinato ti colpiscono più di un mastodontico effetto speciale in 3D. Ennesima prova magistrale per Sean Penn, alias Cheyenne, una rockstar ormai in declino, persa nella sua noia e nei suoi vestiti neri, avrà bisogno di una forte scossa nella sua esistenza per intraprendere il viaggio, per ritrovare se stesso, finalmente.
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Questo è uno di quei film in cui, sin dai primissimi fotogrammi, capisci subito che è valsa la pena di essere usciti di casa e aver comprato il biglietto per andare a vederlo.
Sorrentino si fa sedurre dall'arte e la musica contemporanee, e te ne accorgi. L'evocatività dei luoghi, dei paesaggi, catturati come in una bellissima tela dal direttore della fotografia Luca Bigazzi, al suo meglio storico. Attori in stato di grazia, i loro sguardi ripresi in modo ravvicinato ti colpiscono più di un mastodontico effetto speciale in 3D. Ennesima prova magistrale per Sean Penn, alias Cheyenne, una rockstar ormai in declino, persa nella sua noia e nei suoi vestiti neri, avrà bisogno di una forte scossa nella sua esistenza per intraprendere il viaggio, per ritrovare se stesso, finalmente. Un tipo che piacerà molto ai trentenni anglofili.
I dialoghi sono graffianti, in ognuno è racchiusa una lezione di vita; si ride e ci si commuove.
Com'è che quando i nostri autori italiani diventano così bravi, decidono di lavorare negli Stati Uniti? Riflettiamoci..
Cos'altro dire, questa pellicola profuma di Oscar.
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owlofminerva
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giovedì 27 ottobre 2011
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lento e introspettivo, deprimente e umoristico.
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Lento, instabile e deprimente fino al percorso on the road. Cheyenne è un ossimoro: è una rock star, lo è stata, si concia come tale ma dice di non esserlo, ne respinge l’immagine anche se non riesce a liberarsi dalla maschera che indossa come una seconda pelle, una condanna al ricordo delle sue colpe. Ancora si ostina ad avere capelli neri cotonati, labbra rosse, matita nera intorno agli occhi, unghie laccate, abiti attillati in stile gotico. Ha un’andatura dondolante, uno sguardo ingenuo e assente e una vocina flebile ed effeminata, garbata, gentile e generosa, un personaggio problematico, a tratti umoristico ma non grottesco.
Per camminare si deve sempre aggrappare a qualcosa: al carrello della spesa o al trolley con le ruote.
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Lento, instabile e deprimente fino al percorso on the road. Cheyenne è un ossimoro: è una rock star, lo è stata, si concia come tale ma dice di non esserlo, ne respinge l’immagine anche se non riesce a liberarsi dalla maschera che indossa come una seconda pelle, una condanna al ricordo delle sue colpe. Ancora si ostina ad avere capelli neri cotonati, labbra rosse, matita nera intorno agli occhi, unghie laccate, abiti attillati in stile gotico. Ha un’andatura dondolante, uno sguardo ingenuo e assente e una vocina flebile ed effeminata, garbata, gentile e generosa, un personaggio problematico, a tratti umoristico ma non grottesco.
Per camminare si deve sempre aggrappare a qualcosa: al carrello della spesa o al trolley con le ruote. Da solo non si regge. Continua a bere ma solo analcolici colorati. Ha deciso di eclissarsi dal mondo Cheyenne e vive comodamente senza far nulla insieme ad una moglie che gli fa da madre e da argine alla sua depressione. Serve una botta e arriva dal padre. Da bambino, aveva deciso che il padre non gli voleva bene. E di quell’intuizione ne è ancora convinto con la presunzione di un bambino. La fine del padre rappresenta per il figlio l’inizio di un lungo percorso. Il sedentario Cheyenne trova la motivazione per viaggiare: trovare il nazista che aveva umiliato il padre. Lo trova. È solo, macilento, scheletrico, vecchio e indifeso. L’ex-nazista ormai vecchissimo compare nudo in mezzo alla neve: in quell’inquadratura estremamente realistica e insieme simbolica c’è tutta la ferocia del tempo che passa sui nostri corpi e l’umiliazione dell’umanità. Somiglia tanto alle povere vittime, vecchie e denudate, accasciate nella morte sulla neve nei campi di sterminio.Quel vecchio senza abiti, sulla neve, in una luce bianca, muove a pietà più che a vendetta. E’ il momento in cui si capisce che il protagonista si è finalmente liberato della maschera. Adesso può tornare a casa.
Cheyenne non ha più capelli lunghi e il rossetto sulle labbra. È un uomo come gli altri. È diventato se stesso. Dal cuore l’odio è fuoriuscito e finalmente sorride. This Must Be the Place, questo dovrebbe essere il posto. Una pellicola che lasca con l'amaro in bocca di mille interrogativi, introspettivo e riflessivo.
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michela silla
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venerdì 28 ottobre 2011
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una rockstar in pensione alla scoperta di sé
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“This Must Be The Place”, regia di Paolo Sorrentino. Con Sean Penn, Frances McDormand, David Byrne, Kerry Condon. Durata: 118 min.
La parrucca nera. Il parlare strascicato; proprio come la sua camminata. Non c'è dubbio: Sean Penn in questo film è straordinario. È Cheyenne, rockstar in pensione che vive con la moglie a Dublino e sembra non sapere chi sia e che cosa voglia. Che forse non l'ha mai saputo. E tutte le sere, davanti allo specchio, si toglie matita e rossetto e scopre le occhiaie, le rughe: i segni del tempo e di una vita senza troppi perché; consumata senza crescita reale. Senza grandi cambiamenti. E la pensione è noia; è restare a casa a osservare dalla finestra la moglie indaffarata nel loro mega giardino.
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“This Must Be The Place”, regia di Paolo Sorrentino. Con Sean Penn, Frances McDormand, David Byrne, Kerry Condon. Durata: 118 min.
La parrucca nera. Il parlare strascicato; proprio come la sua camminata. Non c'è dubbio: Sean Penn in questo film è straordinario. È Cheyenne, rockstar in pensione che vive con la moglie a Dublino e sembra non sapere chi sia e che cosa voglia. Che forse non l'ha mai saputo. E tutte le sere, davanti allo specchio, si toglie matita e rossetto e scopre le occhiaie, le rughe: i segni del tempo e di una vita senza troppi perché; consumata senza crescita reale. Senza grandi cambiamenti. E la pensione è noia; è restare a casa a osservare dalla finestra la moglie indaffarata nel loro mega giardino. Il mega giardino, la mega villa. Un'enorme piscina vuota dentro la quale giocano a pelota, lui e la moglie. E la mitica rockstar in fondo non lo sa perché la piscina di casa sua è vuota. È la moglie a occuparsi della casa, di tutto. Lui, che è rimasto un po' bambino, non ha mai provato a fumare; ma in passato si faceva di eroina. E si lascia vivere, con l'espressione apatica di chi si è arreso allo scorrere sempre uguale della vita. Ma all'improvviso si rende conto che qualcosa da cercare c’è. E comincia un viaggio – avventuroso, emozionante – negli Stati Uniti. Suo padre è morto, dopo trent'anni di silenzio tra di loro. Obiettivo del viaggio: trovare il criminale nazista che l'ha umiliato, tempo addietro, nel campo di concentramento nel quale era stato rinchiuso. Sean Penn parte. Le inquadrature di Sorrentino e la fotografia di Luca Bigazzi esplodono. L'attenzione all'immagine – intelligentemente studiata, dai colori brillanti e i significati densi – a volte sostituisce persino i dialoghi. Anche i luoghi e i personaggi che incontra nel suo cammino sono delineati attraverso paesaggi ed espressione dei volti. Infatti sono le immagini che esprimono, non le parole. L'aria un po' stranita, disincantata. Un incontro dopo l'altro che straripa di umanità. Il viaggio continua. Verso una scoperta che è tante rivelazioni insieme. Sulla vita, sulla crescita e sull'amore. Un puzzle di visioni mozzafiato, divinamente accostate. Che quasi commuovono, per eleganza e intensità.
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johnny veritas
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venerdì 18 novembre 2011
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genio e sregolatezza
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Cheyenne sta per intraprendere una ricerca. Un viaggio che sa di insolito quasi quanto il suo nome e quel suo aspetto bizzarro fatto di fondotinta, trucco pesante e capelli laccati. Quell'aspetto che solo un artista, una ex rock star troppo immersa nel suo glorioso passato e forse troppo pavida per affrontare il presente, può permettersi. La ricerca non è niente di più semplice che scovare un criminale nazista colpevole di aver umiliato il padre ad Auschwitz. É in questo modo che l'italianissimo Paolo Sorrentino decide di mostrarci una vicenda che parte dalla scolorita Dublino e che presto si trasforma in un vero e proprio road movie lungo le multicolori strade americane.
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Cheyenne sta per intraprendere una ricerca. Un viaggio che sa di insolito quasi quanto il suo nome e quel suo aspetto bizzarro fatto di fondotinta, trucco pesante e capelli laccati. Quell'aspetto che solo un artista, una ex rock star troppo immersa nel suo glorioso passato e forse troppo pavida per affrontare il presente, può permettersi. La ricerca non è niente di più semplice che scovare un criminale nazista colpevole di aver umiliato il padre ad Auschwitz. É in questo modo che l'italianissimo Paolo Sorrentino decide di mostrarci una vicenda che parte dalla scolorita Dublino e che presto si trasforma in un vero e proprio road movie lungo le multicolori strade americane. Film tra i favoriti alla corsa per la palma d'oro all'ultimo festival di Cannes, “This must be the place” è sicuramente qualcosa di spiazzante (di insolito, di innovativo), proprio come altre notevolissime pellicole che ci ha presentato negli anni il regista/sceneggiatore partenopeo, dal desolante e commovente “Le conseguenze dell'amore” fino al suo acclamato capolavoro “Il Divo”. Ma qui il personaggio che ci troviamo a seguire per questo viaggio folle eppure così denso di significato non è un triste e solo contabile che lavora per la mafia o un altrettanto solo e cinico capo di stato che con la mafia, del resto, ha un rapporto ben più complesso. Questa sorta di Edward Mani di Forbice uscito dal suo mondo fantastico ci cattura con la sua strana purezza, il suo modo così atipico (ingenuo?) di vedere il mondo, la sua volontà di capire e capirsi e, forse, di cambiare. É allora un viaggio di formazione, seppur insolito, quello che ci aspetta. Un viaggio che passa senza soluzione di continuità dalla memoria dell'Olocausto a scene di vita quotidiana e surreale, un film dove le singole parti sembrano più pregnanti della storia nel suo insieme. Ogni inquadratura, ogni movimento di macchina e ogni virtuosismo stilistico è studiato alla perfezione per dare un effetto ben preciso, alla maniera in cui Sorrentino ci ha ben abituati e che lo ha reso subito riconoscibile facendo gridare al genio più di una persona. Ma tutto questo sarebbe andato perso senza la favolosa interpretazione di Sean Penn che, se ancora ce ne fosse stato bisogno, si conferma il miglior attore della sua generazione, dando vita a questo personaggio completamente alienato, estremamente ironico che con la sua voce flebile e gentile è pronto a confrontarsi con chiunque gli si pari davanti e con qualunque difficoltà lo separi dal suo obiettivo. A completare il tutto ci pensa poi la colonna sonora curata dal mitico David Byrne (il titolo del film si rifà ad una celebre canzone dei suoi Talkin Heads), che scandisce il ritmo discontinuo di questa avventura e ne riempie i silenzi. Stiamo forse tornando a quell'epoca ormai quasi mitologica in cui grandi autori italiani riuscivano a conquistare un pubblico internazionale con la loro particolare e unica sensibilità? Certo è ancora presto per dirlo, ma questo regista, proprio come la sua creatura scarmigliata, sta indubbiamente (e inevitabilmente) crescendo.
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valeria
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venerdì 21 ottobre 2011
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sean penn grande. il film solo un bluff.
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Una sceneggiatura completamente asservita e assoggettata al personaggio che giganteggia sulla scena in maniera esasperata. Facile dire che il personaggio è bello quando a interpretarlo c'è Sean Penn (qui superlativo come sempre), ma da soli, attore e personaggio, non salvano (quasi mai) un film dalla storia debole e a tratti quasi inesistente. La catarsi, la liberazione del personaggio non si risolve nel finale leggero, scontato e rassicurante che Sorrentino ha dato al film, soprattutto quando da rivendicare non c'è semplicemente la storia di un uomo, ma di un'umanità intera: il tema dell'Olocausto troppe volte trattato, finanche abusato, forse meritava un po' di rispetto in più e uno sviluppo più articolato e profondo.
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Una sceneggiatura completamente asservita e assoggettata al personaggio che giganteggia sulla scena in maniera esasperata. Facile dire che il personaggio è bello quando a interpretarlo c'è Sean Penn (qui superlativo come sempre), ma da soli, attore e personaggio, non salvano (quasi mai) un film dalla storia debole e a tratti quasi inesistente. La catarsi, la liberazione del personaggio non si risolve nel finale leggero, scontato e rassicurante che Sorrentino ha dato al film, soprattutto quando da rivendicare non c'è semplicemente la storia di un uomo, ma di un'umanità intera: il tema dell'Olocausto troppe volte trattato, finanche abusato, forse meritava un po' di rispetto in più e uno sviluppo più articolato e profondo.
A parte alcuni aspetti puramente formali, estetici e tecnici di rilievo, il film è solo un bluff. Sean Penn permettendo.
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[+] cara valeria.............
(di weach)
[ - ] cara valeria.............
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